Di milizie sioniste, Haifa, contrassegni rossi sulle case- Khulud Khamis

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Sono tre giorni che cerco di scrivere questo articolo, chiedendomi da dove iniziare. Comincio dalle espulsioni dalle proprie case dei palestinesi nel quartiere  Sheikh Jarrah di Gerusalemme? Dagli incidenti nella moschea di Al Aqsa? Torno indietro di un mese o di un anno? Forse dovrei andare a ritroso di 73 anni o più? Non sono né una storica né una giornalista. Non è mio compito fornire una panoramica storica. Sono una scrittrice che vive ad Haifa e vorrei condividere con voi ciò a cui noi palestinesi di Haifa abbiamo assistito nella nostra amata città in queste ultime due settimane. Questa è una piccola storia, ma una storia di persone sul campo. È solo una piccola tessera di un intero, grande mosaico e questi pezzi vanno poi a sommarsi per formare un tutto.

Venerdì 14 maggio 2021, mi sono svegliata con la notizia che trentotto giovani palestinesi erano stati arrestati durante la notte ad Haifa. Alcuni di loro erano minorenni, interrogati senza l’accompagnamento dei genitori, mentre altri hanno riportato ferite e sono state negate loro le cure mediche. Gli avvocati di Adalah, il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele , hanno aspettato tutta la notte per incontrare i detenuti, ma gli hanno impedito di fornire loro qualsiasi consulenza legale.

I giorni precedenti sono stati quasi surreali ad Haifa. Non ho mai assistito a nulla di simile nella mia amata città. Per due notti di seguito, circa 200 estremisti  fra i coloni ebrei che si definiscono “l’esercito dei cittadini”, hanno preso d’assalto i quartieri palestinesi di Haifa. Erano armati di mazze e altre armi, e numerosi di essi avevano ricevuto addestramento militare, e pertanto si muovevano con un alto livello di organizzazione. Nel pomeriggio, si sono osservati piccoli gruppi di queste milizie entrare nei caseggiati e contrassegnare le porte delle famiglie palestinesi con un pennarello rosso. Hanno poi vandalizzato dozzine di auto, attaccato i palestinesi per le strade e tentato di entrare nelle loro case. Attacchi simili sono stati organizzati in altre città di popolazione mista, come Lydd, Akka, Yaffa e Gerusalemme.

Dopo queste due notti, e con la consapevolezza di non godere di alcuna protezione nelle nostre case, città e paesi, i rappresentanti dei quartieri palestinesi e della comunità ad Haifa si sono incontrati per discutere quali tattiche mettere in atto per proteggerci essendoci resi conto che la polizia non solo aveva consentito queste aggressioni, ma le aveva anche attivamente sostenute. Invece di fornire protezione da questi coloni, la polizia aveva attaccato i palestinesi il cui unico crimine era difendere le proprie case. A Yaffa, Akka, Haifa, Lydd e in altri luoghi, i cittadini palestinesi hanno iniziato a formare comitati di autodifesa, pattuglie per la protezione dei cittadini composte da avvocati, medici e infermieri, psicologi e consulenti in materia di traumi.

In parallelo, anche i nostri alleati ebreo-israeliani hanno iniziato a organizzarsi, in collaborazione con i cittadini palestinesi. I miei amici di Haifa si sono presi la responsabilità di parlare con la sindaca per spingerla a fornire protezione ai cittadini palestinesi e dopo che questa ha affermato di non avere potere sulla polizia, si sono diretti al commissariato. Ma anche lì la polizia ha dichiarato di non aver alcun mezzo per scoraggiare le aggressioni dei coloni. Questo comunque ha solo rafforzato la determinazione dei nostri alleati che hanno pattugliato i nostri quartieri la sera, e si sono uniti alle proteste pacifiche dei palestinesi, con il compito principale di rendere visibile la loro presenza e proteggerci. Le donne anziane, armate di cartelli con la parola تضامن (solidarietà in arabo), si sono trovate  faccia a faccia con le forze di polizia armate fino ai denti che hanno poi cercato di bloccare loro il passaggio verso la manifestazione, ma  nulla hanno potuto contro la forte determinazione delle donne.

Nei giorni successivi al 13 maggio, centinaia di palestinesi sono stati arrestati. Ad Haifa, Rashad Omari, direttore del quotidiano locale gratuito Al-Madina, è stato arrestato nella sua abitazione nel cuore della notte dall’Agenzia per la sicurezza israeliana. Nel video che documenta il suo arresto, molte delle forze di sicurezza erano mascherate. Il giorno dopo gli hanno offerto il rilascio a patto di lasciare Haifa per quindici giorni e dopo il suo netto rifiuto  è stato rilasciato senza condizioni o restrizioni.

La mattina del 16 maggio vi è stato l’arresto a casa su di un giovane palestinese mezz’ora dopo aver chiamato un’avvocata del centro legale Adalah per chiederle quante persone fossero fuori dal tribunale di Haifa in attesa di udienza o del rilascio dei detenuti arrestati la notte precedente, perché voleva portare loro acqua e manakeesh (pane con za’atar cosparso sopra).

Ad Akka, una città di popolazione mista a nord di Haifa, è stato arrestato anche il fratello di un mio amico, un 38enne padre di tre figli. Il mio amico scrive che tutta la vita di suo fratello ruota intorno al suo lavoro e alla sua vita famigliare. Il giorno dopo anche lui è stato a rilasciato a condizione di restare lontano da Akka per quindici giorni, senza vedere un giudice, ma quando il suo legale ha chiesto di vedere l’ordinanza restrittiva, la polizia ha rifiutato. Il giorno dopo è stato convocato in tribunale e successivamente rilasciato agli arresti domiciliari per un giorno. Al suo avvocato è sempre stato negato di vedere l’ordinanza restrittiva originale, nonostante le sue ripetute richieste.

Questi sono solo alcuni esempi degli arresti effettuati nell’ambito della sistematica persecuzione politica dei cittadini palestinesi; hanno lo scopo di scoraggiarci e spaventarci, e sono una tattica di repressione ampiamente praticata e usata da anni dalle forze di sicurezza israeliane. Hanno lo scopo di spezzarci e dissuaderci dal chiedere libertà e una vita dignitosa. 

Il 18 maggio, in meno di due giorni e in assenza di una leadership politica, i palestinesi sono riusciti ad organizzare uno sciopero generale. La rivendicazione dello sciopero è stata fatta da importanti artisti, scrittori, attori e attivisti locali che si sono attivati sui social media e sono scesi in piazza, definendolo un’opportunità storica nella direzione di un vero cambiamento. Il giorno dello sciopero si sono svolte varie attività in tutti i quartieri: canti, story-telling per bambini, visite guidate, discussioni, laboratori artistici e altro ancora. C’era un grande senso di unità, di affiatamento, di appartenenza e di solidarietà. Perché, come dice la  poeta palestino-canadese Rafeef Ziadah in una sua famosa poesia, We Teach Life, Sir  (Noi insegniamo la vita, Signore)

Oggi è venerdì 21 maggio e ci siamo svegliati con un cessate il fuoco. È stata una mattinata relativamente tranquilla qui ad Haifa. Sono seduta nel mio giardino e mentre digito queste parole guardo l’aiuola poco curata che mi trovo davanti agli occhi. Devo estirpare le erbacce dal mio giardino. Stamattina ho solo dato un’occhiata alle notizie, ma non ho bisogno di leggerle per sapere cosa stanno pubblicando. Le notizie israeliane riportano un lento ritorno allo status quo. Sono sollevata che almeno abbiano smesso l’orribile attacco a Gaza, per ora. Ma ho paura. Ho paura che torneremo di nuovo allo status quo, il “normale” che è la nostra realtà quotidiana: più discriminazione sistemica e leggi razziste contro i cittadini palestinesi, il continuo massacro di palestinesi a Gaza e nella Cisgiordania occupata, l’assedio a Gaza che non è stato revocato da14 anni. All’interno della società israeliana più ampia, stiamo assistendo a una pericolosa radicalizzazione, a una maggiore disumanizzazione e odio verso i palestinesi e a una normalizzazione del regime di apartheid in corso. Questo “normale” noi non lo vogliamo, è un “normale” pericoloso.

Noi, i cittadini palestinesi di Israele, siamo una parte inseparabile del popolo palestinese, e la nostra lotta è la stessa. È una lotta per la giustizia, la libertà, la parità di diritti e una vita dignitosa. Per la prima volta vedo speranza nelle giovani generazioni. È una generazione determinata, coraggiosa e che non ha paura. È una generazione che non accetta più la nostra fallimentare leadership politica. È una generazione che insiste sull’unità del popolo palestinese: palestinesi che vivono all’interno dei confini del 1948, palestinesi di Gaza, della Cisgiordania occupata e della diaspora. Ho piena fiducia che questa generazione ci condurrà verso un futuro migliore per tutti noi. Un futuro in cui vivremo con dignità, avremo parità di diritti e libertà. (traduzione dall’inglese di Pina Piccolo)

khulud khamis è una scrittrice palestinese di Haifa, autrice di Haifa Fragments (Spinifex Press, 2015), traduzione italiana Frammenti di Haifa (Fila37, 2015)  

@ khulud.khamis

 

L’articolo è stato pubblicato in inglese per la prima volta nel sito rogue., a cura del Rogue Collective il 23 maggio 2021

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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