Di che cosa parliamo quando parliamo di movimento – Shailja Patel (trad. Marta Matteini e Pina Piccolo)

Detail Epifania

 

 Il testo in traduzione italiana è ripreso dalla poesia interpretata da Shailja Patel nel video https://www.pw.org/content/shailja_patel. realizzato a cura dello Smithsonian Institute.

 

Come ci vedi tu, la migrante; come vedi Noi, l’Altro? Mi ha chiesto un uomo ieri sera, alla fine della mia presentazione a Venezia.

 

Indovinate la razza del Noi. Indovinatene la cittadinanza.

 

L’ho detto tante di quelle volte che non ho più fiato: il Kenya è metropoli, città, come pure natura selvaggia. Vedi noi. Il Kenya è gente, umanità. Non soltanto animali e piante selvatiche. Vedi noi.

 

Ciò di cui parliamo quando parliamo di libertà è il diritto di essere visti. Essere visibili – ed essere nella norma. Visibili e incolumi. Visibili e rispettati.

 

In che modo io, che voi concepite come migrante, vedo voi, che credete di appartenere a questo luogo? Voi che vi considerate stanziali a Venezia, città di palazzi che sembrano torte nuziali in equilibrio sull’acqua alta?

 

***

 

Ho risposto:

 

Quello che vedo è che i migranti bianchi in Kenya si definiscono espatriati. Prima si definivano colonizzatori.

 

Ho risposto:

 

Quello che vedo è la misera feritoia da cui guardate il mondo. Quanto è stretta la vostra penosa fessura nel muro. Una scarna scheggia di luce.

 

Ampliate la vostra finestra, vi dico, brandite un piccone e spaccate quei muri di mattoni. Aprite uno squarcio che mostri almeno duecento anni di storia. Vedrete i migranti europei che prendono d’assalto i confini della Cina, che inondano il paese di oppio.

 

Brandite di nuovo il piccone e colpite. Demolite altri duecento anni. Tenetevi a distanza dai frammenti di mattoni che schizzano per aria.

 

Guardate a est. Osservate i migranti bianchi, locuste con il casco coloniale, che sciamano per tutta l’Asia. Vedrete i cadaveri consunti dalla fame, i templi devastati dai vandali, ecco ciò che rimane al loro passaggio.

Guardate in basso. Vedrete le orde affamate d’Europa accumularsi in vascelli traballanti, salpare verso sud. Vedrete i loro corpi consumati dallo scorbuto irrompere nel continente africano. Mani tese. Mascelle in moto perpetuo.

 

Brandite di nuovo quel piccone. Aspettate che la polvere si depositi. Ora avrete una vista panoramica, ampia cinquecento anni. Vedrete barche piene di famelici migranti europei che arrivano a tentoni alle coste del Nord America.

 

Di quello che seguirà non diremo niente.

 

* * *

 

Cittadini, è così che vi definite. Abitanti della cittadella. La fantasia dell’autoctono ben radicato. Quella fittizia narrazione che voi vivete lì dove sono le vostre origini.

 

Quello che vedo io quando vi guardo è la migrazione torrenziale, incessante, dell’effluvio dei vostri scarti materiali.

 

Le vostre montagne di computer sventrati ad Agboblashie, in Ghana. Il vostro tsunami di plastica scartata in Cina. Le vostre balle di vestiti usati nella Gikomba di Nairobi. I vostri barili di scorie nucleari sulle spiagge della Somalia. Le vostre fuoriuscite di petrolio e le fiamme degli oleodotti in tutto l’ Ogoniland della Nigeria. I vostri furiosi maschietti psicopatici che stuprano ragazze dall’Afghanistan a Okinawa. Le vostre pistole. Le vostre bombe. I vostri carri armati. I vostri droni che squarciano i cieli d’Africa.

 

Quello che vedo quando vi guardo sono folle di italiani stupratori di bambini per le strade di Malindi in Kenya, che si trascinano dietro delle esili dodicenni.

 

Dopotutto è stato Lei, Signore, a chiedere.

 

* * *

 

Ciò di cui parliamo quando parliamo di vedere è la dimensione della finestra da cui si guarda. In che direzione essa è rivolta. Quello di cui parliamo quando parliamo di migrazione è: cosa si muove e chi viene spostato? Dai muscoli di chi? Dove si ferma?

 

Quello di cui parliamo quando parliamo di parlare è, chi dà le definizioni e delinea? Dove vanno a finire i loro detriti? Chi è al sicuro e chi alla fine è libero?

 

Shailja-Patel

Nata nel 1970 in Kenya da una famiglia di origine indiana, Shailja Patel trascorre gli anni  formativi nel paese africano, dove fa esperienza dalle conseguenze della globalizzazione sull’Africa, fondamentali tematiche della sua opera. Trasferitasi in Gran Bretagna, si  laurea in economia e scienze politiche,  emigrando in seguito negli Stati Uniti, dove ritornerà nel 2019 dopo  numerosi anni trascorsi  da adulta in Kenya.

Negli anni 90 e all’inizio del duemila, dopo essersi formata ed affermata poeticamente nelle poetry slam statunitensi, la sua poesia si muove nella direzione di performance poetry, alternata  ad un’intensa attività di giornalismo, saggistica e attivismo politico e sociale anche sui social media.

Dopo aver allestito a San Francisco lo spettacolo teatrale che abbina poesia a danza, nel 2008 pubblica Migritude I: When Saris Speak, opera tradotta in numerose lingue e adottata come testo nelle scuole ed università. Questa raccolta poetica, che prevede anche delle volumi successivi, è fondata sul concetto di “migritudine”, condizione che caratterizza l’era globale presso le popolazioni del Sud del mondo e in maniera crescente anche tutte le altre popolazioni. Attualmente è molto attiva sul fronte culturale femminista e decoloniale, è invitata a numerosi festival internazionali, pubblica in maniera prolifica poesia e saggistica su riviste di prestigio.

 

 

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Marta Matteini, genovese, ha studiato e vissuto a Trieste, Venezia, Los Angeles e Milano. Toscana d’adozione, è docente di inglese, giornalista professionista e traduttrice di narrativa. Con la poesia di Shailja Patel è approdata alla traduzione poetica. Da molti anni modera gli incontri culturali presso il Biscottificio Dogliani di Carrara (definita da Luisa Muraro “la fabbrica che sforna dolci e produce pensiero”) e dirige Rosanova, rivista di arte e storia del giardino.

 

 

 

 

 

 

 

Immagine di copertina: Michelle Angela Ortiz, “Arrival and Belonging”, 2021, Installazione Multimediale, Philadelphia Museum of Art, Detail Epifania.

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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