il volto, la maschera, i gesti, la storia
Pubblichiamo su questo numero di LMS parte di un prezioso servizio fotografico inedito dedicato a Dario Fo, realizzato a più riprese da Daniele Ferroni a Cesenatico. Sono istantanee in bianco e nero molto belle, gaie oppure tristi e pensose, come mai prima d’ora.
Immagini che ricordano Dario in scena. Di come non abbia mai realizzato parodie banali, tanto per far ridere. Le sue non sono mai state smorfie fini a se stesse, volgari mimesi per una grassa rista – ma la prova evidente di micro episodi espressivi, costruiti per l’esplorazione e recupero della realtà. Come ha scritto Bernard Dort “ Dario Fo ha tutto per essere un mimo prodigioso. Sa riunire in un gesto della mano, del braccio e del corpo, quei movimenti casuali ai quali non cessiamo di abbandonarci. Ma quello che appare sono le figure mutevoli, transitorie degli uomini immersi nella storia e nella lotta delle classi.” Non importa se la realtà che affiora e dialoga con noi, grazie a queste immagini,viene colta nei suoi aspetti ridanciani, comici o tragici, oppure assorti e misteriosi. Quel suo fresco parlare senza parole s’appoggia nella comunicativa popolare per un contenuto morale, la rappresentazione di un urto necessario tra due mondi, tra due concezioni, come ha scritto Gramsci. Si dice del teatro comico come di una reinvenzione cosciente della vita, presentata in forma immaginativa: in modo da suscitare interesse e partecipazione. Al punto di credere che, al suo meglio, riesca ad esprimere i nostri stessi sentimenti; per condurci in un mosaico di creature che come noi soffrono, gioiscono, lottano per evadere da se stesse. Si ride di ciò che costituisce il contenuto dell’argomentazione quanto degli schemi argomentativi. Si ride di ciò che si può o non si può dire. Si ride grazie alle astuzie della scelta, delle variazioni, dell’interpretazione patteggiata. Si ride grazie a smorfie appropriate non stolte. La maschera, i gesti, le espressioni argute, provocatorie e grottesche dei personaggi di Fo sono ancora oggi indelebili.
Fissate nella memoria di coloro che lo hanno visto dal vivo. Quelli che hanno gioito e possono ancora gioire di capolavori ineguagliabili quali La nascita del giullare, La resurrezione di Lazzaro, Le nozze di Cana, La fame dello zanni poi confluiti in Mistero Buffo; sino a Francesco Giullare di Dio: un unicum dove l’esperienza ed esistenza creatrice dello spettatore e dell’attore coincidono. Questo grazie a migliaia di giullarate, situazioni comiche ispirate a fonti che spaziano dal teatro greco a quello medievale, da quello rinascimentale a quello moderno, nate sotto l’urgenza e il segno della dismisura. Una dismisura pazientemente distesa per parlare dell’oggi e dei cortili sotto casa. Cosi è stato sin dagli esordi con il Dito nell’occhio, poi negli anni a seguire con la complicità di Franca Rame, per denudare il potere politico, la logica pretestuosa dell’ovvietà, l’ipocrisia di chi si nutre della nostra quotidianità. Maschere esorbitanti, pungenti e indomabili. Utili nell’additare contro-maschere ostili, filtrate dall’ipocrisia, dall’imperdonabile stanchezza di essere al mondo. Dario Fo è stato un giullare shakespeariano alla corte di un’umanità priva di cuore, bisogna dirlo. Un’umanità colpevole di decine di migliaia di femminicidi, carneficine insensate, morti bianche sul lavoro, produttrice di sprechi e di fame, insensibile alle necessita’ di centinaia di milioni di poveri. Un’umanità riottosa e ostile nei confronti di centinaia di migliaia di migranti, diseredati persino del diritto al dolore.
Forse per questo il premio Nobel Dario Fo ha voluto fosse scritto sulla sua tomba: giullare. Semplicemente giullare. Anziché maestro di satira. Un giullare del XX secolo che ha saputo rintuzzare, mettere alla gogna esseri umani affetti da smodato desiderio di successo; nostri vicini di casa golosi di feroci privilegi. Parlo di quelli che vorrebbero essere buoni, pur sapendo di fare il male, come scriveva Pasolini. Per tutta la vita, come l’autore delle Ceneri di Gramsci Dario Fo ha odiato e fustigato gli indifferenti. Ha creando maschere comiche irresistibili, vive e messe in situazione come strutture gestuali. Un insegnamento prodigioso per una comicità civile, scrupolosa e sapiente. Oppure roboante e fracassona, se necessario, per ripartire da zero. Perché no? In teatro, come in tutte le arti, la pigrizia non può essere di casa: il corpo, la mano che non risponde è già passata al suicidio. Anche questo ci dicono le gioiose e malinconiche fotografie di Daniele Ferroni.
Walter Valeri
Imola, 6 dicembre 2021