da “Allineata al bordo”, di Violet Nuro

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Cornelia Sandering Miller in Carrè è una ricca ereditiera afroamericana di Boston, proveniente da una famiglia di costruttori edili.
Orgogliosa e impulsiva si troverà davanti a una scoperta che sconvolgerà la sua vita perfetta e la porterà in un viaggio attraverso se stessa e le questioni irrisolte nella sua famiglia di origine. Tra colpi di scena e di testa, Cornelia sarà circondata da persone che la consiglieranno e l’aiuteranno a restare in equilibrio sul bordo della sua fragilità.

[…]

La sua vita ora scorreva senza scosse particolari, anche se era radicalmente cambiata.

Un giorno in cui faceva particolarmente freddo si imbatté in Thierry.

Il cambiamento di suo marito la lasciò parecchio sconvolta, il coniuge aveva un ampio sorriso ed il pro-fumo del suo dopobarba era più insistente del solito. Il suo buonumore la rabbuiò all’istante.

Dopo i primi secondi di sconcerto attraversò il loro vialetto d’ingresso e gli andò incontro decisa.

«Sei di buonumore oggi?» sbottò lei.

«Buongiorno a te Cornelia» disse lui irradiandola mentre lei di rimando lo fulminava.

«Sei piuttosto di buonumore per essere uno che sta divorziando».

«Non posso essere contento per questa bella giornata e la voglia di trascorrere la vita a godermi le cose?».

«O sei contento perché stai già pregustando una bella cavità calda?».

«Cornelia non riuscirai a farmi perdere la calma. Non oggi» a Thierry sparì il sorriso per un attimo ma gli ricomparve e proseguì dicendo «sai bene che non dovremmo parlare se non tramite avvocati… ma non voglio essere così cinico da pensare che non possiamo parlare come due adulti civili».

Thierry aprì la portiera della macchina.

«Ma se mi farai perdere la pazienza arriveremo a questo» disse con un tono più duro «buona giornata» concluse sbattendo la portiera.

Cornelia con i denti serrati si avviò verso la sua Lexus.

Stava ardendo dalla gelosia.
Sembrava che in quella situazione solo lei soffrisse e invece lui… il suo cellulare cominciò a squillare, e lei senza togliere gli occhi di dosso dalla macchina di suo marito che si allontanava, rispose.

«Cornelia» il tono perentorio di sua madre la congelò sul posto.

«Mamma» rispose mesta.
“Caz…” pensò.
Era l’ultima persona con cui avrebbe voluto conversare in quel momento, ma aveva giusto voglia di litigare con qualcuno e la genitrice capitava a fagiolo.

«Cornelia, perché quell’uomo vive ancora sotto il tuo tetto?».

«Buongiorno a te mamma. Sai che non mi sei d’aiuto dicendo così».

«Cornelia fino ad oggi non ho detto nulla ma quella è la tua proprietà e tu hai il dovere di essere padrona in casa tua».

«Io sono la proprietaria di casa mia ed appunto per questo che neanche tu dovresti intrometterti della gestione delle mie cose» strinse il cellulare forte «per il momento gli accordi tra me e Thierry sono questi».

«Non ci devono essere accordi. Tua la proprietà, tuo il comando».

Cornelia roteò gli occhi alla solita retorica del co- mando, soldi e potere della famiglia Miller.

«Non hai pensato alle implicazioni che comportano l’abitare con il tuo ex-marito?».

«Quali altre implicazioni?» fece finta di cadere dalle nuvole, ma già immaginava dove sarebbe andata a parare.

«Devi vedere altre persone Cornelia».
“Ecco. Ci risiamo”.
«Mamma non è questo il momento di iniziare altre storie, fammi chiudere prima questa».
«Non intendevo una relazione. Ma uno specialista». Cornelia guardò lo schermo del suo cellulare. «Cornelia so che non deve essere facile per te. Tu non ti confidi con me, penso che tu non lo stia facendo con nessuno. Ma non puoi tenerti tutto dentro. Dovresti tirare fuori le tue emozioni».

«Come hai fatto tu in questi anni?» chiese Cornelia ironica.

«Tu sei mia figlia. Non potevo certo caricarti di pesi che non ti riguardavano» dopo una piccolissima pausa aggiunse «in un matrimonio non c’è nulla di sicuro».

«Che risposta diplomatica».
«Cornelia, ascoltami. Conosco una persona brava». «Madre!».
Quando Cornelia usava questo appellativo voleva dire che non voleva più stare a sentire. «Non ho bisogno di nessuno». «Cornelia?».

«Devo andare ora».

«Arriverà un momento in cui capirai». La comunicazione si interruppe.

Nel frattempo il cantiere nell’ex casa della Groer era stato installato.

Cornelia aveva fretta di arrivare all’appuntamento con il capo dei lavori che l’aveva contattata in merito ad un ritrovamento.

Era appena giunta fuori dal cancello.

Le sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che era stata in quel luogo.

Prese dal baule gli stivali per la pioggia e se li infilò.

Oltrepassò il cancello e mise un piede sul terreno che era tutto dissestato e bagnato a causa di un acquazzone recente.

Una ventina di operai erano al lavoro sul sito.

Cornelia scorse il capo dei lavori, in fondo vicino ad una voragine gigante che era stata aperta. Lui la vide e le fece cenno di avvicinarsi.

«Buongiorno, quale sarebbe l’emergenza?» disse Cornelia.

«Signora Carrè» disse «abbiamo trovato un forziere ed è stato mia premura avvisarla».

«Un forziere? Ma in che secolo siamo?».

«Non è uno scherzo. Ci siamo inciampati e come sa abbiamo l’ordine di avvertirla sempre quando troviamo questo tipo di materiale, non ho perso tempo» disse guardandola negli occhi.

«Mi sono anche permesso di far arrivare il camion per trasportarlo nella sede che ritiene più opportuna».

«Bene Todd. Fallo portare nei nostri magazzini sulla Fourth».

«Come desidera signora. Greg!» urlò Todd rivolto ad un operaio «fai venire Theo con l’escavatrice».

«Subito».

Per curiosità Cornelia si avvicinò al forziere chiuso con delle cinghie strette.

Rilevò che non era stato forzato e sapeva che era solo perché tutto intorno il terreno era seminato di telecamere che erano sempre piazzate per evitare che i vari ritrovamenti fossero depredati dagli addetti ai lavori.

Si avvicinò tappandosi il naso, quell’oggetto emanava un olezzo tremendo.

Le fibbie erano consunte dal tempo e sporche di terra perciò si avvicinò con la mano premuta sulla bocca.

«…ill».
Non riusciva bene a leggere.
«Signora Carrè» Theo le che era appena arrivato dalla strada le si fece vicino «c’è una donna che desidera parlare con lei. Si trova alla cancellata».

“Spero non sia una di quelle vecchiette” pensò per un attimo di svicolare, ma lei rappresentava pur sempre un’azienda che odiava la cattiva pubblicità.

Con un sospiro fece la strada a ritroso e tornò verso il cancello.

Si avvicinò di nuovo alla recinzione con l’intenzione di dare cinque minuti di tempo alla persona che la stava attendendo.

Mentre si approcciava scorse una donna di profilo intenta a guardare un’escavatrice.

Era vestita con una giacca in pelle nera, dei jeans chiari ed una maglietta bianca.

«Sì?» chiese Cornelia.

«Finalmente la incontro» disse la donna voltandosi completamente.

Non le tese la mano e non aveva un minimo accenno di sorriso né di cordialità sulla faccia.

«Vedo che state procedendo con gli scavi». Cornelia la fissò.
«Chi è lei?».
«Questa casa ha un valore inestimabile» proseguì la donna, senza degnarla di una risposta e senza aver dato segno di averla udita.

Era di statura media, pelle scura, lineamenti spigolosi segno di un variegato corredo genetico, capelli con i boccoli che le arrivavano a metà schiena.

Due quieti occhi neri ed una smorfia.

«Perché mi sta facendo perdere tempo? Non si è nemmeno presentata» sbottò Cornelia.

«Tanti anni fa, le cose erano più difficili per noi» sempre ignorando le sue proteste. «Eravamo all’ultimo posto nella scala sociale, reietti che non avevano diritti. Non eravamo considerati umani, e questo paese è cresciuto e ha prosperato sulla pelle dei nostri avi».

La donna cambiò posizione e si rimise ad osservare la casa.

«Dolore e sofferenza erano iniettati nelle nostre vene dalla nascita ed il ciclo di sofferenza non si esauriva in una generazione, ma si riversava su quella successiva. I carnefici erano sadici piccoli uomini e donne che approfittavano della loro posizione privilegiata per bistrattare gli ultimi».

Sospirò.

«Però gli oppressi avrebbero dovuto cercare di risolvere la loro angoscia con l’unità…».

«Signora Carrè?».

«Arrivo Malius, vai avanti» disse Cornelia rivolgendosi al vice capo dei lavori.

«… invece tra gli schiavi c’erano furti, spionaggi e sabotaggi. Certi padroni naturalmente si divertivano a vedere come i loro schiavi si rovinassero con le loro mani e quanto poco bastasse per fomentare e mantenere la divisione. Molti schiavi erano talmente soggiogati mentalmente, che erano più devoti al loro aguzzino che ai loro compagni di sventure. Che tristezza».

Cornelia si girò per andarsene.

«“Per il popolo colonizzato il valore primordiale, il più concreto, è innanzitutto la terra che deve assicurare il pane e, naturalmente, la dignità”».

«Frantz Fanon, I dannati della terra» disse Cornelia.

«Libro che veniva citato spesso in uno di quei corsi di letteratura africana che sicuramente avrai ritenuto inutili durante il tuo percorso al college».

Cornelia si girò di nuovo verso la donna, tacendo.

In effetti i corsi di letteratura antropologica li trovava superflui, roba da neri ossessionati con le proprie origini che si spacciavano per alternativi. Lei aveva letto pochi autori, tanto per essere al corrente di chi fosse chi.

«Non trova che la condizione dei campi di cotone dell’America schiavista fosse come quella dei campi di sterminio europei descritti da Primo Levi in Se questo è un uomo?» le chiese la sconosciuta.

«Sono totalmente diversi. Dal punto di vista strutturale, certi campi europei erano stati concepiti per essere tali, ed altri invece erano degli stabili dismessi già esistenti, come ex fabbriche nel caso di Trieste che era una risiera. E totalmente differente era il clima. Il nord ed il nord-est Europa sono maledettamente freddi e lì molti internati morirono per gli stenti e le malattie ad esso connesse. Nel sud degli Stati, al contrario, il clima è torrido e molti decessi erano dovuti a…» Cornelia si bloccò. Perché diavolo le stava rispondendo?

«Miller ti piace proprio l’architettura. Ed eri proprio una secchiona» la canzonò con aria divertita la sconosciuta.

«Sì, ha trovato il mio punto debole. Sono qui a par- lare con una sconosciuta invece che lavorare…».

«Miller, ho promesso a mia nonna che non avrei esercitato tutto il potere datomi dalla mia professione per riprendermi questo posto. Le ho promesso che non sarei intervenuta per mantenere questo posto in memoria di ciò che è stato. Ma le ho promesso anche che una volta che lei non ci fosse stata più, avrei fatto di tutto per riprendere questo terreno» disse con fervore la donna.

«La Groer è tua nonna?».

«Sì, Miller. Quella fantastica donna instancabile ed altruista, proviene da una stirpe che si è sempre spesa per gli altri, al contrario della vostra famiglia di cannibali».

«Devo ammettere che la nostra famiglia non è molto altruista» disse Cornelia con una faccia impassibile, ma con le orecchie rizzate ora che la sua interlocutrice aveva rivelato la sua identità.

«Lo puoi dire forte».

«A quanto pare tu conosci la mia famiglia, ma io non conosco neppure il tuo nome» insistette ancora Cornelia.

«Mi chiamo Clezia Mahler e anche se non ci siamo mai incontrate, so che discendi da una famiglia senza scrupoli».

«Preferiamo definirci stacanovisti».

«Si vede che sei abituata alle offese se non fai una piega Miller».

«Quando la gente si limita alle offese, sfoggia tutta la propria codardia. Le parole non sono da temere».

«Le parole, in certi luoghi, possono decidere la vita di certe persone» disse con noncuranza lei «per esempio nei tribunali. Ci si augura sempre di avere avvocati che sappiano usarle bene».

«Non posso dire che sia stato un piacere parlare con lei» detto questo Cornelia si girò con già il cellulare in mano. Digitò il nome di Clezia Mahler sul motore di ricerca.

E scoprì due cose: era effettivamente la nipote della Groer e con sconcerto lesse che era una delle avvocatesse top di Boston.

Solo ora le sovvenne alla mente di aver visto una sua foto da qualche parte. Ma era presentata come Clezia Berghof.

“Come mai si è presentata con il suo nome da nubile?” si chiese.

Tornò alla parte degli scavi sempre con gli occhi incollati allo schermo e lesse che i Mahler erano una delle famiglie più in vista di Salem.

Arrivò al punto dove si trovava Malius «Signora Carrè, abbiamo trovato un altro forziere. Più piccolo stavolta» disse lui battendo un piede sul badile «cosa ne facciamo?».

«Procedete come per l’altro». […]

 

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Comfort Dago è l’autrice che si cela dietro allo pseudonimo di Violet Nuro.
Italiana di seconda generazione, nata in Italia nell’anno in cui Lindo Ferretti cantava la paranoia della regione che le ha dato i natali, si divide tra la lettura di libri ed il suo blog Noisyink.org, che tratta di letteratura africana ed afrodiscendente.
Allineata sul bordo è il suo primo romanzo pubblicato nel 2018.

 

 

 

 

 

Immagine in evidenza: Dipinto di Hassan Vahedi,  Dittico, smalto su tavola, 61 x 32 cm., 2019.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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