I tre ucelli
Sono stata al campo d’erba verde
Nei pioppi cantavano tre uccelli
Li ascoltava la vecchia pastoressa
E mi disse la vecchia pastoressa:
« Se ascolti la gazza che stridula
Litigiosa e mai è in riposo,
Diventerai cattiva e pazza di testa
Quindi chi vorrà farti compagnia ?
…Se dai retta al triste picchio verde,
Nell’ombra fitta del fogliame,
Che interroga colpendo ogni ramo
Dov’è andata a finire la sua perduta fortuna,
Vivrai solo giorni amari e cupi
E tu lavorerai senza tregua e senza riposo
…Ma senti la dolce tortora
Che tuba dall’alba alla sera.
Come essa sii dunque una tenera ragazza
E ardente in giochi d’amore… »
Nei pioppi cantavano tre uccelli.
Inker , Idda, Ioufan’ Lokfen
―Si alzò, se ne andò e trovò la morte,
Perché mi hanno fatto sposare suo padre…
“…Sfortunata sono io! Sfortunata!”
Lo sognavo tutta la notte,
Lo pensavo tutto il giorno.
Mi faranno sposare suo padre…
Trovava modo d’incontrarmi
E per me bruciava d’amore.
Con tutto il mio essere, ero già sua moglie.
Mi faranno sposa di suo padre…
Suo padre, vedovo, era l’amico di casa nostra.
Mio padre disse: si, perché l’amico è benestante.
Vorrei gridare che amo il figlio.
Mi faranno sposare suo padre…
L’ho visto, amato, per l’ultima volta.
Anche lui niente può confessare.
Preferisce andarsene e diventare soldato.
Mi faranno sposare suo padre…
Mi disse:« se resto a casa,
Come potremo vivere insieme ?
Quindi dobbiamo separarci per sempre.
Ti faranno sposare mio padre… »
Suo padre e il mio dissero: « Resta !
Resta con noi per essere felice ! »
Il suo cuore diceva : « non sarò felice con nessuno.
Le faranno sposare mio padre. »
Disse : « Dio vi protegga e mi perdoni !»
Se ne andò. Nessuno potrà mai dubitare
Del nostro amore e della nostra infelicità.
A suo padre, mi faranno sposare…
Si alzò, se ne andò e trovò la morte.
A suo padre, mi faranno sposare.
Perché…?
Vicine, perché dovrei vergognarmi di me stessa?
Vicine, mi guardate con un occhio cattivo
Dove la gelosia è più forte dello sprezzo,
Perché il mio uccello è quello che mi dà di che vivere
Non potete fare altrettanto, vicine !
Guardandovi, agli uomini vengono le nausee
E i vostri mariti, venduto un agnello
Vengono la sera a bussare alla mia porta.
Il fittaiolo vive della sua terra e del suo bestiame.
Il maniscalco dei ferri che fabbrica.
Il negoziante delle derrate che vende.
E tutti incorrono nei rimpoveri dei loro clienti…
Io che non ho mai dato torto a nessuno,
Potete dire altrettanto, buone vicine ?
Do in prestito mio corpo, il mio bene
Senza mai ricevere nessun rimprovero,
Come prestate le vostre mani a un lavoro di campo.
Dite con disgusto : « Ijja si vende agli uomini ! »
Buone vicine, provate dunque a fare altrettanto !
Io sono bella, sento bene e attiro gli uomini
Come attirano le api i fiori primaverili…
Perché dovrei vergognarmi di me stessa, buone vicine ?
Mririda
Mi han soprannominato Mririda, Mririda,
Mririda, agile ragnella dei prati
Non ho, non ho i suoi occhi d’oro.
Non ho, non ho la sua bianca gola.
Non ho, non ho la sua verde tunica.
Però quel che ho come lei, Mririda,
Sono i miei “zezarit”, i miei “zezarit” (1)
Che volano fino agli ovili ,
Dei miei “zezarit”, i miei “zezarit”
Si parla in tutta la valle
Eppure dall’altra parte delle montagne,
I miei “zerarit” che meravigliano e fan venir invidia
Perché fin dai miei primi passi nei campi,
Ho preso dolcemente le ranette agili,
Impaurite e tremanti nelle mie mani,
E ho stretto per lungo tempo la loro bianca gola
Sulle mie labbra di bambina e poi di giovane ragazza.
Così mi han trasmesso la meravigliosa virtù
Di questa baraka (2) che dà loro un canto,
Un canto così chiaro, così vibrante e così puro
Nelle notti d’estate bagnate dalla luna,
Un canto simile a quello del cristallo
Simile ai tintinni del martello sull’encluma(3)
Nell’aria più sonora che precede la pioggia…
E grazie al dono fattomi da Mririda
Mi chiamano: …Mririda, Mririda
Chi mi prenderà potrà sentire
Nella sua mano, nella sua mano, battere mio cuor,
Come spesso sotto le mie dita ho sentito
Battere il cuor impazzito delle ranette…
Nelle notti bagnate dalla luna,
Mi chiamerà Mririda, Mririda,
Il mio dolce e caro soprannome.
Per lui lancerò i miei acuti “zerarit”,
I miei interminabili “zerarit”,
Cui gli uomini ammirano e di cui le donne sono gelose,
E come quelle mai conosciute nella valle…
1- “zerzarit” o “tararit”: sono i “you-you” , stridulazioni vocali che caratterizzano le donne arabe o berbere.
2- La “baraka”, favore divino che porta fortuna. È una potenza misteriosa , sopranaturale e benefica di cui sono
rivestiti i santi, certi personaggi rinomati, alberi, a volte dei luoghi come le sommità, i crocevia, fonti,grotte…
3-“Come i tintinni del martello sull’encluma”: questo verso è quello che cantava Mririda nel suo aspro dialetto : “zound talmaliout n’oumzil iskerd-Tagount…”
Invocazione alla luna
Luna , O luna! Il Sole della notte,
Che fai e sfai le stagioni,
Tu la cui potenza dà alla Terra
Le notti che generano la fecondità,
Tu che hai insegnato alla gente del popolo
I giorni propizi e i giorni nefasti
Ai molteplici lavori dei campi,
Luna, tu che decidi le nascite e gli sbocci,
Tu che rendi la semenza sterile oppure generosa,
Tu che fai soffiare i caldi venti notturni
Disseccando e uccidendo il cuor degli orzi teneri,
Tu che fai appesantire il mantello dei geli funesti
Imploriamo la tua clemenza, infimi che siamo.
O Falce della mano fortunata, (1)
O Falce della mano cattiva, (2)
O Mola d’oro che macina il grano delle stelle, (3)
Aire d’oro delle notti d’estati e d’inverni
In mezzo al celeste cammino di paglia, (4)
Invochiamo l’aiuto di Dio e la tua Baraka
Perché tu ci dispensi solo del bene,
Fa che i nostri lavori conoscano un lieto fine
E che l’anno sia favorevole agli uomini!
1- La falce lunare, primo quarto della luna crescente. La falce tenuta nella mano destra.
2- L’ultimo quarto. La falce tenuta nella mano sinistra.
3- Nessun eco di Victor Hugo non è giunto a Mririda. Eppure questa frase si
traduce così : … Ia ! aghoraf eddahab ar-zad irdèn itran…
4- La Via Lattea, chiamata Cammino di paglia, Cammino delle stelle e anche
Sentieri di latte.
Per gentile concessione del traduttore, Rachid Faggioli, tradotte dal francese e facenti parte del manoscritto inedito “I canti della Tassout”, in attesa di proposte editoriali da parte di case editrici italiane. Le foto dell’articolo sono a cura di Rachid Faggioli.
Mririda N’ait Attik (ca. 1900 – ca. 1940) è il nome d’arte di una sheikha berbera, poeta/performer analfabeta che improvvisava poesie accompagnate da danza e canto in lingua Tamazight nei mercati dell’alto Atlante dopo aver lasciato alle spalle un matrimonio contratto in giovanissima età. La sua storia e le sue poesie sono state raccolte dal francese Rene Euloge, che aveva soggiornato nei monti dell’Atlante dal 1923 lavorando come insegnante e che nel 1927 iniziò a pubblicare in francese le sue opere con il titolo Mririda n’Ait Attik. Les Chants de Tassaout: Traduits du dialecte Tachelhait par Rene Euloge. I temi trattati nella sua poesia comprendono l’amore, il divorzio, i problemi della convivenza con suocere e cognate, i matrimoni forzati, la prostituzione, tematiche trattate con grande schiettezza e da un punto di vista di fiera resistenza femminile, che all’epoca suscitarono profondo scandalo.
Rachid Faggioli, studioso poliglotta – 5 lingue- di madrelingua Tamazight e di ‘padre’ lingua italiana, è docente di lingua e letteratura angloamericana all’università Ibn Zohr di Agadir in Marocco, e ha pubblicato saggi di critica letteraria in francese, inglese e italiano. E’ autore del romanzo Le silence éclatant des rêves (Paris, L’Harmattan, 2001).