Me ne vado
Me ne vado davvero
questa sera.
Ti lascio
il tuo giornale
e i tuoi silenzi.
Mi riprendo quelle mie
sciocche, inutili,
farfalle colorate
che volavano al soffitto
e che tu, nei giorni,
schiacciavi contro il muro
come fossero zanzare.
Il pesco è fiorito
E non mi lascerò
scivolare via, no,
neppure ieri,
neppure oggi,
neppure qui,
dentro questo biancore.
Il contravveleno
squassa, goccia amica,
le gambe fatte molli,
mi prende,
la nausea, aggredisce,
ed io, alla bellezza,
alla vita,
ancora più forte
mi aggrappo,
mi appiglio.
La tua mano
mi stringe.
Fuori
il pesco è fiorito.
Grazie
Grazie per le tue mani
che mi hanno stretta
nelle notti, vincendo draghi,
strangolando incubi.
Grazie per le parole dette,
per il coraggio dei silenzi
quando sapevi seppellire
suoni, in fondo al cuore.
Per le fiaccole accese
nelle sere piovose,
per i giorni incendiati
di mille colori,
grazie per l’impronta
che mi lasciavi, di te.
Tu che rimanevi
ostinato, a intrecciare
fili d’amore
in un morbido nido.
Grazie
perché non odorava
di gabbia, grazie
per l’albero ombroso
che eri, ove riposarsi.
Schemi collettivi
Balle, balle raccontate
ogni giorno meticolosamente
tra strette di mano
e falsi sorrisi, smorfie.
Filate con finte parole
all’arcolaio di frasi scontate.
Balle grandi, enormi,
gonfie come dirigibili,
di miti e di eroi, colori,
di principi e di confini.
Balle di quanto è male
lustrate da assolute verità.
Balle pesanti come ferro,
distribuite a sbarre.
Un bambino
Bisogna ascoltarlo
un bambino che tace
guardando lontano
e tormenta le mani
il sasso nel pugno e,
a terra, sfuggito,
il filo del mondo.
Venuto fagotto dal cielo
o dal grido dell’onda
bisogna ascoltarlo
un bambino che chiede
in silenzio, caparbio.
E dargli le ali
dentro un abbraccio.
Non dimenticare, figlio mio
Non dimenticare
di guardare il cielo,
ogni tanto
lasciando stampare
con forza l’impronta
nel cuore.
Bellezza.
Lascia che trafigga
violenta. Da colmarne
gli occhi, dissetarne
l’anima. Da ricordare.
Lascia
che il tuo sguardo
segua ogni linea,
accarezzi ogni lieve
tono, infinito,
di grigi
squarciati ora
da bagliori improvvisi.
E sii anche tu
fuoco ardente
e vento, e saetta
in mezzo alle nubi.
Indugia al tramonto
tra contorni di luce
e macchie arrossate
nel mescolìo di colori.
Dritto dagli occhi
a struggere il cuore.
E senza timore
danza anche tu
l’emozione vibrante
fatti valanga
di passioni e d’amore.
Non dimenticare,
figlio mio,
di guardare il cielo,
ogni tanto.
Da “Orme di piedi nudi nell’anima”, Il Ponte Vecchio 2018,per gentile concessione dell’autrice.
Monica Amaducci vive a Cesena dove lavora in qualità di insegnante. Ha pubblicato Afonie, il primo titolo della collana di poesia edita dal Ponte Vecchio (Cesena 1993), con la presentazione del maestro Renato Turci . Ha partecipato con una propria sezione all’antologia Voce Donna (Il Vicolo di Cesena) e dopo essersi interessata di poesia visiva, con Cesare Padovani, ha esposto proprie opere alla rassegna Rapsodie di Lune a San Marino. Ha scritto testi di satira sociale, recitati in pubbliche manifestazioni, e due testi teatrali, rappresentati da compagnie amatoriali: Labirinti (presentato anche al Plautus Festival di Sarsina) e, per un progetto europeo, Super Mario, presso alcune scuole superiori. Nel marzo 2018 ha pubblicato il libro di poesie Orme di piedi nudi nell’anima, (editrice Il Ponte Vecchio) con l’introduzione di Gianfranco Lauretano.
Foto dell’autrice a cura di Monica Amaducci.
Foto in evidenza di Tracy Allen.