da “Il Dario Furioso” (Il Ponte Vecchio 2020), DARIO FO: TRA GOLDONI E RUZANTE (di Walter Valeri)

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DARIO FO: TRA GOLDONI E RUZANTE (di Walter Valeri)

 

E’ a contatto con i comici della Compagnia dell’Anonimo, diretta e guidata da Buonafede Vitali, grande esperto in ‘ciarla’ che Carlo Goldoni negli esordi indirizza  le sue doti di scrittore verso un teatro che successivamente si mostrerà  capace di inglobare le qualità e gli strumenti naturali  degli attori della Commedia dell’Arte: i loro lazzi, i tipi e le maschere individuali con il ritmo necessario per non tediare il pubblico.  Nasce così quella caratteristica miscela , quella sapienza a volte vitale, altre volte per pigrizia semplice patina oleografica,  capace di rendere evidente uno stile goldoniano.  La biografia del   Goldoni teatrante ha inizio con una burrascosafuga da Rimini” come si sa  dove  malvolentieri frequentava la scuola  dei domenicani specializzata in filosofia. Goldoni, oggi, è finalmente  celebrato e tradotto in tutta Europa.  Oggetto di vasti studi e rappresentazioni ufficiali, crocevia di opinioni ed aperto confronto di idee mentre Ruzante, grande autore del ‘500 resta un fenomeno isolato, spesso rimosso.  Eppure per i due autori la linfa vitale e le radici sono state le stesse, a parte i due secoli che li separano; così come li accomuna l’area geografica  e il crogiolo linguistico che li ha visti nascere. Al punto che, per certi versi, è possibile intendere Ruzante come l’antesignano di Carlo Goldoni, specie nell’Anconitana. Nell’anno delle celebrazioni e del “Goldoni europeo” Dario Fo sceglie di mettere in scena Ruzante, scritto con due zeta, come suggerisce Ludovico Zorzi. E’ semplicemente un caso o ci sono delle ragioni polemiche?

 

No. E’ senz’altro un caso. Avevo qualche tempo fa e mi era anche stato proposto di dirigere un testo di Goldoni. Ma avrei dovuto studiare e riflettere su tutta la sua opera come ho fatto per Ruzzante. Mi interessava Ruzzante, volevo realizzarlo come regista. Avevo in mente un’idea chiara da cui partire. Volevo mettere in scena la folla di Venezia. Un brulicare di gente  in una specie di carcassa dentro la quale mangiano, agiscono e vivono  centinaia di uomini e donne, dove Ruzzante trova riparo e recita. Avevo già preparato, per quest’idea, i bozzetti delle scene, i costumi per i vari personaggi, la struttura dell’impianto e molte idee per situazioni di raccordo, macchinerie varie ecc. ma a un certo punto, per problemi organizzativi non è stato più possibile realizzare il tutto. Mi sono trovato così a mettere in scena con Franca, Virgilio Zernit e Marina De Juli, una lettura teatralizzata. Ed è stato un bene. Perché con questa limitazione ho dovuto e potuto fare un lavoro di ricerca approfondita come attore, aderendo interamente e più da vicino al testo e al linguaggio del Ruzzante.”

 

Quali i contenuti  che rendono diversi questi due grandi autori del passato? Quali le concezioni della lingua?

 

Prima di parlare della lingua vorrei dire che entrambi non realizzano la loro professione sino in fondo. Uno è avvocato, dottore in legge, che però ha ottenuto la laurea non si sa come, e  odia l’idea di fare l’avvocato. Si trova quindi escluso, in conflitto col gruppo, la casta, la categoria della cultura ufficiale. Nei primi tempi a Venezia è tenuto in disparte. Per di più si mette a fare del teatro e neppure un teatro da letterato. Ci sono il Gozzi e il Ferrari, due personaggi che io non amo assolutamente, che lo attaccano, lo insultano, lo umiliano. E dall’altra parte abbiamo un Ruzzante che, in un modo ancora più diretto e violento, si contrappone alla cultura egemone, approfittando della sua crisi. Tutti e due usano il dialetto come base di partenza, oppure un italiano fortemente influenzato dalla struttura dialettale.  Ma tutti e due sanno parlare un italiano bellissimo e lo usano anche. Basti pensare al magnifico italiano che usa Goldoni nella Villeggiatura. Da vero letterato, a differenza degli altri che sono  leziosi e dei rococò, dei soprammobili decorativi.  Goldoni trova sempre uno straordinario  equilibrio espressivo tra la forma e i contenuti. Ciò che li rende veramente diversi è la loro posizione rispetto al potere. Ruzzante si trova alla frontiera. Vive ai margini dell’impero e dell’entroterra veneziano. C’è una battuta del  Ruzzante  che tutti saltano:’ I padroni dovrebbero impiccarli tutti’, e poi ‘ Maledetti quelli che organizzano la guerra’, e ancora ‘Maledetti quelli che rispettano coloro che la guerra la fanno’. Sono tutte frecciate, dure requisitorie e accuse contro il potere arrogante e infame che specula sulla disgrazia del massacro. Questo non lo trovi in Goldoni. Lo senti aspro solo in un certo periodo, all’inizio e alla fine della sua vita. Nella Bottega del caffè, ad esempio, dove ci sono quegli orrendi personaggi, che sono poi dei mercanti e si comportano come dei truffatori, come dei giocatori d’azzardo. Nella parte centrale, nel momento della ‘riforma’ lui è per l repubblica, è per la mercanzia. Lui grida ‘Viva il libero scambio delle merci!’.  Lui è l’esaltatore della salute della borghesia mercantile che attraverso il libero mercato è portatrice di libertà, di giustizia. I mercanti diventano così i buoni a priori, sono quelli che danno lavoro, sudano, rischiano, edificano e costruiscono la fortuna della città. Commerciano per il profitto ma hanno una certa  dignità imprenditoriale, sono dentro una regola; gli altri invece sono i cattivi, sono quelli che a questa regola non vogliono assoggettarsi. Anche le puttane sono accettabili, basta che siano dentro al gioco.  La stessa Venezia, a un certo punto,  per Goldoni è il miglior posto della terra. Ma da vecchio si ricrede.  Diventa cattivo.  Smaschera la figura ipocrita e crudele  del mercante e della borghesia che tutto fa gravitare  attorno alla ‘roba’.  La roba è diventata il centro di tutto. Non ci sono sentimenti, non c’è passione, non c’è amicizia, non c’è rispetto, non c’è solidarietà.

 

E per Ruzante?

 

Grazie alla sua eccentricità, alla copertura del suo protettore, il cardinale Cornaro, ha potuto dire delle cose di una ferocia e di una violenza che non sono state più eguagliate neanche da Shakespeare. E chissà quante battute non sono state trascritte, non ha trascritto perché sono state censurate.  Non dimentichiamo che la seconda recita di una sua commedia, a Ferrara, è stata sospesa per turpiloquio; non dimentichiamo che il direttore dell’allestimento era l’Ariosto.

 

Un attore di oggi come dovrebbe recitare Ruzante o Goldoni?

 

‘Un uomo cosa vale nel tempo? Gli si dice: che tu possa campare cent’anni. Ma c’è gente che ha ben campato cent’anni e di essa ci si è accorti solo quando è morta. C’è invece chi campa solo pochi anni e di lui ci si accorge ogni giorno’. Questa battuta che non ho ancora messo nello spettacolo la troviamo dentro la lettera di Ruzzante ad Alvarotto, uno degli attori fissi della sua compagnia.  Credo abbia valore anche per gli attori di oggi. Dobbiamo accorgerci di loro.  Devono farci sentire la storia presente mentre recitano i testi del passato.

 

Franca Rame in questo spettacolo riassume in sé i ruoli femminili del Ruzante.  Rispetto a quelle di Goldoni che caratteristiche hanno?

 

Il personaggio della Gnua, che Franca recita nello spettacolo, non esaurisce certamente le figure femminili del Ruzzante. Non ha niente a che vedere, ad esempio, con il personaggio della Betia, un contadina che ha vissuto sempre in campagna, arrivata in città ma ancora legata alla rudezza e alla grossolanità del villaggio.  La Gnua si preoccupa di parlare con la logica della sopravvivenza del tutto cittadina. Cioè si preoccupa di ricevere dei doni in cambio del sesso, di mangiare in ogni momento, di sentirsi desiderata tutti i giorni.  Non guarda in faccia a nessuno. Quello che vuole lo ha ben chiaro in mente. Parla già con il distacco sofisticato della puttana. E quindi con il birignao della professionista. Ed è giusta così, come la recita Franca. Le cose crudeli, violente dette con quella leggerezza, con quella vocalità femminile, un pochettino nasale, della prostituta che non grida più, che ha la coscienza del suo mestiere, che tratta il suo uomo con disprezzo, non perché non lo ama ma perché non ne vuole più sapere della sua ‘poverezza’. Per fare poi un paragone con le donne di Goldoni bisogna fare uno studio serio. Non so cosa ne verrebbe fuori.

 

 

Di Goldoni già negli anni ’30 Eugenio Levi scrisse come del “cantore dell’ultima favola della borghesia”. Questa è anche la sua opinione?

 

Goldoni, a un certo punto, va giù duro contro la borghesia. La scoperchia, la squarta. Ne fa un quadro tutt’altro che lusinghiero.  Altro che favola.  Bisogna stare molto attenti quando si ha a che fare con Goldoni. Altra cosa sono i tradimenti, la sua commercializzazione, il repertorio di giro, i testi purgati che ci hanno fatto studiare a scuola. Goldoni è spesso edulcorato.  Volutamente ridotto a vago divertimento  con produzioni e messe in scena realizzate per doveri culturali e per far cassetta, più che per reali esigenze. Presa nel suo insieme tutta l’opera di Goldoni, oltre che essere vasta e contraddittoria,  è tutt’altro che consolatoria. Poi un autore costretto a viaggiare, a spostarsi continuamente, come ha fatto lui;  costretto a scrivere sino a sedici commedie in un anno, è chiaro che finisce col diluirsi, si stempera e ricorre ai mezzi del mestiere.

 

Nel suo spettacolo Ruzante risulta chiaramente essere l’anticipazione di una nuova coscienza critica.  Un vero e proprio soggetto politico, non solo la maschera ridicola di un contadino rozzo, messa in scena da Angelo Beolco.

 

Angelo Beolco, che ha creato il personaggio di Ruzzante,  è un grande intellettuale, colto, curioso e sapiente. E’ l’autore preferito di Galileo Galilei. E’ un poeta che si è messo dalla parte dei contadini. Ma non populisticamente. Il suo non è un atteggiamento populistico; tanto è vero che lui ci va giù pesante con la figura del contadino. Da un lato attacca i potenti, li sbertuccia, e dall’altro mostra del contadino l’arroganza, la vigliaccheria. Ci fa vedere il contadino che ruba all’altro contadino.  Che disprezza gli altri per il solo fatto  che sono diventati vittime e perciò da disprezzare. E poi mostra il razzismo del contadino nei confronti di quelli che non sono come lui, che non parlano la sua stessa lingua. Pur essendo di parte Ruzzante fa il ritratto di un contadino rinchiuso nel suo guscio, che non esce mai.

 

Qual è la funzione del mondo dei sogni, come utopia e risarcimento, che spesso troviamo nelle opere di Ruzzante mentre manca nell’opera di Goldoni?

 

E’ vero. Tante volte Ruzzante parla dell’esserci e del non esserci. Di non essere presente in carne ed ossa ma come finzione, fuori dal tempo. Di essere uno spettro, di essere già morto; di andare all’inferno, che è un’idea medievale del viaggio nell’altro mondo, e prima ancora dei greci. Che è poi anche in Shakespeare o in Dante, ovviamente.  C’è un suo personaggio che a un certo punto si interroga e dice: ‘Se io fossi qui e non fossi là…e se io fossi morto e non fossi vivo?’. E’ un meccanismo che gli serve per descrivere direttamente e violentemente quello che vorrebbe fosse la realtà e che invece non è.  Certo c’è un elemento eversivo, una chiave grottesca e satirica che serve, grazie alla comicità, ad allargare la visione del mondo. Questo manca, in un certo senso, in Goldoni; però ci sono altre forme, altre maniere che non la sola descrizione dei sogni per raggiungere lo scopo. Ed è immaginare o far immaginare, ad esempio come fa Goldoni, quello che in futuro si farà, pur sapendo che non si realizzerà mai, poiché le condizioni  così come si prospettano o sono, non lo consentiranno. L’effetto, il risultato finale, non cambia.

 

(da) IL DARIO FURIOSO: Franca Rame e Dario Fo – Teatro, politica e cultura nell’Italia del Novecento” ,                                       Società Editrice “Il Ponte Vecchio”, 2020

 

Riguardo il macchinista

Walter Valeri

Walter Valeri poeta, scrittore e drammaturgo è stato assistente del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame dal 1980 al 1995. Ha fondato il Cantiere Internazionale Teatro Giovani di Forlì nel 1999. Successivamente ha diretto il festival internazionale di poesia Il Porto dei Poeti a Cesenatico nel 2008 e L’Orecchio di Dioniso a Forli' nel 2016. Ha tradotto vari testi di poesia, prosa e teatro. Opere recenti Ora settima (terza edizione, Il Ponte Vecchio, 2014) Biting The Sun ( Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu edizioni, 2015) Parodie del buio (Il Ponte Vecchio, 2017) Arlecchino e il profumo dei soldi (Il Ponte Vecchio, 2018) Il Dario Furioso (Il Ponte Vecchio, 2020). Collabora alle riviste internazionali Teatri delle diversità, Sipario, lamacchinasognante.com Dal 2020 dirige i progetti speciali del Museo Internazionale della Maschera “Amleto e Donato Sartori”. È membro della direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge (USA).

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