Due racconti di Wesam Almadani (a cura di Sana Darghmouni)

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Lo scialle del mare

 

Erano passati venti minuti da quando me n’ero andata, le mie gambe continuavano a correre inconsciamente, la mia mente a impastare pensieri. Non riuscivo più a distinguere tra il mio respiro e il rumore del bombardamento, frammenti di corpo e di sangue sconosciuto mi attraversavano lungo una strada che aveva perso il suo volto, soltanto un altro morto senza nome.

Non vedevo, una sola immagine si materializzava davanti a me, la colonna e lo scialle del mare.

Mio padre fu martirizzato in una guerra e da allora sono certa che sarebbe tornato a portarmi via dal nostro posto dove pescavamo le quaglie. Mio padre tira lo scialle verso la colonna e si siede accanto al tempo raccontandomi le storie della nonna, le storie delle olive, della moka per il caffè e del macinino di mio nonno dai baffi grossi e conclude le nostre sedute con una promessa:

Sarò sempre qui, ho un appuntamento con le onde.

La colonna e lo scialle sono il mio podio verso il mondo eterno “la voce di mio padre” e non permetterò ai bombardamenti di inghiottirli.

Le strade si sovrapponevano, il mio cuore non riusciva più a distinguerle

Che strada prendere?

La scena sbiadiva sotto il fuoco del bombardamento, nella folla della morte i lineamenti degli edifici si scioglievano, i tetti abbracciavano il petto della loro madre, la terra, in mezzo a un terribile quadro di frammenti di vita e di sangue. La scuola si trasformò in reti di cemento incolori che intrappolavano la memoria dei passanti. Corpi che correvano casualmente, alla ricerca di ombre e altri che volavano.

Portone mio, ti prego aspetta, come faccio a fermare il tempo?

Uno degli uomini della protezione civile si girò verso di me e gridò:

-Tu, ragazzina, fermati, non c’è nient’altro che la morte.

– No.

Presi a calci le parole e balzai verso la mia ascensione posticipata dove il vento si univa alla vita dello scialle, alle trecce del mare, alla quaglia e a mio padre.

Un pianto mi ostacolò le gambe, può la terra piangere?

È una bambina intrappolata da pietre e sangue. Urlavo ai soccorritori

qui qui. –

Le mani si spingevano verso di lei da ogni direzione, uno di loro lanciò una frase fatta di ansia:

-Cosa ti ha fatto uscire fuori? Vai a casa, è la Guerra.

Accesi la mia indifferenza e continuai a correre.

Mi avvicinavo e anche lo squittio dell’aereo si avvicinava.

L’artiglieria lanciò armi mortali dappertutto, tutti saltavano lontano, urlandomi:

-Torna indietro, ragazzina, morirai.

Ignorando tutto correvo all’appuntamento, salverò la colonna e lo scialle. Una corsa tra me e la fine si accese, non mi ruberai la voce di mio padre, non ucciderai il ricordo.

Oddio, eccomi arrivata, all’improvviso regnava il silenzio e non c’era più luce, un alone di denso fumo annebbiava le immagini. Si alzava, e con la velocità della nostalgia mi stropicciò gli occhi. Era mio padre in piedi nell’aria che, sorridendo, mi tendeva le mani.

Lo afferrai ansiosamente, come una bolla iniziai a salire e lo scialle mi fece cenno di congedo, abbracciando i frammenti della sua colonna, entrambi assentati dal sonno.

Con uno sguardo trionfante, distolsi gli occhi da un corpo spezzato sciolto nella sabbia rossa solleticato dalle onde, un corpo che ero stata io poco fa.

Ascendo, mio padre mi trasporta, superiamo l’aereo.

 

Un quadro senza membra

 

Inchiodato davanti alla scena, la gente corre in ogni direzione, la guerra si nasconde dietro la vetrina della corsa. Le persone corrono ancora più in fretta e i proiettili sono reti intelligenti che esplodono sopra le teste dei loro bersagli. La scena è folle quanto lui, deve fare qualcosa per alleggerire l’intensità di questo inferno. Le sue dita lampeggiarono nel momento in cui partì un proiettile infuriato, tirò fuori una tela bianca che attaccò al cavalletto e afferrò la tavolozza e il pennello.

Una donna, portando i suoi figli come un canguro in tutte le tasche, gli passò accanto e corse, e a una velocità folle disegnò un rifugio d’acciaio antiproiettile e non appena lo finì, il rifugio saltò verso la strada e si alzò, la sua porta si aprì e la signora saltò dentro

I frammenti del proiettile erano dispersi freddi come una brughiera i cui semi non erano germogliati. La cosa iniziò a funzionare, scrutò attentamente il luogo.

In fondo alla strada, un bambino annegò nel suo sangue, isolato dalle squadre di soccorso.

Si voltò verso il suo quadro, che era tornato vergine completamente bianco, e si immerse di nuovo nel disegno, i soccorritori si precipitarono fuori dalla cornice, non ancora completati, senza gambe, verso il ragazzo. Il pittore sorrise di gioia, funzionava meglio. Tornò al suo quadro, disegnava ambulanze, tetti d’acciaio, antimissili, disegnava molte cose e le liberava in modo che la scena prendesse un altro corso nei secondi successivi.

Il proiettile si fermò, non era più infuriato e non sentiva nulla, tutti i suoi sentimenti scomparvero, si stabilì nel suo corpo e si sciolse fino a diventare una vera eco e un urlo. La caduta fu l’ultima cosa che la sua coscienza ricordava, la tela si macchiò di sangue, creando un’altra scena nuova, tuttavia stabile stavolta.

Suoni non identificati attraversano il suo orecchio e ne uscivano.

Uno dei soccorritori disse: Non esclude nessuno.

Un altro soccorritore gli rispose: tutte le guerre sono così.

-Chi glielo dirà?

-Tu, tocca a te, ho informato quelli prima di lui.

-Che sia veloce allora!

La voce si avvicinò e proseguì.

Mi dispiace informarti che hai perso sia le braccia che il cavalletto.

 

wesam

Wesam Almadani scrittrice palestinese di Gaza e attualmente vive in Norvegia. Scrive poesie, romanzi e racconti. Ha pubblicato il mio primo romanzo, intitolato Schizophrenia nel 2020, ( Amman). Ha anche pubblicato una raccolta di poesie intitolata Ya’ nel 2015. Ha partecipato a diversi libri con racconti. Attualmente sta preparando la pubblicazione della sua raccolta di storie (Così la guerra mi ha lasciata viva). Le sue opere sono state tradotte in norvegese, svedese, ebraico e inglese.
Ha partecipato a molti eventi letterari in Norvegia, Svezia, Egitto e Palestina.

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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