Ditelo a mia madre, di Vera Lúcia de Oliveira

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Vera Lúcia de Oliveira, Ditelo a mia madre, Fara editore, Rimini, 2017. Ditelo_a_mia_madre

L’ultima raccolta di poesie di Vera Lucia de Oliveira è un piccolo libro dal titolo evocativo: Ditelo a mia madre; un piccolo libro che scatena invece grandi turbamenti per il tema trattato, per la delicatezza dei versi che è al contempo forza espressiva e per la caparbietà e l’onestà con cui la scrittrice ha visto il dolore e lo ha affrontato. Chi è la madre a cui si rivolge l’io poetico? Lo spiega la stessa autrice nella nota finale al libro. La madre in questione è la signora Paola Regeni, madre di Giulio Regeni, che, durante una conferenza stampa tenutasi al Senato nell’aprile 2016, dichiara di non poter immaginare, di non riuscire a proiettarsi nella coscienza del figlio per capire, nei suoi momenti estremi, come ha guardato i suoi aguzzini; dice di non riuscire a immaginare come deve essere stato quando il figlio ha capito che tutto era finito.

Come può una madre affrontare la perdita di un figlio in circostanze così drammatiche e non rimanerne schiacciata? Come può un qualunque individuo restare indifferente dinanzi a tanto dolore e non rimanerne schiacciato ma neanche scalfito? Dal giorno della scomparsa del ricercatore italiano in Egitto e, ancor più, dal giorno in cui è stata resa nota la sua tragica fine, tutti ci siamo fermati almeno un attimo a pensare alle ultime ore di vita di Giulio, forse più ancora delle ragioni politiche che hanno mosso tale evento.

Le parole della madre di Regeni hanno toccato le corde più profonde dell’autrice, che hanno messo in atto un percorso di analisi, di scavo interiore che ha portato a guardare in faccia il dolore, ad affrontarlo. Vera Lucia de Oliveira ha risposto a quelle domande con l’immediatezza della sua poesia, scevra di orpelli e strutture complesse, ma libera di esprimere immagini e sentimenti senza filtri. E lo fa usando i codici e gli strumenti d’analisi che le sue personali vicende biografiche le hanno messo a disposizione; lei, che arriva da un Paese, il Brasile, che ha vissuto la dittatura e l’epoca delle sparizioni forzate, aveva incamerato e messo a tacere in un remoto angolo della sua mente la sofferenza per quelle sparizioni e il dolore che porta l’assenza forzata. La sparizione di Giulio fa riemergere la sua storia passata e con la maturità e consapevolezza del presente parte dalla vicenda dell’italiano che diventa vicenda universale di tutti i desaparecidos.

Ma la poesia di Ditelo a mia madre, come anticipa il titolo, non è il racconto politico della sparizione, delle torture e della morte, è piuttosto un racconto privato, che parte dalle riflessioni di un uomo, rinchiuso in una cella, che porta su di sé i segni della violenza e che nel momento estremo della sua vita cerca il dialogo con sua madre; rivolge il pensiero a lei, ritorna al grembo materno in cui cercare conforto. Con i versi di de Oliveira, accompagniamo l’io lirico negli ultimi momenti della sua agonia, lo vediamo in una cella (“non sono solo nel viaggio che mi è toccato compiere alle viscere nel mondo” XVII versi 2-3), mentre osserva i piccoli elementi che gli ricordano ancora la vita, siamo con lui quando invoca l’amore materno, siamo con lui quando osserva e punta il dito contro i suoi torturatori, ne riconosce il male che li caratterizza e lo denuncia (“ma io qui sono venuto per incontrarvi e con i miei occhi vi guarderà il mondo” VII, versi 6-10; “cosa dite ai vostri figli quando tornate la sera e li guardate negli occhi?” IX versi 5-7); siamo con lui quando dinanzi a tanto male si chiede come vittima e carnefice possano convivere nell’amore di Dio e quando queste domande non trovano risposta è ancora a sua madre che continua a rivolgersi; anche quando, ormai morto, diventa simbolo della follia umana, il suo “corpo invocava solo due mani materne” (XXV, versi 3-5). Un desaparecido reso umano, riportato alla sua dimensione intima di giovane uomo con le sue paure e le sue speranze.

 

II

Andate a dire a mia madre

che non ho mai perso il senso

dell’amore

andate a dire a mio padre

che sono venuto al mondo

anche per vedere voi

andate a dire a mia sorella

che mi sono foderato bene

l’anima

per attraversare l’inferno

e amare ancora il mondo.

 

 

XI

sento le formiche nel loro lento

avanzare che portano un minuscolo

lembo di pelle

di qualche altro fratello

che soffre accanto a me

 

 

XX

per i campi corro

senza timore

posso spingermi ovunque

ora che sono libero

di varcare le soglie

 

ditelo a mia madre

che volo con le ali

che lei mi ha fabbricato

quando non ero

neppure

nato

 

 

XXX

ora cammino più di quanto avrei mai immaginato

ho tante mani che mi avvolgono e che mi portano

a seminare i loro campi con il grano dei miei occhi

ma io, mamma, volevo solo vivere

per parlarti di nuovo

 

 

XLII

quando ero bambino

mi hanno detto

che l’amore sgorga da Dio

da lui tutto procede

e a lui torna

 

ma come potranno entrare

dalla stessa porta

nella stessa pancia

che tutto ha generato

il mio corpo rotto

e il tuo piede

che lo stronca?

 

Vera Lúcia de Oliveira
Nata a Cândido Mota, in Brasile, vive e lavora a Perugia, in Italia. È poeta, saggista e docente presso la Facoltà di Vera Lucia de OliveiraLettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Perugia, dove insegna Letteratura Portoghese e Brasiliana. Scrive sia in portoghese che in italiano ed è presente in riviste e antologie poetiche pubblicate in Brasile, Italia, Portogallo, Spagna, Romania e Germania. Tra i principali riconoscimenti ricevuti si ricordano: il Premio Sandro Penna (1988), il Premio Nazionale di Poesia “Senigallia Spiaggia di Velluto” (2000), il Premio di Poesia dell’Accademia Brasiliana di Lettere (2005), il Premio “Popoli in cammino” (2005). È risultata fra i tre finalisti vincitori del Premio Internazionale di Poesia Pasolini (2006) e ha ricevuto a Brasília nel 2006 dal Presidente Luíz Inácio Lula da Silva il Premio Literatura para Todos, promosso dal Ministero dell’Educazione brasiliano, per la raccolta inedita Entre as junturas dos ossos, pubblicata in quello stesso anno in 190 mila esemplari distribuiti nelle scuole del Brasile. Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Internazionale di Poesia Alinari”, promosso dalla Fondazione Vittorio e Piero Alinari, di Firenze, in collaborazione con la Cattedra “Giuseppe Ungaretti” della Columbia University di New York, per la raccolta inedita La carne quando è sola.
Fra i libri pubblicati, citiamo: Geografia d’ombra (poesia), 1989; Poesia, mito e história no Modernismo brasileiro (saggio), Brasile, 2002; La guarigione (poesia), 2000; A chuva nos ruídos – Antologia Poética, Brasile, 2004; Verrà l’anno (poesia), 2005; Storie nella storia: Le parabole di Guimarães Rosa (saggio), 2006; No coração da boca, (poesia), Brasile, 2006; Entre as junturas dos ossos (poesia), Brasile, 2006; A poesia é um estado de transe (poesia), Brasile, 2010; La carne quando è sola (poesia), 2013.

 

 

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Foto dell’autrice a cura di Vera Lúcia de Oliveira.

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Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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