DUE ‘PIONERE’ DELLA NEGRITUDINE: INTERVISTA A BLACK COFFEE, di Reginaldo Cerolini

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I tempi non permettono di stare vicini, di incontrarsi, di parlare e di gustare il piacere della vicinanza multisensoriale e così intervisto via web queste due grandi pioniere della tematica della ‘razza’, che con una lucidità ed una competenza culturale impressionante regalano con il loro podcast Black Coffee le loro conversazioni profonde e sensibili al pubblico che decide autonomamente di far parte di un tellurico discorso culturale che affonda le sue radici nei secoli e che vede il prossimo futuro ricettivo a quanto con intimità, schiettezza e forza riescono a restituire al presente dell’umanità ed alla Storia. Mi ha commosso scoprirle e ancora di più intervistarle, tanto più che lontane da partitismi, ideologismi e annichilenti posizioni estremiste le vedo schiettamente pronte ad indagare la realtà ed a restituire le sue proporzioni. In tempi di auto compiaciuti arroccamenti gormaniani su razza, identità e allucinati divisionismi transnazionali, in tempo di incensamenti internazionali e allori a singoli personaggi mediaticamente addomesticati, considerati geniali anche se il prodotto da loro offerto non solo non è di spessore ma costituisce un vero e farsesco addomesticamento della negritudine, è bene sapere che esiste questo porto di coscienza e conoscenza onesto e fedele all’umanità ed alla storia scritta sulla pelle. Qualcuno renderà merito a questa forza che dal basso tende all’infinito, e quindi complimenti Ariam e Emmanuelle.

Reginaldo: Potete presentarvi?

Ariam: Sono Ariam Tekle sono una regista documentarista, ci sto provando. Sono antropologa che usa nelle sue indagini il metodo antropologico, sono una podcaster e sono italo – eritrea o se preferisci eritrea italiana.

Emmanuelle: Sono Emmanuelle Maréchal, la cofondatrice di Black Coffee. Sono franco-camerunense e vivo a Londra. Sono un’imprenditrice di moda, traduttrice … faccio un po’ di cose. A parte ciò sono molto interessata alla diaspora africana, per cui avevo incominciato a fare una pagina Instagram The Little Black Diary, in cui raccontavo la storia della mia famiglia perché io sono francese ma la gente quando mi incontra si fa un idea della mia identità che non corrisponde alla realtà. Io sono stata cresciuta da una madre camerunense e un padre bianco e un fratello meticcio. Questo cambia completamente rispetto a chi crescendo in Francia ha entrambi i genitori camerunensi. Mi sono quindi interessata a trovare delle figure nere in Europa e fra questi i primi che ho trovato erano neri italiani, che non conoscevo. Da lì mi sono detta perché non andare in Italia a trovare la diaspora degli africani italiani, facendo interviste col mio podcast inglese. In questo modo ho incontrato Ariam, che avevo conosciuto tramite la mia pagina Instagram, e parlando ci siamo rese conto che abbiamo un modo onesto e diretto di parlare di tematiche che riguardano generalmente i neri, perché non abbiamo problemi di parlare a neri o bianchi di problematiche razziali quando invece si ha solitamente una sorta di imbarazzo. Per i bianchi c’è difficoltà e soggezione, solitamente a sentire questi discorsi sulle comunità nere. Così con Ariam abbiamo deciso di creare Black Coffee dando spazio a queste conversazioni a cui, vivendo in Italia per cinque anni, non trovavo spazio di espressione. Invece quando sono tornata in Italia ad incontrare Ariam ho percepito che sorgevano fra le persone questi stessi interrogativi che mi ero posta ma sempre con un velo di imbarazzo a dire le cose come sono.

R: Come è nata la vostra idea di Black Coffee?

A: Emmanuelle aveva un podcast di neri italiani, è arrivata al mio profilo Instagram di Appuntamento ai Marinai, un documentario che avevo realizzato nel 2017 sulle seconde generazioni di eritrei nati tra anni ‘70 e ‘80  Milano, quindi lei si è interessata, mi ha contattato e ci siamo viste per un intervista podcast, quella volta li ci siamo viste fisicamente perché poi non ci siamo mai più viste, è stata una conversazione che è andata oltre l’intervista e ci siamo dette a fine chiacchierata dovremmo incominciare un progetto insieme, dovremmo cioè rendere queste conversazioni pubbliche perché forse aiuteremmo intanto le persone a confrontarsi su queste tematiche, servirebbe a noi e a tutto quel mondo di sinistra che pensa che il razzismo sia un problema della destra e che magari utilizzano anche gli antirazzisti quando non hanno voglia di mettersi in discussione o approfondire la questione. Tanto che spesso nell’anno prima in cui è nata la conversazione con Emmanuelle avevo fatto una trentina di proiezioni mi sono confrontata con moltissime persone che si presentavano come aperte e sensibili alla tematica e però come utilizzavo la parola ‘italiano bianco’ alzavano subito una barriera. Oppure quando dicevo che il razzismo non era riducibile ad un partito ma che era trasversale e che riguardava tutti e precedeva la Lega, precedeva la destra e di come nasca in un contesto italiano si alzava subito un muro. Quindi abbiamo detto io e te ci conosciamo da un’ora e in un’ora parlando, non conoscendoci abbiamo usato un linguaggio molto onesto e che toccava tutte le problematiche. Non abbiamo usato filtri perché ci capiamo. Capiamo questo linguaggio che poi è chiamare semplicemente le cose con il loro nome. E’ nato dunque da un’esigenza personale che abbiamo pensato poter essere utile condividere insieme ad altri.

E: Non mi sono mai sentita libera come con Ariam a parlare delle comunità nere, siccome eravamo in un caffè, solito scenario dove intervistavo le persone, mi sono accorta che non si bisbigliava più nel dire certe cose ma le cose venivano dette con chiarezza a piena voce, in modo molto naturale, cosa che mi succede senza imbarazzo a Londra. Quindi prendere la decisione del podcasting è stato molto organico. Durante la pandemia ad aprile lei mi ha contattato e abbiamo deciso di fare una cosa non più su Youtube ma tramite podcasting.

R: Quindi le interviste che fate sono direttamente registrate online?

E: Si attraverso Zoom Uberconference.

R: Qual è lo scopo di Black Coffee?

M: Parlare di tematiche che vengono trattate dalla stampa in modo superficiale, o di tematiche di cui non si sente mai parlare per aprire delle conversazioni e dare spunti di riflessione sulle identità nere. Si ha spesso la convinzione in Italia, come in altre parti, che essere neri sia un blocco monolitico. Lo scopo è far capire cosa significa essere italiano nero in tutte le sue sfaccettature.

A: E appunto questo e creare uno spazio dove poter incontrare altre persone, contribuendo ad un percorso collettivo ma anche individuale.

R: Coinvolgere!

A: Esatto. Tanto è vero che sono nate delle collaborazioni per la terza stagione e ne stanno venendo fuori anche altre, grazie anche al crowdfunding che ci permette di conoscere e stabilire collaborazioni mutuabili.

R: A chi si rivolge Black Coffee?

E: Visto il nostro modo di parlare diretto analogamente vogliamo un pubblico nero italiano ed italiano in generale che discuta di queste tematiche. Vogliamo anche cambiare il linguaggio del giornalismo italiano. Far capire a chi ci ascolta e vive in questo mondo come sia necessario farsi delle domande e riflessioni su come si parla delle persone nere. In ogni modo facendo il podcast stiamo imparando e crescendo, non siamo lì a dare lezioni alle persone ma siamo lì per aprirci la mente anche noi.

 A: Si rivolge ad un pubblico vasto. I più interessati sono gli italiani e le minoranze e comunque non bianchi per i motivi che ti ho detto prima, perché avere delle conversazioni così aperte e senza filtri, come noi abbiamo stabilito, dà un po’ di respiro.  E’ rivolta anche ad un pubblico bianco perché forse attraverso queste conversazioni ed ascolto possono rendersi conto di situazioni episodi o addirittura della propria posizione nella società e magari poi ampliare il proprio punto di vista. Questa è la speranza, che il nostro intervento possa dare un contributo anche in questo.

R: Come scegliete sia gli argomenti che le persone da intervistare?

E: Abbiamo incominciato dalla rete di persone che conosciamo. Quando avevo incominciato il mio progetto The Little Black Diary avevo i miei contatti attraverso ricerche su Instagram, poi il passaparola, riuscendo così a creare una piccola rete. Affrontiamo con queste persone tematiche ampie, come per esempio il tema della salute mentale, che ci sembra molto importante perché non si pala di salute mentale in generale. Abbiamo parlato di arte, come del tema dell’attivismo e femminismo. Cerchiamo di abbordare tematiche abbastanza attuali e di cui non si parla tanto. Nella terza stagione speriamo di poter parlare delle adozioni perché abbiamo l’impressione che la stampa lo affronti in modo stereotipato. C’era per esempio sul giornale la notizia che una madre avrebbe ricreato nel proprio giardino un giardino africano per far sentire la propria figlia adottiva più a suo agio.

A: Tematiche ed interlocutori variano molto. Innanzitutto sono scelte per capire la società, quella di oggi, attraverso la storia. Non si può fare un’analisi attuale semplicemente guardandosi intorno. Non basta essere positivi e dire bisogna valorizzare le proprie competenze, perché in una società per quanto possa valorizzare le tue competenze se sei donna o nero stai lavorando solo per te stesso.

R: Qui rientra quella capacità analitica, come accennavi inizialmente, storico-antropologica?

A: Sì, perché molte persone ritengono che si debba sempre dimostrare di essere in grado, di dover dimostrare che anche tu vali quanto gli altri però devi fare il doppio della fatica, il doppio dei sacrifici con le frasette ‘però poi ce la fai, però poi arrivi” ma la domanda è arrivi dove? Arrivi ad un tavolo dove dici che ce l’hai fatta, però intanto chi è rimasto fuori? Cioè tu vuoi far parte di una élite,  vuoi far parte di un mondo che ti riconosca o vuoi cambiarlo questo mondo?!

R: Giustamente tu domandi se si tratta di un progetto personale o corale, che guardi quindi all’intera umanità.

A: E’ importante anche capire a livello storico come questa struttura e sistema ha creato disuguaglianza  e la alimenta.

R: Come scegliete queste persone con cui interagite nell’intervista?

A: In base al loro impatto, al loro lavoro oppure se il loro discorso lo troviamo particolarmente interessante e che esce dal coro allora interagiamo per cercare di capire.

R: Vi capita di scegliere interlocutori con cui non condividete lo stesso punto di vista?

A: Sì.

R: Quale è stata la reazione e ricezione del vostro pubblico?

E: Devo dire molto positiva. Le persone ci hanno riferito che di aver trovato utile questo tipo di format, informazione e di confronto. Non abbiamo avuto riscontri negativi.

A: Alcune persone ci contattano per condividere la propria esperienza, indirettamente però ci sono persone che credono che si debba solo parlare di competenze e che quindi non si possa parlare di razzismo. Noi non raccontiamo storie negative, noi raccontiamo la realtà. Noi comprendiamo la capacità di raccontare storie belle e di successo ma non si parla, a me almeno non pare, che si parli molto del razzismo e viene raccontato dai media spesso e volentieri (non dagli attivisti) come un episodio, i casi nel tram frutto di ignoranza. No, il razzismo non è frutto dell’ignoranza

R: Quali sono state le difficoltà che avete incontrato?

E: Direi di natura tecnica ed organizzativo perché io vivo a Londra e Ariam a Milano. L’ideale sarebbe di focalizzarsi sul contenuto. Io per esempio curo tutta la parte grafica, anche se non sono grafica di professione, quindi, mettendoci più tempo. Ariam cura la parte editing del podcast, se noi quindi avessimo qualcuno che si occupasse di questo, avremmo più tempo per pensare alla strategia e alle persone che vogliamo intervistare.

A: Non abbiamo una strumentazione professionale, è anche per questo che abbiamo avviato il crowdfunding, per avere una qualità più alta a livello tecnico. Quindi, principalmente questo e il fatto che siamo in due e ci dividiamo tutto ed è molto impegnativo. Non è il nostro lavoro e ognuna di noi, fortunatamente, fa altro per vivere. È  una cosa in più che richiede tanto tempo e tanto lavoro, però siamo contente di farlo e vediamo se il crowdfunding va bene, per ora manca il 35% di quanto abbiamo come obiettivo, ma sicuramente già avremo l’attrezzatura e altre collaborazioni, gestendo ancora meglio il progetto. Altri problemi di contenuti, forse per un Italia che non è pronta ma essendo libere e indipendenti l’abbiamo superata.

R: A livello personale, come hanno reagito i vostri affetti, amicizie e famigliari?

A: I miei non sanno bene cosa faccio ma mia sorella o altre persone vicine, come mia cugina, hanno reagito bene, capiscono quello che stiamo facendo e credono anche loro che sia necessario.

R: Come sta andando il crowdfunding che avete fatto?

E: Sta andando molto bene, sono i primi 13 giorni di raccolta fondi. Siamo già a più di metà, quindi siamo contente anche se non è facile fare questa raccolta perché in Italia c’è un po’ di diffidenza verso queste forme di compartecipazione. Viene vissuto come il fare l’elemosina quando invece si tratta di un tour di marketing. Da quando infatti abbiamo fatto il crowdfunding, non abbiamo raccolto soltanto soldi ma abbiamo allargato il numero delle persone che conoscono ed ascoltano il podcast, anche attraverso varie reti sociali che abbiamo in Instagram alzando il picco di follower che ci seguono ed ascoltano. Poco prima del crowdfunding abbiamo aperto una pagina Facebook e anche li abbiamo visto una crescita, quindi  il crowfunding è partecipazione, è una raccolta fondi però è anche un tour di marketing di cui non ci si deve affatto vergognare.

R: Cosa significa essere donne, nere in Italia ed in Europa oggi per voi?

A: Significa avere tanta pressione addosso, per me significa anche cercare di condividere e trovare dei modi per supportarsi. Secondo me essere donne in Italia è un po’ un casino (ride).

E: Nere in Italia non saprei esattamente dirlo. Posso dare invece il mio punto di vista franco camerunense che ha vissuto a Bologna e viaggiando in Italia vedevo la gente guardarmi in modo diverso. Arrivata a Bologna nel 2009 sono rimasta sbalordita, perché in Francia ci sono i neri che si differenziano per il loro lavoro, non sono giornalisti, impiegati o avvocati ma fanno i lavori che, si dice, i francesi bianchi non vogliono fare; però a livello visivo ci sono per quella che è stata la storia della Francia. invece arrivo a Bologna e non ho visto una persona nera. Sono rimasta sbalordita. In Francia sono cresciuta in un mondo con persone di diversi paesi, diverse origini ed un’apparenza diversificata. Qui in Italia nel 2009 era tutto molto omogeneo e gli unici neri che vedevo erano i venditori ambulanti per strada. Allora mi sono domandata come una persona italiana potesse percepire me arrivata in Italia per studiare. Ho incontrato poi una ragazza italiana nera e sono di nuovo rimasta sbalordita perché io allora non lo sapevo che quando si nasce in Italia da genitori stranieri non hai diritto alla cittadinanza. Sono rimasta sbalordita perché in Francia si tratta di un diritto fondamentale e se sei nato lì sei francese, punto. Hai la cittadinanza senza aspettare i diciotto anni per richiederla ed averla. Poi ho capito il meccanismo che se non hai la cittadinanza non puoi fare tante cose. Mi sono detta allora che esiste l’italiano e l’italiano di seconda categoria e terza perché non si danno gli stessi diritti alle persone della stessa nazione. A livello europeo ho vissuto in Francia in Italia, in Germania in Inghilterra e sono state delle esperienze abbastanza interessanti nel senso che in Francia abbiamo sì questa cittadinanza, che io non ho per l’essere nata in Francia dal momento che sono nata in Camerun, ma che ho per avere un padre francese che mi ha dichiarato come sua figlia, ma sono arrivata da immigrata ed ho così avuto modo di vedere un po’ di cose. Dicevo per la mia storia in Francia, diciamo, che sono in una posizione migliore di altri neri, ho anche avuto possibilità di studio che forse altri neri non hanno avuto, però c’è sempre una forma di pregiudizio. Io, ad esempio, mi ricordo che quando ero studentessa e, d’estate, facevo la guida turistica per un castello del ‘500, tutti i turisti che venivano dall’Europa o della Russia non trovavano nessun problema nel mio ruolo, invece gli unici a trovare un problema erano i francesi. Una signora mi ha chiesto “Tu da dove vieni?” e alla mia risposta “Dalla Francia” lei incalzava “Intendo da dove vieni veramente” e spiegatole che avevo la madre camerunense mi sentii rispondere “Non è possibile, tu devi essere della Martinica o della Guadalupe per sapere così bene la storia della Francia”. Non concepiva, infatti, che una persona di origine africana potesse conoscere così bene la storia della Francia. Ed ho poi discusso con una coetanea che non concepiva come potessi sapere così bene il francese essendo di origine africana. Tutti esempi così che ti fanno capire come risulti strana agli occhi degli altri. Venendo in Italia, le persone notavano che sono nera, ma appena dico che sono francese ed ho l’accento francese, per loro rimango francese, senza dare invece spazio alla mia parte africana. L’immaginario francese predomina sul resto, ho infatti vissuto con italiane che non mi hanno mai chiesto ad esempio di cucinare qualcosa di camerunense ma solo di francese. Questo perché, penso, la gente abbia capito che la Francia ha una storia coloniale dove i neri ci sono ed è normale avere i neri francesi. Mi sono trovata molto bene in Italia devo dire.

R: E a Londra?

E: Prima di Londra devo parlare della Germania. Sono stata a Monaco di Baviera città carina e molto bella, però non che ci fossero neri, ma c’era invece la diaspora turca, di persone nere non ne ho viste. Gli unici neri che ho conosciuto erano venuti come me da altre parti in Germania per lavorare. Non mi sono trovata male, ma la gente mi faceva delle domande un po’ stupide. Chiedendomi più cose sul Camerun che sulla Francia quando invece, ho passato più tempo in Francia che in Camerun. Non ho trovato una comunità nera.

A Londra mi sono sentita subito a casa, nel mio primo appartamento a Brixton, quartiere giamaicano. Era la prima volta che mi trovavo in uno spazio con tante persone che mi somigliavano, quindi questo è stato interessante, poi a Brixton c’è il Black Culutural Archives che è un posto in cui trovi praticamente tutta la storia dell’immigrazione, ma anche tutta la storia nera inglese ed è stato una cosa molto importante per me da scoprire perché in Francia non lo puoi fare, è anticostituzionale.

R: Addirittura?

E: Si, perché adesso chi sta provando a fare qualcosa sulle comunità nere francesi è visto come un separatista. È molto forte il senso di universalismo in Francia, tutti, sono uguali, non devi fare vedere la tua  parte … diversa nel senso se vieni dalle colonie, perché invece se sei franco-tedesco, franco-spagnolo va bene ma per il resto no. È in Inghilterra che ho iniziato ad avere queste riflessioni sulla diaspora africana in Europa, sì, perché là il dialogo è un po’ più aperto. Ci sono più eventi e fatti per parlare di questo. Ci sono tutte queste piattaforme che permettono questo, cosa che non avevo trovato né in Francia, né in Italia né in Germania.

R: Ho rilevato nei vostri podcasting che vi confrontate con persone nere consapevoli della diaspora, colte ma vi confrontate anche con persone nere meno consapevoli?

A: Non so se questa cosa è tanto vera perché tutti noi stiamo facendo un percorso per cui non è detto che per chi parla magari con determinazione sia …. Voglio dire che ognuno è consapevole di venire da un percorso e l’identità può anche non essere definita … .

R: No, ma mi riferisco ad una formazione culturale abbastanza definita, possono essere accademici, stilisti, webcaster, podcaster etc., ovvero è un marchio o una formazione culturale che non rappresenta la media. Io invece incontro nel mio quotidiano  tantissime persone da cui io stesso sono spaventato perché, non hanno nessuna coscienza identitaria, non sanno storicamente nulla dei problemi razziali, se non quegli diretti e mediatici, oltre che quotidiani, degli insulti di disprezzo o di atteggiamenti coercitivi da parte della polizia, non hanno insomma coscienza storica, non sanno i nomi dei neri che li hanno preceduti e che hanno patito simili sofferenze, Baldwin, Fanon e mi rendo conto quando ne parlo che io appartengo comunque ad un mondo di controcultura che ha una sua precisa determinazione. Mi chiedevo se a voi capita di incontrare e intervistare questi individui?

A: Noi fino adesso abbiamo incontrato persone che ci corrispondono, che ci corrispondono in un certo modo, quindi volendo o no conosciamo in questa diversità persone che sì, hai ragione, hanno una consapevolezza e invece persone che non hanno troppo idea di questo e che, quindi non si espongono, non arrivano a noi.

R: Buona risposta.

A: Si adesso che ci penso ci potrebbe anche essere, fra loro, qualcuno di interessante, che forse non è molto consapevole o non ha molto idea. Si mi hai dato un buono spunto.

R: Che cosa ci dobbiamo aspettare dalla terza stagione di Black Coffee?

E: Un po’ di sorprese perché abbiamo due nuovi ospiti, che ci parleranno del colonialismo Marie Moise, che ha partecipato a Future libro di Igiaba Scego ed era stata l’ultima ospite della seconda stagione, e l’altro ospite Adil Mauro con cui racconteremo le storie di italiani neri.

A: Ci aspettano tante belle chiacchierate, diverse persone, vecchie tematiche approfondite e tematiche nuove.

 

 

Riguardo il macchinista

Reginaldo Cerolini

Nato in Brasile 1981, Reginaldo Cerolini si trasferisce in Italia (con famiglia italiana) divenendo ‘italico’. Laureato in Antropologia (tesi sull’antropologia razzista italiana), Specializzazione in Antropologia delle Religioni (Cristianesimo e Spiritismo,Vipassena). Ha collaborato per le riviste Luce e Ombra, Religoni e Società, Il Foglio (AiBi), Sagarana, El Ghibli . Fondatore dell’Associazione culturale Bolognese Beija Flor, e Regista dei documentari Una voce da Bologna (2010) e Gregorio delle Moline. Master in Sceneggiatura alla New York Film Academy e produttore teatrale presso il National Black Theatre. Fondatore della CineQuartiere Società di Produzione Cinematografica e Teatrale di cui è (udite, udite) direttore artistico. Ha fatto il traduttore, il lettore per case editrice, il cameriere, scritto un libro comico con pseudonimo, l’aiuto cuoco, conferenziere, il commesso e viaggiato in Africa, Asia, Americhe ed Europa.

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