“Questa prima parola che non so
dire- ma che per nulla al mondo potrei tacere.”
Questi versi di Paola Cimatti si possono considerare l’incipit di questa antologia, lo spazio di offerta di lettura e la condizione sperimentata da chi scrive, che non sa, ma cerca girovagando nella propria mente perché percepisce qualcosa di ineffabile, ma come dirlo, scriverlo, rappresentarlo? Poi Leila Falà pone un quesito fondante con soli due versi:
“ma non è forse stato sempre così / lancinante, pericoloso e ultimo il cambiamento?”
Mi sembrano due elementi peculiari delineati con pacata originalità da queste due poete appartenenti al gruppo femminile di poesia, alias Gruppo 98. C’è un movimento sottile nei testi che scorrono come se queste poete stessero nuotando in un mare ora di seta, ora mosso o molto mosso come il grido lanciato da Loredana Magazzini: “decenni di lavoro costante / annullati da migliaia di sguardi / che dicono no, non esisti, non esisti / non tentare di esistere senza di me.”
È il tema che ci accompagna per tutta la vita, questo nostro testardo cercare di esserci a oltranza e per il solo fatto che esistiamo.
Nella prefazione di Leila Falà e nelle postfazioni di due terapeute è descritta la motivazione profonda del dare corpo, quindi un esistere in divenire, in trasformazioni ripetute dove il dare corpo non è distinto, per noi donne, dal farsi corpo vivo desiderante. Scrive Zara Finzi:
“stanotte / brinderò da sola, rinuncerò al rimorso di vivere / senza lasciare il mondo a / un’altra generazione / brinderò al dolce turbamento di / una quinta diminuita, ignorando / la banalità che stermina / ironia senso destino e” come il pieno vuoto di Serenella Gatti Linares quando scrive:
“Alternanza nella vita di donna / tensione a un cerchio perfetto / invece sono diagonali / linee sghembe/.” Ecco il pregio di questa collettanea che non ha temuto di presentarsi sghemba. Un tempo usare la stoffa a sghembo era un arte perché gli abiti o le gonne potevano perdere lo stile o l’armonia. Tutte le poete, mi sembra, hanno attraversato questo timore e si sono ascoltate con le loro voci, si sono specchiate l’una nell’altra come un’esperienza del prendersi cura di sé non diversamente dal prendersi cura dell’altra e collocarsi quindi in una condizione che viene percepita vitale, non ovvia o scontata. Scrive Alessandra Vignoli: “Sola minuscola / nel cosmo infinito / sottile quasi schiacciata / in quel volo / che misura l’animo / e mi straccia ogni pensiero.”
Oppure Anna Zoli: “La parole incompresa / incrina l’aria / come sasso nel vetro / e rimane sospesa / nel tunnel del non detto / in riluttante attesa.”
Questa consapevolezza dell’incomprensione e della sospensione mi suggerisce una capacità di navigare le alterne vicende del nostro vivere con la forza che vi regala l’esperienza e la voglia di scoprire e di riconoscere la vita anche attraversando condizioni difficili come scrive Giovanna Zunica: “Pensieri affamati / si arrampicano su muri scorticati / scivolano su ringhiere malferme / balzano su tetti assolati / s’avvinghiano a fili del bucato.” Che piacere mi trasmette quest’ultimo verso, ci restituisce il nostro lavoro quotidiano del riordino di casa lo scrive anche Paola Tosi: “Chissà dove sono quei versi / che mentre scopavo (nel senso di pulire) / sgambettavano in testa./ Dicevo più tardi li debbo annotare.” E ancora Vania Virgili: “C’è una terra di passo / che non so dire dove / ogni forma è aperta da confini e / ponti accarezzano le menti.”
Ascolto questi versi come un canto che avete intonato tutte voi poete, canto in cui il ritmo restituisce radici all’essere donne pensanti, all’essere poete, al riconoscersi tali. Del resto anche leggendo i vostri curricula è chiaro che sono di tutto rispetto quanto a pubblicazioni e premi ottenuti, insieme a frequentazioni significative nel mondo della poesia. Io stessa ho fatto parte della ‘Società poetica arte della lingua materna’ che voi citate nella descrizione del vostro percorso poetico. Ho quindi esperienza della lettura/ascolto che si esperimenta nel gruppo e del cambiamento/rottura del canone che si può esperimentare lavorando insieme. Questo permette di pensare la poesia anzi il mondo della poesia come relazione e nutrito da altre dimensioni artistiche, proprio come i titoli delle immagini di Donatella Franchi come Il gioco delle sorelle, Messaggi di una Preziosa o Arbusti lungo il fiume dell’inclinazione. Sono immagini che ci restituiscono una condizione del poetare che lievita la nostra umanità e trasforma la competizione in condivisione.
PAOLA ELIA CIMATTI
Questa prima parola
Questa prima parola
che non so dire
– insetto molesto –
questo fastidio
di un pensiero indigesto
non ancora formato
mia scommessa – mio pungolo
che preme e trattiene
unghia rotta – bastone e carota.
Questo mazzo di chiavi – mio spazio abitabile.
Questa prima parola che non so
dire – ma che per nulla al mondo
potrei tacere.
LEILA FALA’
Rannicchiata
(da un’immagine affiorata nel dormiveglia)
Rannicchiata
come bambina
sul gradino della porta
che introduce alla tua casa.
Minuscola eppure
hai capelli solo bianchi
guardi e pensi se stare ancora
oppure entrare.
La casa al chiuso offre l’interno
il gradino offre la strada
il giardino offre l’esterno.
Lo stare è la perenne soglia.
Lo sguardo al lontano
la fronte al pavimento
i gomiti sulle ginocchia
le mani pencolanti foglie.
Ne resta di tempo per fare
per essere ancora altro.
Rinnovarsi? È con stanchezza
che pensi al da farsi.
Energia da trovare.
Come se sbagliare costasse tutto.
Come se tornare fosse interdetto.
Ma non è forse stato sempre così
lancinante pericoloso e ultimo il cambiamento?
LOREDANA MAGAZZENI
Sei donna di valore
Sei donna di valore, ma te lo dico in privato
in pubblico mi presentano uomini
poeti, essi hanno il polso della
situazione poetica, si confrontano con altre
cerchie poetiche. Noi, ci troviamo in privato
parliamo piccolo. L’affetto che sentiamo
l’una per l’altra è cosa di poco conto
per chi guarda da fuori. Noi non vediamo
noi stesse, se ci affacciamo allo specchio
poetico: decenni di lavoro costante
annullati da migliaia di sguardi
che dicono no, non esisti, non esisti
non tentare di esistere, senza di me.
ZARA FINZI
*
strane mattine di teste girate
e mancamenti
il capezzolo mi fa male
le stanze colonizzate dalla noia.
strade, isacchi sgozzati
foderi spalancati di strumenti
posati a terra per l’obolo
giallo sul viola del velluto.
mi confessa la vetrina del negozio
in cui non mi riconosco
leggera euforia l’ombra dell’ombra
dopo questa luce provvisoria.
stanotte
brinderò da sola, rinuncerò al
rimorso di vivere
senza lasciare il mondo a
un’altra generazione.
brinderò al dolce turbamento di
una quinta diminuita, ignorando
la banalità che stermina
ironia senso destino e
il n’importe quoi col suo precipizio e la
sua impossibile redenzione.
– amami per sempre – canticchio, merde
al mondo iper-reale che
decreta la nostra scomparsa.
cosa c’è di più bello che un
attimo insignificante?
SERENELLA GATTI LINARES
*
pieno vuoto
alternanza nella vita di donna
tensione a un cerchio perfetto
invece sono diagonali
linee sghembe
esilio interiore
desiderio di diverso
come questo verso
interrotto a metà
nel giusto verso
ALESSANDRA VIGNOLI
*
Sola minuscola
nel cosmo infinito
sottile quasi schiacciata
in quel volo
che misura l’animo
e mi straccia ogni pensiero
sento le stelle
come sorelle lontane
ricche di ali di fuoco appassionante
Così – madida di sudore – mi sveglio
gli occhi fissi a quel miraggio
ANNA ZOLI
*
La parola incompresa
incrina l’aria
come sasso il vetro
e rimane sospesa
nel tunnel del non detto
in riluttante attesa
GIOVANNA ZUNICA
Pensieri affamati
pensieri affamati
s’arrampicano su muri scorticati
scivolano su ringhiere malferme
balzano su tetti assolati
s’avvinghiano a fili del bucato
colano per grondaie logore
s’infognano in acque scartate
riaffiorano in torrenti tumultuosi
guizzano come anguille
sfuggono corrono pensieri
PAOLA TOSI
*
Chissà dove sono quei versi
che mentre scopavo (nel senso di pulire)
sgambettavano in testa
Dicevo più tardi li debbo annotare
Annotare Annotare Annotare
Intanto pulivo gli specchi
Il tempo di stare con me era quello
creare, creavo
creavo pulito
Poi come un’arancia ammaccata
(sul viso una traccia di lotta)
cercavo frenetica
matita e quaderno
ma i versi, quei versi
li ho persi per sempre
VANNIA VIRGILI
(C’è una terra di passo)
C’è una terra di passo
che non so dire dove
ogni forma è aperta da confini e
ponti accarezzano le menti.
Vedo figure nitide
che cantano ogni lingua, donne
riflesse senza più gli specchi:
figlie figlie nostre siamo
nidi affettuosi siamo case
in cerca del mare originale dove
tutto è mortale e respira
infinito
Stretti
ai vostri fianchi
i nastri di seta e
i fiumi delle nascite
Figlie
figli per voi le foci, le finestre,
il largo il mito gli abbandoni
poesie tratte da A.a. V.v. DELLA PROPRIA VOCE, qudulibri 2016