Da“Il ritorno del narratore nella letteratura dei e sui viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo” tesi di Master di Tessa Consoli depositata presso la facoltà di filosofia dell’Università di Zurigo. (dal cap. 6, pagg. 66- 71)
Negli ultimi anni in Italia (ma anche in altri paesi) il discorso filosofico 226 e quello letterario si sono spesso confrontati con la tematica della “realtà”, del “reale”, di un “nuovo realismo” e del “ritorno della (o alla) realtà” con l’intento di diagnosticare, creare, promuovere o divulgare un nuovo tipo di letteratura (e ovviamente anche di cultura) ancorato alla “realtà”, capace di «bucare lo schermo per arrivare alle cose come sono, o per spingerle nella direzione del loro dover essere»,227 capace di agire nel e sul mondo e di segnare una svolta nei confronti delle poetiche postmoderne che – al contrario – mettono spesso in discussione il carattere referenziale della letteratura e del linguaggio. Seguendo questa linea Luca Somigli, in un saggio introduttivo al volume Negli archivi e nelle strade: considerazioni meta-critiche sul “ritorno alla realtà” nella narrativa contemporanea, spiega che mentre nel postmoderno228 si ha una radicalizzazione dell’«ermeneutica del sospetto» e si rinuncia alla «pretesa di agire sul mondo stesso», in alcuni ambiti della narrativa contemporanea italiana avviene un cambio di paradigma: la letteratura diventa uno «strumento di analisi e di denuncia del presente» e si ha una «rivalutazione dell’aspetto etico del lavoro dello scrittore».229 La maggior parte dei critici letterari è concorde sul fatto che questa svolta sia avvenuta all’inizio degli anni Novanta.230
Nel 2014 esce Ipermodernità, un saggio di critica letteraria militante di Raffaele Donnarumma in cui viene svolta un’analisi storiografica del presente mettendo coscientemente e volutamente in risalto la tendenza del ritorno della (o alla) realtà nella letteratura italiana. Tendenza culturale e letteraria che Donnarumma denomina con il termine, appunto, di «ipermodernità». Uno dei primi indicatori di questa svolta, secondo lo studioso, è la comparsa, a partire dalla metà degli anni Novanta, di «scritture di non fiction cui ha fatto seguito, almeno in Italia e più di recente, un uso sempre più esteso delle etichette ‘fiction’ e ‘non fiction’».231 Donnarumma riconosce che l’uso di queste etichette è altamente problematico perché, da un certo punto di vista, ogni scrittura è qualcosa di costruito, un artefatto (anche se non tutto è invenzione). Egli scrive:
La distinzione tra fiction e non fiction è […] largamente abusiva e, per certi versi, primitiva e rozza. Tuttavia, occorre riconoscerle un ruolo decisivo come sintomo del mutamento in atto: dove infatti il postmoderno affermava che tutto è fiction, e operava per la trasformazione in essa degli elementi tratti dalla cronaca e dalla storia, l’ipermoderno tenta una resistenza alla finzionalizzazione, che si compie (ma neppure lì incontrastata) nel dominio dei media vecchi e nuovi.232
Una caratteristica che Donnarumma rileva nella letteratura ipermoderna è la centralità dell’esperienza umana. In accordo con la letteratura e le teorie postmoderne, anche nella letteratura ipermoderna si riconosce che la verità è parziale e situata ma non per questo si rinuncia a enunciarla e a “lottare” per farla emergere. Al contrario, semmai. Per farlo tuttavia, non si fa leva su una presunta oggettività dei fatti (e alla loro mera descrizione), ma piuttosto sulla centralità dell’esperienza umana dell’autore/autrice e/o di altri individui. L’esperienza è da considerarsi in questo caso come qualcosa di altamente soggettivo che concerne l’essere umano in tutta la sua complessità. Complessità che comprende la coscienza e il sapere soggettivi, le emozioni, i sentimenti, il corpo, le relazioni affettive con altri individui o altre comunità. È proprio questa complessità che sta alla base della necessità – da parte degli autori e delle autrici – di superare le modalità narrative tipiche della cronaca e del giornalismo. Per esprimere questa complessità infatti, gli strumenti espressivi della cronaca non sono sufficienti e sorge il bisogno di ricorrere a quelli della narrativa e della letteratura.
Secondo Donnarumma il romanzo Gomorra di Roberto Saviano è uno degli esempi più eclatanti di questa nuova tendenza (o svolta) della narrativa italiana. È infatti un ibrido tra romanzo e reportage (e dunque anche un ibrido tra un’opera di fiction e di non fiction), accetta la parzialità della verità senza però rinunciare a perseguirla, cerca di agire sulla realtà, è impegnato eticamente e pone al centro della narrazione l’esperienza diretta dell’autore (o quella di altre persone, ma fatte tuttavia confluire nella narrazione dell’io narrante). Di Gomorra Donnarumma scrive:
Gomorra vuole essere credibile non solo perché spiega eventi accertabili, nei limiti di quanto si possa accertarli; ma perché guida con le “iridi” e le “emozioni” dell’io narrante il lettore. Siamo in un certo senso nell’ordine della retorica classica: la verità si produce tanto nell’inventio dei fatti, quanto per gli effetti che l’elecutio e l’actio hanno sugli uditori.233
Le parole virgolettate di questo brano sono tratte direttamente da Gomorra dove troviamo una vera e propria dichiarazione di poetica (e di etica) che potrebbe valere per gran parte della letteratura ipermoderna. All’interno di questa dichiarazione riecheggiano – anche se in parte capovolte – le parole presenti negli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini: «Io so. Ma non ho le prove». Donnarumma ci ricorda però che tra Saviano e Pasolini ci sono diverse differenze dettate anche dal contesto storico in cui i due scrittori agiscono: mentre Pasolini agisce nella sua parzialità politica e «divide e cerca lo scandalo», Saviano agisce su un piano etico e «aggrega e costruisce una comunità»;234 mentre inoltre nel caso di Pasolini si può parlare di letteratura dell’impegno, nel caso di Saviano si deve piuttosto parlare di attivismo civile. Riporto qui di seguito la dichiarazione di poetica di Saviano:
Io so e ho le prove. Io so come hanno origine le economie e dove prendono l’odore. L’odore dell’affermazione e della vittoria. Io so cosa trasuda il profitto. Io so. E la verità della parola non fa prigionieri perché tutto divora e di tutto fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. Io so dove le pagine dei manuali d’economia si dileguano mutando i loro frattali in materia, cose, ferro, tempo e contratti. Io so. E lo sanno le mie prove. Le prove non sono nascoste in nessuna pen-drive celata in buche sottoterra. Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesini di montagna. Né possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili perché parziali, riprese con le iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate su ferri e legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo, e così testimonio, brutta parola che ancora può valere quando sussurra: “È falso” all’orecchio di chi ascolta le cantilene a rima baciata dei meccanismi di potere. La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità.235
Donnarumma osserva come nella letteratura ipermoderna sia presente una «retorica dell’emergenza» dovuta al bisogno di numerosi autori e autrici di intervenire urgentemente sul “mondo” e al fatto che, mentre il postmoderno si presentava come «l’epoca della fine della storia e dei conflitti», negli ultimi anni siamo entrati in una fase storica in cui «la storia si è rimessa in moto, i conflitti prendono di nuovo a manifestarsi» e «l’attrito fra vita intellettuale e assetti politico- economici è tornato a essere produttivo».236 In Contemporary Interactions of Realism: Italian Perspectives Lorena di Martino e Pasquale Verdicchio concordano nel constatare che siamo entrati in una nuova epoca dove le contraddizioni del capitalismo globale si sono intensificate. I due critici spiegano il fenomeno del ritorno della (o alla) realtà facendo ricorso alle teorie di Guy Debord sulla società dello spettacolo. La «società dello spettacolo» avrebbe infatti reso molti autori e autrici “affamati” di realtà e l’odierno realismo
seeks to counteract the effects of the collusion between capital, politics, and the media which, in today’s society of the “integrated spectacle”, produces a manufactured democratic consensus by hiding the contradictions inherent to neoliberal democracy, and creating an audience of uncritical and conniving consumers of mediated information.237
Un’altra caratteristica della letteratura ipermoderna, secondo Donnarumma, è la «poetica documentaria», ovvero la citazione o l’incorporazione di documenti nelle opere. Donnarumma sottolinea più volte la differenza tra «poetica documentaria» e naturalismo. Secondo lo studioso «mentre i naturalisti intendevano produrre un’opera che fosse essa stessa, anche documento, nascondendo e riassorbendo le fonti nel tessuto della narrazione […], ora la fonte è esibita nella sua lettera e nella sua alterità».238 A differenza del realismo ottocentesco, il realismo ipermoderno «non pretende di far vedere la cosa in sé, ma la cosa attraverso sé, come solo possibile accesso, cioè nella consapevolezza che una mediazione […] è consustanziale all’atto della rappresentazione».239
Donnarumma osserva che questa poetica documentaria porta la letteratura ipermoderna ad avere dei tratti in comune con la storiografia, ma invece di condannare questa poetica per la sua insistenza sul carattere documentario, bisogna constatare che è proprio essa «ciò che la identifica» e che attribuisce alla letteratura ipermoderna «una qualità ignota alla maggior parte della tradizione romanzesca».240
Donnarumma sottolinea inoltre che questa nuova tendenza della narrativa contemporanea è diversa dal neorealismo italiano del dopoguerra (sebbene in entrambi i casi gli scrittori e le scrittrici sentano l’urgenza di scoprire la – nuova – realtà sociale), perché ci troviamo di fronte a estetiche differenti e a un contesto storico mutato. Donnarumma scrive:
Se il neorealismo si muove su un terreno che è ancora integralmente letterario, e che neppure il cinema insidia, ora il realismo è sempre sull’orlo di essere vanificato dalla comunicazione mediatica, televisione in testa, e la letteratura respinta in una condizione marginale.241
Proprio per evitare confusione tra i termini e sottolineare ulteriormente le differenze tra le nuove tendenze narrative e il neorealismo, Raffaello Palumbo Mosca in un saggio intitolato New Realism or Return to Ethics? Paths of Italian Narrative from the 1990s to Today propone di denominare la svolta degli anni Novanta con il termine «impegno postmoderno» (invece che con l’espressione «ritorno alla realtà»), mettendo così l’accento più sull’aspetto etico che su quello del realismo.242
Sia Donnarumma che altri critici notano che a partire dalla metà degli anni Novanta, assieme al rinnovato interesse per la realtà, nella narrativa italiana tornano anche lo storytelling e la figura del narratore. Donnarumma afferma che «se il postmoderno era stato segnato dalla svolta linguistica, l’ipermoderno è segnato invece da una svolta narrativa».243 Questa svolta narrativa emerge dal bisogno – dopo la caduta delle grandi narrazioni – di trovare narrazioni concrete e quotidiane capaci di fare leva sull’emotività e sulla soggettività. Nella letteratura ipermoderna (così come – d’altronde – anche nella pubblicità)244 la sola argomentazione non basta: il suo universalismo, la sua impersonalità, la sua purezza concettuale vanno trascinate verso la particolarità delle vicende concrete, e occorre che la voce individuata di un io se ne assuma la responsabilità e faccia da mediatrice al loro accesso. Il racconto diviene lo strumento più adatto, perché il problema non è capire, ma fare esperienza: non osservare, ma essere presi.245
Nel saggio Encounters with the Real in Contemporary Italian Literature and Cinema il ritorno del narratore e dello storytelling viene visto come una risposta alla società dello spettacolo e ai discorsi disumanizzanti e oggettivizzanti portati avanti dai mass-media. Anche in questo saggio, inoltre, vengono tematizzati l’insufficienza degli strumenti dell’informazione di massa e della cronaca (che trasformano la vita in fatti vuoti e crudi) e il bisogno di ricorrere all’arte dello storytelling per raccontare una realtà più complessa, umana, reale, parziale e ancorata nell’esperienza. Interessante è che nel saggio si parli di «epic storytelling». Con l’aggettivo “epico” si intende in questo caso tutto ciò che contiene una tensione etica, ovvero una tensione scaturita da un conflitto o da una contraddizione e volta a trasformare lo stato delle cose. Riporto qui di seguito un paragrafo che spiega più dettagliatamente quale sia la principale funzione del narratore secondo Di Martino e Verdicchio, nonché le ragioni della sua scomparsa (diagnosticata da Benjamin nel saggio Il narratore) e quelle della sua ricomparsa nella narrativa contemporanea italiana.
Since the Nineties, the image of the writer-witness, or storyteller, is a recurring presence in hybrid works of both fiction and journalism. The objective of these works is to rescue life from its reification into an object of fast consumption for unthinking spectators by sinking it into the life of a subject who attempts to critically reassess it albeit without explaining it. The storyteller that went away in the age of mechanical reproduction, when, as Benjamin contends, the rapid flow of information began to hinder the human ability to reflect and learn from experience, has returned as a way of counteracting the cognitive and political paralysis generated by the contemporary explosion of the media. S/he has returned to reestablish the primacy of a critical perspective that seeks to rescue events from reduction into mere signs, and reconceptualize them in such a way that they can open new possibilities for ethical interpretation and future action.246
6.3. Oggetti narrativi non identificati e questioni di (po)etica
Anche il collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming nota un cambiamento in corso nella narrativa italiana contemporanea. Nel 2008 sulla rivista online «Carmilla» (www.carmillaonline.com) esce un saggio di Wu Ming 1 in cui si constata l’emergere di una nuova tendenza letteraria a partire dalla seconda metà degli anni Novanta: il «New Italian Epic». Un anno dopo esce per Einaudi un saggio contenente interventi di Wu Ming 1 e Wu Ming 2 in cui il discorso viene ulteriormente approfondito. Interessante è che il collettivo non veda nel ritorno della (o alla) realtà la caratteristica principale di questo nuovo genere letterario. Secondo i Wu Ming la svolta è infatti determinata piuttosto dalla «forzatura»247 e dallo sconfinamento dei generi (saggistica, reportage, testimonianza, prosa, poesia, scienza, letteratura, mitologia, fiction, non fiction, romanzo, diario, autobiografia, biografia, ecc.) che porta diversi autori e autrici italiani a cercare il materiale delle proprie narrazioni negli «archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono»248 e alla produzione di un nuovo tipo di testo: l’UNO (Unidentified Narrative Object ‘oggetto narrativo non identificato’), ovvero «libri che non possono essere etichettati o incasellati in alcun modo». Secondo i Wu Ming non si può però semplicemente parlare di «contaminazione» perché in questo tipo di letteratura non troviamo soltanto «un’ibridazione “endo-letteraria”, entro i generi della letteratura, bensì l’utilizzo di qualunque cosa possa servire allo scopo» (documenti, testimonianze, articoli di giornale, video, canzoni, musica, teatro) e dunque una tendenza alla transmedialità e al superamento dei confini del libro. I Wu Ming notano inoltre come la narrazione transmediale degli UNO tendi spesso a coinvolgere la comunità dei lettori e delle lettrici che vengono a loro volta incoraggiati a partecipare attivamente alle narrazioni. 249
Anche per i Wu Ming, come per Mosca, una delle caratteristiche principali della nuova tendenza letteraria è la svolta etica, ovvero la presenza di «ardore civile, collera, dolore per la morte del padre, amour fou ed empatia con chi soffre»250 nonché la volontà di lasciarsi alle spalle «il tono distaccato e gelidamente ironico da pastiche postmoderna».251 Anche l’aggettivo “Epic” del termine “New Italian Epic” è ricollegabile alla svolta etica. Per spiegarne il significato Wu Ming 1 scrive:
Queste narrazioni sono epiche perché riguardano imprese storiche o mitiche, eroiche o comunque avventurose: guerre, anabasi, viaggi iniziatici, lotte per la sopravvivenza, sempre all’interno di conflitti più vasti che decidono le sorti di classi, popoli, nazioni o addirittura dell’intera umanità, sugli sfondi di crisi storiche, catastrofi, formazioni sociali al collasso. Spesso il racconto fonde elementi storici e leggendari, quando non sconfina nel soprannaturale. […]
Inoltre, queste narrazioni sono epiche perché grandi, ambiziose, “a lunga gittata”, “di ampio respiro” e tutte le espressioni che vengono in mente. Sono epiche le dimensioni dei problemi da risolvere per scrivere questi libri, compito che di solito richiede diversi anni, e ancor più quando l’opera è destinata a trascendere misura e confini della forma-romanzo, come nel caso di narrazioni transmediali, che proseguono in diversi contesti.252
In un articolo più recente comparso sulla pagina internet della casa editrice Alegro, Wu Ming 1 problematizza da un punto di vista etico e poetico la scrittura di opere d’inchiesta che ricorrono anche a tecniche narrative e letterarie. Secondo l’autore esistono principalmente due tecniche con cui scrivere inchieste narrative o – per usare le parole di Wu Ming 1 – della «non-fiction creativa». Queste due tecniche sono:
- Il ricorso a composites, cioè a personaggi immaginari che riassumano in sé le caratteristiche di più persone realmente incontrate;
- Il porsi dell’autore al centro dell’azione anche quando, nella realtà dei fatti, non era presente.253
Secondo Wu Ming 1 entrambe le tecniche sono legittime, ma soltanto a determinate condizioni. Lo scrittore dovrebbe infatti:
■ applicarle con consapevolezza, rigore e rispetto per chi legge;
■ inserirle in un contesto ricostruito grazie a una seria ricerca documentale e/o sul campo;
■ soprattutto, dichiarare le proprie scelte, esplicitamente oppure inserendo nel testo alcuni marcatori, elementi che permettano a chi legge di capire il lavoro fatto, di cogliere e seguire i cambi di passo e di registro.254
Secondo Wu Ming 1 è quindi importante che l’autore o l’autrice mostri e tematizzi nel proprio testo le tecniche usate; scrivere fingendo di non averle usate o nascondendole è invece disonesto. L’autore aggiunge che «se un autore – scrittore o giornalista – nasconde il ricorso a quelle tecniche, vuol dire che non le ha usate […] per rendere meglio l’idea di un periodo storico, di un fenomeno sociale, di un’esperienza vissuta», ma che piuttosto le ha usate «per far passare una propria tesi e/o ingigantire il proprio ruolo negli eventi». Secondo Wu Ming 1 «i libri che nascondono la natura ibrida tra realtà e finzione e ne simulano una oggettiva non sono oggetti narrativi non identificati, sono libri disonesti, si spacciano per inchieste quando non lo sono». Per essere onesti nei confronti dei lettori e della propria narrazione Wu Ming 1 elenca alcune tecniche usate dal collettivo (che da anni si cimenta con la scrittura di UNO), tra cui troviamo: i «titoli di coda» (in cui vengono elencate fonti e note), i paratesti (titoli, epigrafi, note), i “salti” stilistici che rimarcano «i passaggi dalla fiction alla non- fiction» e l’estremizzazione degli elementi di fiction «per staccarli nettamente dalle parti di inchiesta».255 Sempre nello stesso articolo Wu Ming 1 critica le opere di Saviano perché l’autore non dichiara apertamente il proprio approccio.
226 Si pensi, ad esempio, al Manifesto del nuovo realismo (2012) di Ferraris. Cfr. FERRARIS MAURIZIO, Manifesto del nuovo realismo, Editori Laterza, 2012.
227 DONNARUMMA RAFFAELE, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 223.
228 Bisogna tener conto che nel dibattito italiano intorno al ritorno della (o alla) realtà il postmoderno viene spesso interpretato e liquidato in modo molto semplicistico e superficiale. Cfr. König, Die Mittelmeermigration in der italienischen Gegenwartsliteratur, cit. p. 8.
229 SOMIGLI LUCA, Negli archivi e nelle strade: considerazioni meta-critiche sul “ritorno alla realtà” nella narrativa contemporanea, Roma, Aracne, 2013, p. IV.
230 Alcuni critici che si sono occupati della tematica e hanno diagnosticato questo cambiamento di paradigma sono, tra gli altri: Hannah Serkowska e Raffaello Palumbo Mosca. Il discorso è stato inoltre portato avanti da diverse riviste di critica letteraria, tre cui «Allegoria», «Specchio», «Fata Morgana» e «Annali d’italianistica».
231 DONNARUMMA, Ipermodernità. cit., p. 117.
232 Ivi.
233 Ibidem, p. 13.
234 Ibidem, pp. 14-18.
235 SAVIANO ROBERTO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Milano, Mondadori, 2006, pp. 236-237.
236 DONNARUMMA, Ipermodernità, cit., p.100.
237 DI MARTINO LOREDANA,VERDICCHIO PASQUALE (a c. di), Encounters with the Real in Contemporary Italian Literature and Cinema, Cambridge, Scholars Publishing, 2017, p. viii.
238 DONNARUMMA, Ipermodernità, cit., p. 123.
239 Ibidem, p. 147.
240 Ibidem, p. 124.
241 Ibidem, p. 143.
242PALUMBO MOSCA RAFFAELLO, New Realism or Return to Ethics? Paths of Italian Narrative from the 1990s to Today, in Di Martino, Verdicchio, Encounters with the Real in Contemporary Italian Literature and Cinema, cit., pp. 47-68.
243 DONNARUMMA, Ipermodernità, cit., p.120.
244 Sia nella narrativa che nell’ambito pubblicitario troviamo il ritorno del narratore. Come ben ci ricorda Donnarumma però la pubblicità tende a mistificare il reale, mentre la letteratura ipermoderna – al contrario – vuole trasmettere l’esperienza del reale.
245 DONNARUMMA, Ipermodernità, cit., pp.119-120.
246 DI MARTINO,VERDICCHIO, Encounters with the Real in Contemporary Italian Literature and Cinema, cit., p. xiv.
247 WU MING 1, New Italian Epic versione 2.0. Memorandum 1993-2008. Narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro, in «Carmilla», 14.09.2008, URL: https://www.carmillaonline.com/2008/04/23/new-italian-epic/ [14.10.2018], p. 13.
248 Ibidem, p. 7.
249 Ibidem, p. 23.
250 Ibidem, p. 14.
251 Ibidem, p. 13.
252 Ibidem, p. 9.
253 WU MING 1, Dopo la lettura di #108metri di Alberto Prunetti: appunti su fiction e non-fiction, problemi etici e poetici, 03.04.2018, URL: http://quintotipo.edizionialegre.it/content/dopo-la-lettura-di-108metri-di-alberto-prunetti-appunti- su-fiction-e-non-fiction-problemi [14.10.2018].
254 Ivi.
255 Ivi. 72
Abstract della tesi:
Il lavoro offre una panoramica sulla letteratura italiana dei e sui viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo (sottocategoria della letteratura della e sull’immigrazione) delineandone a grandi linee l’evoluzione e alcune caratteristiche (formali e sociologiche), definendo l’insieme delle opere che essa comprende (e il loro contenuto) e visualizzando questo insieme in relazione alla letteratura della e sulla migrazione. Il lavoro sostiene inoltre la tesi che nella letteratura dei e sui viaggi della speranza si individuino diverse tendenze osservate da alcuni critici letterari nella narrativa italiana contemporanea e che le caratteristiche di questa letteratura si lascino in gran parte spiegare con il ritorno della figura del narratore, di cui Walter Benjamin constatava la scomparsa nel saggio “Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolai Leskov”. Alcune caratteristiche della narrativa contemporanea riscontrabili anche nella letteratura dei e sui viaggi della speranza sono: l’ibridazione – o la forzatura – dei generi, la poetica documentaria, la combinazione di elementi di fiction e di non fiction, la svolta etica (e epica), la svolta narrativa, l’intenzione degli autori e delle autrici di agire sulla realtà, la centralità dell’esperienza umana e la coscienza della parzialità della verità.
Tessa Consoli ha studiato filosofia, studi culturali, linguistica e letteratura italiana all’Università di Zurigo. Nel 2019 si è laureata con la tesi di Master “Il ritorno del narratore nella letteratura dei e sui viaggi della speranza attraverso il Mediterraneo”. Ora insegna italiano, si interessa di storia e di fatti d’attualità e si impegna per dare voce e diritti a chi voce e diritti non ha
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