Dal Marocco all’Amazzonia brasiliana: la storia delle due Mazagão

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TRA IL MAROCCO E L’AMAZZONIA BRASILIANA:
STORIA E MEMORIA COLONIALE DI UNA CITTÀ TRASPORTATA OLTREOCEANO

di Alessia Di Eugenio

 

Como fazer uma cidade? Com que elementos tecê-la? Quantos fogos terá?
Nunca se sabe, as cidades crescem,
mergulham no campo, tornam a aparecer1.

Carlos Drummond de Andrade, A rosa do Povo


Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città,
i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti.

Italo Calvino, Le città invisibili

 

 

 

 

La città di Mazagão Velho, parte dello stato di Amapá, nella regione nord amazzonica del Brasile, racconta di un passato coloniale ben poco conosciuto, una storia d’esilio che cominciò nel 1769, in Marocco. Singolari feste cittadine, riti, musica, canti, messe in scena teatrali e ricordi divenuti leggende preservano oggi, tra storia e mito, la memoria collettiva di una lunga traversata. Nel XVIII secolo gli abitanti della città marocchina oggi chiamata Al Jadida, all’epoca colonia portoghese che aveva il nome di Mazagão, vennero letteralmente trapiantati dall’altro lato dell’oceano, dopo un breve passaggio a Lisbona. Mazagão rinasce brasiliana.

immagine 1_MazagaoIl suo nome deriva dalla parola berbera “Mazighan” che significa “acqua del cielo”, termine impiegato nella regione per riferirsi alle cisterne costruite dai portoghesi e destinate a raccogliere l’acqua piovana. Mazagão era infatti una città-fortezza pensata per essere totalmente autosufficiente. Situata nel litorale atlantico del Marocco tra Tangeri e Agadir, offriva vantaggi incomparabili per i portoghesi: la baia in cui è installata era considerata il più sicuro punto di approdo di tutta la costa atlantica del Nord Africa. Inoltre, la regione Doukkala di cui faceva parte, era tra le più ricche regioni agricole del Marocco.

Dal XV secolo il Portogallo avvia un’aggressiva politica coloniale in Africa occidentale anche con l’intento di circumnavigare il continente e tracciare una rotta verso l’oceano indiano, istallando avamposti sicuri in molti punti della costa africana. Mazagão è parte di questo progetto. I portoghesi arrivarono nella regione nel 1502 e nel 1514 costruirono la grande e massiccia fortezza, conosciuta per essere la roccaforte dell’Occidente cristiano in terre musulmane. Ne affidarono la progettazione all’architetto italiano Benedetto da Ravenna: era la prima città ideale del Rinascimento costruita fuori dall’Europa, come la definì lo storico Carlo Ginzburg.

Il prezioso testo, relativamente recente, dello storico Laurent Vidal, Mazagão, La ville qui traversa l’Atlantique: Du Maroc à l’Amazonie (1769-1783), racconta di quest’odissea come anche della vita quotidiana degli abitanti dell’antica Mazagão. Al confine tra terra e oceano, la città-fortezza aveva due porte d’accesso: la porta del governatore, l’entrata via terra e la porta del mare, sull’oceano e fuori dall’obiettivo nemico. La vita quotidiana era segnata dal ritmo dei turni di guardia delle sentinelle ma in tempo di pace la fortezza era aperta e non era raro che mori e berberi vi passassero per vendere i loro prodotti agricoli e artigianali. Anche in caso di fame l’aiuto era mutuo e frequente.

immagine 2_MazagaoLa fortezza ospitava approssimativamente 2000 persone, una popolazione eterogenea che comprendeva circa 600 soldati, circa 100 cavalieri, giovani e nobili, vari artigiani e agricoltori, molte famiglie tra cui quelle dei soldati e altre che vi si trasferirono, come alcune delle Azzorre che ottennero l’autorizzazione reale per abbandonare l’arcipelago a causa della carestia provocata dall’eccesso di popolazione. Inoltre vi erano padri della chiesa, schiavi africani, alcuni mori (schiavi o convertiti) e un discreto numero di prigionieri politici (Mazagão era anche un luogo d’esilio dell’Impero portoghese).

Per tutti i soldati della fortezza l’obiettivo atteso, scrive Vidal, era “il grande combattimento”, l’occasione per ottenere il titolo di “Cavaliere dell’Ordine di Cristo”, equivalente a un titolo di nobiltà. Opportunità di onore e gloria, ma anche di mobilità sociale. Per molti altri, invece, sarebbe stata l’occasione buona per tornare in Portogallo.

La fortezza, di fatto, resistette eroicamente per più di due secoli alle incursioni e agli assedi dei mori, anche con un numero estremamente inferiore di soldati, guadagnandosi così la fama di “inespugnabile”, diventando simbolo della Reconquista e motivo d’orgoglio per l’amministrazione lusitana. Ma nel 1768, all’ennesimo attacco da parte dei soldati mori guidati dal sultano Mohamed, il governatore di Mazagão chiede rinforzi da Lisbona e riceve, invece, un diverso ordine: abbandonare la fortezza. Il re D. José I motiva la sua scelta, in una lettera al governatore, ammettendo la sempre maggiore inutilità della fortezza per l’impero portoghese.

Inviò ordini molto precisi per permettere un trasferimento rapido: il governatore dovrà negoziare una tregua di tre giorni, organizzare la partenza degli abitanti che avverrà attraverso la “porta del mare”, tramite 14 imbarcazioni portoghesi inviate per incaricarsi del trasporto e secondo un rigoroso ordine di imbarco, per evitare confusioni e disordini. L’11 marzo 1768 cominciò la grande ritirata e il trasferimento a Lisbona di tutti gli abitanti della fortezza che ancora non sapevano cosa li avrebbe attesi: un’altra traversata, forzata, e ben più lunga.

Francisco Xavier de Mendonça Furtado, ministro della marina che fu anche governatore dello Stato del Grão-Pará e Maranhão in Brasile (a partire dal 1751) e conosceva bene l’Amazzonia, convinse il primo ministro (il Marquês de Pombal) dell’utilità di fondare una nuova Mazagão in Amazzonia, provando a dar vita a una politica di creazione di borghi e città (sotto la sua amministrazione vennero fondate più di 60 città in Amazzonia, la maggior parte delle quali nacque dalla trasformazione di antiche missioni gesuite). La decisione venne presa rapidamente: gli abitanti dell’antica città marocchina sarebbero stati accolti a Lisbona per un breve periodo e sarebbero poi stati imbarcati nuovamente per rifondare la città di Mazagão oltreoceano.

Questo provvedimento va compreso considerando la geopolitica che riguardava l’Impero portoghese nella seconda metà del XVIII secolo e s’iscrive nel contesto di lavoro delle commissioni di frontiera. Nel trattato di Madrid, sottoscritto nel 1750 per la rinegoziazione delle frontiere tra i possedimenti portoghesi e quelli spagnoli in America, fu adottato il principio giuridico uti possedetis secondo cui i territori reclamati da una o dall’altra corona andavano attribuiti a chi fosse in grado di provare la presenza regolare di coloni nel territorio. Il Portogallo tentò così di popolare i margini dei suoi possedimenti a sud del Brasile e in Amazzonia, nel margine nord, nelle Terras do Cabo Norte dove pochi anni prima, nel 1763, 150000 coloni francesi tentarono di installarsi minacciando il controllo del confine, nonostante il Trattato di Utrecht del 1713 avesse stabilito le frontiere tra Guiana Francese e Brasile portoghese. I vecchi abitanti della fortezza da “soldati della fede” dovevano convertirsi in coloni del Nuovo Mondo. La giustificazione ufficiale fu quella di permettere che, sfiniti da sacrificio e sofferenza, potessero riposare e trovare ristoro nelle terre d’abbondanza tropicali. Ma il compito di “rifondare la città” era, di fatto, un ulteriore passaggio del cammino di sfruttamento coloniale, non certo la promessa di una vita migliore.

Gli abitanti di Mazagão vennero prima contabilizzati (circa 2092 persone), poi divisi per liste di famiglie (436) e poi classificati in ordine alfabetico. L’11 agosto i capifamiglia si riunirono per ricevere il pagamento: salari, rendite e pensioni che il re doveva agli antichi soldati. Quest’atto poneva così fine al loro vecchio statuto di “soldati della fede”, alterava la struttura gerarchica esistente all’interno della fortezza e creava al suo posto una vera e propria comunità di destino. Ma all’appuntamento ricevettero solo una parte del denaro; la restante sarebbe stata saldata all’arrivo nella nuova terra.

Vidal cerca di ricostruire cosa avvenne in quel periodo di attesa a Lisbona e cosa successe quando venne loro comunicata la decisione della nuova meta, dato che tutti furono obbligati ad imbarcarsi verso l’Amazzonia con la sola eccezione dei soldati senza famiglia e dei nobili di sangue. Difficile dirlo consultando gli archivi dei soli documenti amministrativi. Pochi dati aiutano l’immaginazione: qualcuno – pochi – tentò la fuga ma venne immediatamente catturato. Qualcun altro tentò di ricorrere alla corte ma non venne ascoltato. La maggior parte delle famiglie si organizzò per affrontare il viaggio.

Vidal racconta inoltre dello sforzo che molti fecero nel ricostruire la memoria del loro percorso, citando un poema epico trovato negli archivi e scritto nel periodo di permanenza a Lisbona. Il poema racconta dell’incontro tra un membro della corte e un abitante dell’antica Mazagão, all’arrivo delle navi dal Marocco. Ne riporto qui un breve passaggio citato dallo storico e tradotto nella versione italiana del testo2:

«[…]Oh amico mio, ribatté l’Africano

bagnato di lacrime e sospirando

Già Mazagam si è abbandonata

Già la fortezza è in lor mano

Già la popolazione è stata evacuata

Già a Mazagam tutto è invano

Già ogni cosa è stata imbarcata

Cosa ancora vuoi saper di un disgraziato

Piangere ora tu mi vedi

Poiché all’istante son stato obbligato

A perder per sempre la mia terra

E a ritrovarmi spossato, nudo, spogliato.


[…]Che triste scenario potevasi contemplare

In quella sfortunata Piazza

L’uno grida, l’altro inneggia, gli altri sospirano

Il popolo tristemente afflitto passa all’azione

L’uno su un cavallo scarica il proprio odio

L’altro scaglia in strada la sua splendente argenteria

A tutti gli animali del gregge

Vengono mozzate le zampe.

Fu un caos di triste confusione

Fu una vera valle di lacrime

Di sospiri, lamenti e afflizione

Che si vide su quei petti decorati

Mazagam venne allora pianta

Dopo che i suoi figli si videro perduti

Ritratto vivente dell’abisso eterno

Se possono esservi ritratti dell’Inferno.

[…]Ecco dunque amico mio, la mia storia

Ecco lo stato della nostra Mazagam

Di cui oggi conserviamo nella memoria

Le rovine della sua perdizione.


Tra violenza, confusione e paura, il 14 settembre 1769 comincia la seconda traversata. Distribuiti in 10 navi i vecchi abitanti di Mazagão abbandonarono Lisbona in direzione di Belém, capitale dello stato del Grão-Pará e Maranhão. La nuova città intanto cominciava a essere costruita al confine con le terras do Cabo Norte: il piano urbanistico fu affidato all’ingegnere e geografo italiano Domenico Sambuceti, che viveva in Amazzonia dal 1760, e l’organizzazione della costruzione al capitano Morais Sarmento. Il debito che la Corona aveva contratto con gli abitanti della fortezza fu saldato nella nuova terra donando schiavi africani e materiali: i vecchi guerrieri dovevano convertirsi in agricoltori-schiavisti.

immagine 3_MazagaoCon il nome di Nova Mazagão, la città fu ufficialmente rifondata il 23 gennaio del 1770, quando ancora non era terminata. Infatti, nel primo periodo – che durò anni, fino al 1778 – i nuovi arrivati furono ospitati nelle case degli abitanti di Bélem, in attesa che tutte le loro abitazioni fossero costruite. A mano a mano che le costruzioni avanzavano, le famiglie cominciavano a essere trasferite, a partire dal 1771, su fragili canoe, attraversando il Rio delle Amazzoni fino al luogo prescelto per la nuova Mazagão. Tuttavia, durante questi anni di nuove attese, transiti parziali e soluzioni provvisorie, molte cose cambiarono. La città, che secondo la Corona doveva rinascere attenendosi rigorosamente alle liste di famiglie che lasciarono Lisbona, rinacque invece come città meticcia, con un grande numero di schiavi africani e abitanti indigeni (venne, infatti, costruita in territorio indigeno e secondo tecniche di costruzione indigena). Inoltre alcuni morirono, altri nacquero, altri crearono nuove famiglie e molti fuggirono – nel 1776 ben 343 persone erano riuscite a scappare – e quelle vecchie “liste” di famiglie, sulla base delle quali venivano attribuiti case e alimenti, non rispondevano più alla situazione reale. L’amministrazione coloniale continuava a difendere il rispetto delle liste mentre gli abitanti chiedevano che venisse riconosciuto il nuovo assetto sociale. Questo cominciò a generare numerosi conflitti.

Inoltre la vita in città fu tutt’altro che semplice, fin dall’inizio: difficoltà con la produzione agricola per mancanza di conoscenza della regione, difficoltà di collegamento esterno (la città dipendeva ancora da Bélem per i rifornimenti di carne, farina, pesce, frutta e altri generi alimentari), segni di cedimento delle case perché il terreno era paludoso, pesante clima equatoriale e molte malattie tropicali che si diffusero rapidamente e debilitarono la popolazione. Così gli abitanti della nuova Mazagão decisero di inviare un messaggio alla Corona portoghese, approfittando del passaggio al trono (1778) della regina D. Maria I, acerrima oppositrice del Marquês de Pombal. Volevano soluzioni allo stato di abbandono in cui si trovavano o chiedevano di poter tornare indietro. Ricordavano gloriosamente il loro passato marocchino e denunciavano esplicitamente come imposizione e violenza il loro presente amazzonico, firmandosi “originari dell’estinta piazzaforte di Mazagão”. Il messaggio sarà approvato e inviato, non senza notevoli attese e difficoltà (tutte le comunicazioni con il governatore del Grão-Pará avvenivano tramite canoa). Solo nel 1783 la Corona portoghese rispose e decise di porre fine all’obbligo di dimora per gli abitanti di Nova Mazagão senza, tuttavia, mettere a disposizione alcun tipo di mezzo per il loro ritorno. Era dunque una falsa e inutile concessione. Così cominciò a svanire ogni speranza di ritorno e continuò la vita, tra tentativi e stenti. Si ha notizia di qualcuno, tra i più ricchi, che riuscì a fuggire senza permesso e raggiungere Salvador de Bahia o la regione del Minas Gerais. Pochissimi casi. La sorte dei restanti non era più preoccupazione della Corona, nonostante simbolizzassero l’età d’oro della tanto declamata resistenza portoghese in Africa.

Nelle retoriche portoghesi è ancora oggi visibile un’immagine salvifica della terra amazzonica, con radici nel discorso post-coloniale e luso-tropicalista brasiliano sul Brasile come terra di immigrazione, mescolanza e tolleranza. Alcuni articoli che raccontano della storia di Mazagão mantengono queste visioni stereotipate, anche se, come mostrano tutte le ricerche fin ora realizzate, la disapprovazione e il successivo malcontento della popolazione rispetto a questo progetto sono difficilmente negabili.

A metà del XIX secolo Mazagão aveva una popolazione di 1961 persone libere e 317 schiavi, numeri che però vennero in poco tempo drasticamente ridotti a causa della malaria che si diffuse nella zona. Il calo demografico rese sempre più difficili i lavori di mantenimento degli accessi alla città che con il tempo divenne sempre più isolata. Molti, principalmente bianchi e famiglie con maggiori mezzi, si traferirono a circa 30 km dalla città dove, nel 1915, venne fondata Nova Mazagão. Fu così che, per opposizione, la prima città prese l’attuale nome di Velha Mazagão. Pochi abitanti rimasero: indios, schiavi “abbandonati” dalle famiglie, poveri e in prevalenza neri. Oggi la maggior parte della popolazione di Velha Mazagão è, infatti, afro-discendente. Vi erano tutti gli elementi, insomma, per rimuovere o perdere la memoria dell’antica origine luso-marocchina dei primi abitanti della città rifondata. Eppure proprio qui comincia forse il più interessante racconto del ruolo e dell’uso di questa memoria, invece, vivissima nella regione.

immagine 4_MazagaoA Mazagão Velho tutti gli anni si svolgono importanti feste tradizionali e religiose. La prima, e più nota, è quella di São Tiago (San Giacomo) che si festeggia tra il 16 e il 28 luglio: un grande mélange di sacro e profano, cavalleria, musica e teatro. L’aspetto mistico della festa risale al credo popolare secondo cui São Tiago sarebbe apparso, come valoroso soldato anonimo, per condurre i cristiani all’eroica vittoria nella battaglia contro i musulmani, proprio nelle terre marocchine. Secondo echi di narrazioni settecentesche, nella Mazagão marocchina il nome di São Tiago veniva evocato come grido di combattimento. Due giovani uomini del paese rappresentano e incarnano São Tiago e São Jorge (le famiglie dei giovani pagano, con anni di anticipo, un “pegno” al comitato della festa per garantire che i figli possano un giorno interpretare le figure dei due santi). Rituali, canti, processioni, narrazioni degli eventi inscenati e bagni nel fiume si susseguono durante le giornate di festa. Si mette in scena un ballo in maschera, ricreazione di un ipotetico ballo organizzato dai mori per celebrare la prima vittoria sui cristiani, a cui segue la teatralizzazione di vari momenti leggendari come la restituzione dei regali avvelenati dai mori, la morte del loro capo Caldeira, la successione del figlio Caldeirinha e il “grande combattimento”: la simulazione della battaglia equestre tra mori e cristiani. Alcune danze – testimonianza dell’incorporazione anche di elementi indigeni – accompagnano la rappresentazione della vittoria finale dei cristiani. Tutta la teatralizzazione si ripete il 28 luglio con protagonisti i bambini vestiti di rosso e bianco, i due colori che rappresentano mori e cristiani.

Un video sulla festa di São Tiago: https://www.youtube.com/watch?v=hrFPr2Z1lZc

Di tracce materiali di questa memoria coloniale oggi a Mazagão Velho, paese di circa 500 abitanti, rimane pochissimo: qualche casa coloniale e le urne delle antiche famiglie che sembra siano custodite nella chiesa. Un notevole processo di mitificazione, contagio e incorporazione di elementi locali ha dato vita alla festa e ha reso possibile il mantenimento di tale memoria. L’appropriazione di queste narrazioni storiche ha permesso di affermare la triangolarità etnica dell’antica migrazione – Marocco/Portogallo/Brasile – ma ha assunto un particolare significato nel tempo. L’istituzione della festa sarebbe un modo per testimoniare e celebrare l’origine africana degli abitanti, situata storicamente in Marocco.

immagine 5_MazagaoSignificativa al riguardo è la posizione di un articolo di Maria Cardeira da Silva e José Alberto R. Silva Tavim che problematizza l’affermazione del Centro da Cultura Negra di Laguinho (Macapá) secondo cui furono i neri abitanti di Mazagão Velho ad aver fondato e inaugurato la festa di São Tiago3. La critica degli autori è quella di “capitalizzare”, tramite la festa, l’africanità dell’origine di Mazagão Velho per reclamare a beneficio della comunità lo statuto di Quilombo4 – villaggi che furono fondati da schiavi fuggiti dalle piantagioni e oggi chiedono riconoscimento -. Vi è inoltre la velata “accusa” di aver prodotto un infondato mito dell’identità diasporica e generato un “turismo di diaspora o di radici” che ha spinto molti brasiliani a voler visitare la marocchina Al Jadida. Un approfondito articolo di Véronique Boyer, Passado português, presente negro e indizibilidade ameríndia: o caso de Mazagão Velho, Amapá, argomenta con maggior dettaglio le ragioni secondo cui oggi buona parte della popolazione richiama orgogliosamente la propria origine africana legandola alle vicende dell’antica Mazagão 5. La storia degli abitanti della Mazagão brasiliana è legata a quella dei neri quilombolas della regione e di quelli, schiavi e non, che non ebbero le possibilità e i mezzi per fuggire dalle epidemie e furono costretti a restare nelle rovine di una città decadente che veniva progressivamente abbandonata: gli sfruttati degli sfruttati. Sanno che anche alcune famiglie di origine portoghese condivisero lo stesso destino ed erano le dirette discendenti degli antichi abitanti di Mazagão ma enfatizzano i processi di mescolanza avvenuti in territorio brasiliano e – soprattutto – il luogo di provenienza degli antichi abitanti. Con questa narrazione, arricchita anche da credenze popolari secondo cui il Marocco è popolato da neri perché territorio africano, gli abitanti di Velha Mazagão rinforzano l’identità nera e africana all’origine della loro storia, legittimandola attraverso l’antico passato marocchino e il rimando a un’origine geografica comune, quella del continente africano. Siamo davanti al processo che gli antropologi definiscono “reinvenzione della genealogia culturale”.

Una testimonianza di quest’identità, che mescola credenze, storia, religione e cultura, si troverebbe nella danza dei Marabaixo, associata a una celebrazione cattolica che si svolge a Mazagão Velho tra il 16 e il 24 agosto, sulla cui origine circolano diverse versioni. La danza venne trasmessa da schiavi neri e, attraverso processi di sincretismo, finì per accompagnare la festa di omaggio alla Santissima Trinità e allo Spirito Santo. Una delle versioni sull’origine del Marabaixo ritiene che il nome derivi dalla vicenda di un nero schiavo che, protestando per la sua deportazione, si lasciò morire durante la traversata. I suoi compagni buttarono il corpo in mare – “mar abaixo” – gesto da cui poi deriverebbe il nome. Un’altra versione, invece, spiega l’origine associandola al modo di danzare: il passo è trascinato richiamando la maniera in cui ballavano gli schiavi neri quando chiesero alla regina un giorno di riposo per celebrare la festa dello Spirito Santo: la regina concesse di togliere le catene dalle mani, ma non dai piedi. L’ultima, invece, afferma che la danza giunse proprio degli africani del Marocco, un altro segno di rafforzamento del racconto mitizzato delle origini.

La storia di Mazagão ha certamente molte tragiche e stupefacenti particolarità ma non è in fondo molto diversa dalle tante ferite aperte tra i continenti che raccontano storie di migrazioni forzate e irrimediabili deportazioni sorrette, in molti casi, da false retoriche e ingannevoli promesse di futuro. Né è molto diversa dalle tante dinamiche coloniali in cui assistiamo a una triste catena di multipli sfruttamenti. Ricostruire i resti, gli usi e le incorporazioni impure di queste memorie ci restituisce forse l’illusione di “guardare al microscopio”, da una prospettiva più vicina e umana, queste grandi dinamiche storiche di esili e sopraffazioni e forse ci aiuta a comprendere come le forme di appropriazione della memoria, per quanto bizzarre, alternate o infette, possano diventare anche strumenti di affermazione e resistenza.

1 Traduzione mia: Come fare una città? Con quali elementi tesserla? Quanti fuochi avrà? / Non si sa mai, le città crescono, / s’immergono nel campo, tornano ad apparire.

2 Laurent Vidal, Mazagão, la città che attraversò l’Atlantico, Milano, Mondadori, 2006.

3 Si dichiara ufficialmente che la festa è stata fondata nel 1777. Vi è conferma di una festa organizzata quell’anno, in onore della regina, in cui è stata messa in scena una battaglia (navale) fra mori e cristiani ma non vi sono conferme della continuità di tale festa nel tempo, solo dati che ne permettono di affermare lo svolgimento nel 1795 e poi dal 1915. Tutti gli abitanti di Mazagão Velho, tuttavia, affermano l’antica esistenza e continuità della festa.

4 Vengono chiamate Quilombos le comunità che furono fondate da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni e istallate in zone difficilmente raggiungibili. Oggi esistono ancora molti di questi insediamenti che chiedono di essere riconosciuti legalmente come tali. Il documentario intitolato Raça di Joel Zito Araújo e Megan Mylan (2013) racconta anche del processo di riconoscimento di queste comunità: https://www.youtube.com/watch?v=9CppLHwAtBg

5Della vecchia Mazagão marocchina, invece, non restarono che rovine abbandonate per più di mezzo secolo, fino a quando Sidi Mohammed Ben Ettayeb, governatore di Doukkalas, su ordine del sultano Moulay Abderrahmane Ben Slimane Alaoui, decise di recuperare la città. Così prese il nome di Al Jadida, “la nuova”, “la rinnovata”. Una colonia ebraica (Oulad Douib) e due tribù berbere (Oulad Hacine) nel 1821 furono autorizzate a istallarvisi. A partire dal 1827 qualche famiglia europea, soprattutto spagnola, fu autorizzata a vivere nella fortezza a condizione di garantire il mantenimento dei costumi e delle tradizioni ebraiche. La torre di Rebate viene riadattata e diventa minareto di moschea e, ancora oggi, è l’unico minareto al mondo a 5 lati.

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Bibliografia

– Hadj Abdelmajid Nejdi, L’histoire commune entre Doukkala et l’Amazonie : http://www.eljadidasat.info/index.php/sport/130-etudes-et-analyses/1416-l-odyssee-historique-de-la-ville-de-mazagan
– Laurent Vidal, La ville qui traversa l’Atlantique: Du Maroc à l’Amazonie (1769-1783), Paris, Edition Aubier, 2005.
– Laurent Vidal, «Cidade em Trânsito», In Revista de História, 2009.
– Manoel do Vale, A historia A história de Mazagão Velho, por um de seus filhos: http://selesnafes.com/2016/06/a-historia-de-mazagao-velho-por-um-de-seus-filhos/
– Maria Cardeira da Silva e José Alberto R. Silva Tavim, «Marrocos no Brasil, Mazagão (Velho) do Amapá em festa – a festa de São Tiago», in Maria Cardeira da Silva, Castelos a Bombordo: etnografias de patrimônios africanos e memorias portuguesas, Centro em Rede de Investigação em Antropologia – CRIA, 2013.
– Paulo de Assumpção, «Mazagão: Cidade em dois Continentes», in usjt, arq. Urb, n. 2, secondo semestre, 2009.
– Véronique Boyer, «Passado português, presente negro e indizibilidade ameríndia: o caso de Mazagão Velho, Amapá» in Religião & Sociedade, vol. 28, n. 2, Rio de Janeiro, 2008.
– Trailer del film Mazagão, the water that returns: https://vimeo.com/26489520

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Alessia Di Eugenio. Laureata in Filosofia, ha svolto periodi di studio in Francia e in Brasile. Innamorata di Rio de Janeiro, ci è più volte tornata per brevi periodi di ricerca. Attualmente svolge un dottorato a Bologna in Studi Letterari e Culturali brasiliani, lavorando su modernismo e Antropofagia culturale. Collabora con la casa editrice Edizioni La Linea e con l’agenzia di editoria digitale Lilith. Ha inoltre insegnato in alcune scuole di italiano per stranieri e partecipato a progetti di scrittura creativa realizzati nelle scuole. Curatrice e traduttrice dell’edizione italiana del progetto Fiabe Migranti. La scrittura è una delle sue passioni, insieme al canto.

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Immagine principale: Gabriel Penha/G1

Immagine 1: http://madeinmazagan.weebly.com/mazagan-el-jadida-doukkala.html

Immagine 2: https://historiasdeportugalemarrocos.com/2014/04/18/viver-em-mazagao/

Immagine 3: http://casteloroger.blogspot.it/2011/07/a-festa-de-sao-tiago-mazagao-velho-2011.html

Immagine 4: Gabriel Penha/G1

Immagine 5: http://www.eljadidasat.info/index.php/sport/130-etudes-et-analyses/1416-l-odyssee-historique-de-la-ville-de-mazagan

 

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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