DENTRO IL CARACOL ZAPATISTA. Impressioni di viaggio e sul festival zapatista CompArte la Humanidad

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di Ximena Soza

Il 4 gennaio 1994 due eventi segnarono la mia vita, per sempre; diventai mamma di un ometto mapuche (gruppo indigeno del sud del Cile e Argentina) e fui testimone, benchè purtroppo a distanza, dell’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) in Chiapas, guidato dalla comandante Ramona e il subcomandante Marcos (tra i tanti e le tante).

Nel 1992 ero stata a San Cristóbal de las Casas, all’interno di un progetto che prevedeva visite a comunità indigene in America latina. In quei giorni giravano voci su qualcosa che si stava preparando nella zona, ma non so quanti in quel momento avrebbero mai potuto immaginare che una rivoluzione sopita, e per mano indigena, si sarebbe risvegliata nel sud del Messico.

im 1Nel 1997 regalarono un furgoncino-giocattolo zapatista a mio figlio: rudimentale e dai colori vivaci, con Marcos e Ramona di stoffa, con addosso mitraglie di legno. Immagino che quello sia stato il primo contatto di mio figlio col mondo zapatista. Crescendo, in quanto mapuche, divenne cosciente della storica sofferenza indigena e cominciò a familiarizzare con le teorie di vari movimenti di resistenza. Nel corso del 2016, io e mio figlio intraprendemmo il viaggio alla volta del Chiapas per partecipare al festival CompArte la Humanidad, organizzato dall’EZLN per mezzo del CIDECI o Unitierra (centro di studi alternativo localizzato a San Cristóbal de las Casas). Per lui, come per me, tanta l’allegria d’essere in quel sud, testimoni di trasformazione e lotta.

All’arrivo in aeroporto fummo accolti da uno sciopero, per questo l’autostrada era bloccata, fatto non insolito in quei giorni e in generale, dal momento che San Cristóbal continua ad essere il luogo di sostegno per diverse cause di giustizia sociale, come in questo caso la mobilitazione che appoggia il magistero di Oaxaca, da vari mesi attivo in scioperi e proteste. Quando si schiuse, il cammino ci condusse ad una città che, per quanto diversa da quella di 24 anni prima, conservava ancora qualcosa di magico, che nei miei ricordi era caratterizzato da donne con vestiti tradizionali indigeni che camminavano lungo vicoli di un luogo cosmopolita, ma ancora intimamente legato ad aspetti della cultura messicana.

DSC02792Nel CIDECI potemmo conoscere artisti di diverse discipline, giunti dai quattro angoli della terra per sviluppare iniziative artistiche di diversa indole (teatro, musica dai generi e dalle origini più varie, performances di arti visuali con diversi supporti, danza, produzioni tessili, installazioni, murales, giocoleria e anche magia). Dopo alcune informazioni basiliari, il luogo divenne familiare e potemmo portare a teim 2rmine le attività alle quali mi ero iscritta al festival: un laboratorio rivolto ai bambini, consistente nel creare giocattoli di carta e lana; poi anche un’installazione pubblica chiamata “Sotto le suole” che condivide più di 100 storie di sfollamento (sia del corpo che dell’anima), provenienti da molte parti del mondo e scritte in 7 lingue. L’installazione era stata già presentata in diversi stati degli Stati Uniti, del Messico e sarebbe stata presentata in Brasile e Cile nel 2017. Mio figlio, oltre ad aiutarmi nelle mie attività, trovò con chi suonare la jarana (strumento jarocho che suona da vari anni), così come con chi chiaccherare e con chi collaborare nelle attività legate al festival. Inoltre, quale dolce simbolo della sua essenza e del suo destino, trovò appesa alle pareti del CIDECI una bandiera mapuche, che è un gesto di solidarietà degli zapatisti nei confronti della lotta mapuche (lotta lunga e indomita), solidarietà espressa varie volte attraverso la voce del subcomandante Marcos (adesso Galeano).

bajo las suelas chiapasPer il festival zapatista le molteplici comunità avevano preparato presentazioni artistiche, che in un primo momento non si sarebbero potute presentare, dal momento che l’EZLN aveva deciso di donare al magistero di Oaxaca i fondi racconti con la call degli artisti a San Cristóbal. Non avendo fondi per la mobilitazione, gli zapatisti decisero allora di non andare fino al CIDECI, bensì di permettere che i partecipanti del festival presenti nel CIDECI li raggiungessero, visitando i Caracoles zapatisti (luoghi di organizzazione e incontro nelle comunità autonome zapatiste).

L’emozione per la visita ai caracoles crebbe tra i visitatori. Nonostante l’invito fosse aperto a tutti i caracoles, per motivi di viaggio, io e mio figlio ci iscrivemmo solo alla visita al caracol di Oventik, a circa due ore da San Cristóbal. All’arrivo affrontammo un controllo rigoroso, venne verificata la nostra identità e iscrizione. Mentre attendevamo, ci soffermammo ad osservare elementi che parlavano del territorio in cui eravamo. Un grande cartello, al margine della strada, recitava: “per tutti tutto, per noi nulla. Comunità autonoma ribelle zapatista, giunta del buon governo”.

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Sulla soglia del caracol, incominciammo a vedere uomini e donne dai volti coperti, murales con personaggi e messaggi zapatisti e, sullo sfondo del grande recinto, un palco circondato da uomini mascherati che proteggevano i partecipanti e vigilavano sull’integrità del comandante Moisés (altro leader del movimento), la cui voce, diffusa da un altoparlante, ci dava il benvenuto.

visitando_san_cristobal_2-003visitando_san_cristobal_2-004Rimanemmo esterefatti per le vaste costruzioni, per la cura di ogni piccola stanza costruita da diverse organizzazioni interne che lì si riunivano ed erano attive. Ci rese felici sapere che gli zapatisti avevano a disposizione luoghi come questo, per convocare i Chiapanechi e il mondo, ci impressionò la mistica soggiacente al passamontagna o ai fazzoletti che coprivano i volti di uomini e donne di diversa età, dagli adolescenti agli anziani.

Camminammo all’interno del recinto e scoprimmo le stanze riservate ai visitatori, con letti rustici, capaci di ospitare fino a 60 persone. Scoprimmo inoltre le strutture della scuola, in cui erano attivi non professori ma “facilitatori culturali”, qualificati e preparati secondo i valori zapatisti.

DSC02911Riposammo di fronte al palcoscenico e seguimmo una sfilza di presentazioni, letture poetiche, opere di teatro, canti e danze tradizionali, tutte svolte da persone coperte da passamontagna, che prima di iniziare le loro attività si presentavano dicendo: sono… nome, gruppo indigeno di appartenenza, lingua indigena parlata e concludendo “e orgogliosamente zapatista”.

L’emozione, che si impossessò di noi durante quelle ore di visita all’Oventik, era difficile da contenere nel corso delle singole presentazioni. Pur avendo visto tanti gruppi indigeni, nulla raggiungeva la dignità di quel posto. Mio figlio mi confessò di conservare nel cuore quella visita, che era simbolo della sua stessa identità indigena ed espandeva la sua visione della resistenza. Mi impressionò molto il lavoro arduo e persistente realizzato dall’EZLN, così come ascoltare mio figlio pronunciare quelle parole d’orgoglio. In quei 22 anni entrambi erano cresciuti, più di quello che avrei potuto immaginare.

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PS: Nel 2017 si è svolta la seconda edizione del festival ComParte por la Humanidad, sempre nel CIDECI e nel caracol di Oventik. In questa circostanza, mio figlio ha fatto la sua presentazione musicale, a cui si è aggiunta quella musicale di suo fratello e il lavoro visuale di mio marito. Questa volta, ho pensato di condividere il mio lavoro con la mia parola, ho declamato la storia che state leggendo e una lettera dedicata all’EZLN.

Successivamente i compas zapatisti ci hanno intervistato nel CIDECI e hanno filmato ogni partecipante, per poi condividere il materiale tra le comunità. Nel caracol di Oventik i compas hanno proseguito con le altre presentazioni all’insegna della danza, musica, del teatro e della poesia.

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DSC02832XIMENA SOZA. Artista plastica, scrittrice ed educatrice, nata in Cile nel 1975.

In qualità di artista plastica ha partecipato a esposizioni collettive, lavorando pietra, metallo, materiali tessili e vetro. Co-curatrice della mostra “Latinos emergentes” presso il Milwaukee – WPCA, curatrice di “Intersectionality” nel Centro Cultural de la Misión para las Artes e di “Arte por los derechos humanos” a Oakland. Ha preso parte a due azioni artistiche, assieme ad altri quattro artisti: “Borders”, nell’UW Oshkosh (2008) e “Bilingual America” nell’UW White Waters (2010). Le sue installazioni sono state esposte nelle strade di Misión MAPP, dove nel 2013 ha preso avvio il lavoro internazionale “Bajo las suelas” (Sotto le suole) che è stato diffuso negli Stati Uniti, in Messico, Cile e Brasile. Tra il 2014 e 2017 ha realizzato il “Solo Mujeres” presso il Centro Cultural Misión di San Francisco. Nel 2016 ha presentato il suo lavoro personale “Sueños Rotos” presso la Galería de Arte Latino di Milwaukee, Wisconsin.

In qualità di scrittrice ha collaborato con diverse compagnie teatrali e ha ricevuto premi letterari internazionali e visto inclusi suoi racconti in antologie in Argentina e Stati Uniti. Dal 2005 al 2009 ha collaborato col Teatro Público di Milwaukee e col Teatro Maquis, compagnia di Teatro dell’Oppresso. È stata membro anche di “Nuestra voz, nuestra historia” (2008) e dei “Monólogos Latinos” (2009, 2010, 2011), entrambi in collaborazione con l’UW-Milwaukee. La sua produzione poetica è stata presentata in diverse esposizioni, associata a lavori plastici o di artisti di altre discipline, ad esempio nell’esposizione “Ni de Aquí, ni de Allá” di Raoul Deal. A settembre 2014 la Biblioteca Pubblica di Berkeley ha pubblicato un libro di memorie in cui ha incluso il suo “Hijo“.

​Per approfondire: https://www.ximenasoza.com/

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Traduzione di Lucia Cupertino
Foto: Ximena Soza

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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