Il sepolcro di Lazzaro
Da questa pietra non so staccarmi.
Ottobre è un fiore, luglio un bosco dimenticato,
gennaio la pena di un binario
locomotore senza conducente.
In questa terra assolata
l’erba è più forte delle sue creature.
Fui seppellito senza cieli, un temporale di cenere e luce
entrò nel mio sonno. Risorsi.
Vermiglie teologie videro i miei calzari percorrere pietraie.
Per rancore, nel fianco, mi fu piantato un coltello.
Le palpebre ebbero un fremito. Risuscitai.
La città era stata distrutta, al suo posto
non il candelabro, non la croce, non l’aquila
ma un nuovo Dio, il tuo Said, che non è il mio.
Ti amai senza conoscere il tuo volto.
L’imperatore di Bisanzio s’adornava di greco,
con pupille raggianti portasti il suo anello nel medio.
Trofeo di un incendio, dolore per alberi di croci cedui.
Un tempo l’avrei indossato, ma la tua legge
infierì sul mio corpo. Giacqui nell’estremo orlo del gregge.
Un nuovo temporale di abbandono e chiarore s’aprì
in un rovescio primaverile sul conclave delle eresie.
Tra baracche e cani rabbiosi i notturni e i nebbiosi
seppelliscono ora i morti che mai perdono il loro treno.
Le mie resurrezioni non hanno fine, posseggono la rotta
di un razzo, eco fanciullo di altre vendette.
I talenti
Ho un talento, spoglio cero d’inettitudine.
Non so predire il futuro, questo è certo.
Le sillabe sulla bocca restano appese:
tardo nel parlare resto servo del verbo.
È inutile che mi si inviti ad un banchetto nuziale
resto sulla soglia indeciso se uscire o entrare.
Dipendesse da me gli otri
resterebbero sempre pieni di sola acqua.
Molti anni or sono il padrone lasciò questa casa.
Ad un servo diede dieci talenti, ad un altro cinque.
Il primo li fece fruttare, li raddoppiò,
il secondo fece altrettanto con più astuzia.
A me, ultima lucertola in cerca di parete assolata,
ne diede uno. Mi osservò a lungo prima di partire
per un lungo viaggio. Dubitava? Sperava?
Il calco dei giorni fece maschere
mortuarie sui volti delle ore.
Una ebbe l’espressione di un ghigno,
le altre di un dolore.
Il mio talento era lì, nell’alveo della mano.
Con una vanga, nel profondo di un campo, lo interrai.
Nel palmo atroce ricompariva.
In una buca più profonda tornavo a nasconderlo.
Di nuovo lo stringevo tra le dita.
Feci sorridere con tutto quel mio gran da fare.
Cessavano le guerre, i commerci rallentarono,
re, soldati, mercanti giunsero da lontano
per assistere allo scavo dell’ennesima fossa,
al nascondere il talento e vedermelo
di nuovo spuntare tra l’indice e il medio.
Sisifo immaturo, prestidigitatore mio malgrado
non m’accorsi del padrone tornato:
a lui lo ridiedi ché il futuro aveva annullato.
Basilica di Santo Stefano
Risveglio di neve.
Il fuoco penetra la finestra,
sulle mura non ci sono più foglie,
solo il braccio del crepuscolo
ad ogni istante ricorda l’edera
che saliva sulla pietra.
Vedo la città diversa ogni notte,
la terra amica, le fughe dei portici,
se esiste il giorno lo avrò sulle labbra.
Parlami! La giustizia delle fonti
non ha alcuna corte ove appellarsi.
Di questo tempo scandito in sette silenzi
sono Cassandra che pettina i suoi capelli,
Ilio che brucia, Ecuba che latra,
per esistere ancora in questo fuoco
rischiaro la neve riempio la bocca
con nitide assenze.
Esigo silenzio dal mio corpo,
resterò immota fonte battesimale
spoglia di domande
sarà questo l’istante.
Chiesa senza nome
Le fiabe incompiute
delle solitudini:
raggomitolate primavere
nei telai delle abitudini.
Chiesa del cane fedele
Amavo lo specchio d’acqua e l’altra stella,
ma quel che vedo è la bianca festa
d’un rovo indistinto.
Macchia blu in cima all’albero,
un colibrì.
Onorasti le tue giornate con le tentazioni,
spezzasti il braccio a Dafne,
la notte ebbe un respiro.
Ti leccai le ferite nel sepolcro. Per tre giorni.
Era appena ieri quando il cielo
gonfio, nudo di spine,
si lasciò vivere impaziente.
“Noli me tangere”
la pietra ruzzolò.
Uscii dal sepolcro anch’io
dimenticata locusta di tristezza,
guaito che si compie per raggiungerti.
Poesie tratte dalla raccolta di Domenico Segna Le chiese scomparse (con-fine edizioni)
Domenico Segna: nato a Roma vive e lavora Bologna. giornalista, e vice-caporedattore de I Martedì del Centro San Domenico di Bologna. impegnato nel dialogo ecumenico, lavora nell’ambito della redazione della rivista Il Regno. docente di Protestantesimo presso lo Studio Filosofico Domenicano, l’Università “Primo Levi” e l’istituto “Carlo Tincani” di Bologna, ha pubblicato nel 2007 con Valeria Magnani, con una nota di Roberto Roversi, Libro (Pendragon). Nel dicembre del 2014 ha pubblicato Le chiese scomparse (con – fine edizioni). E’ presente in diverse antologie.
Foto in evidenza di Micaela Contoli.
Foto dell’autore a cura di Domenico Segna.