CUCITURE – Dalla Colombia dei fili sciolti, poesie di Angélica Hoyos Guzmán, trad. Lucia Cupertino

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CUCITURE – Dalla Colombia dei fili sciolti, poesie di Angélica Hoyos Guzmán

Tre poesie di Angélica Hoyos Guzmán

Traduzione di Lucia Cupertino

 

 

 

Da Hilos Sueltos (Fili sciolti), Ediciones Torremozas, Madrid, 2014

 

PANORAMICA

 

Uno è come quei fiori gialli
che crescono inospitali tra terrazze e strade
ma che nessuno si ferma a guardare.

Tutti preferiscono le bouganville
su tetti e pareti,
in cima.

Imponenti ci guardano dall’alto
per prendere in giro noi, fiori innaffiati
che cresciamo a volontà e senza poterci arrampicare,
col destino di trascinarci.

 

Ci sono fiori come gli “occhi del poeta” che stanno sempre lì
nessuno li vede finché si accorge di loro;
quando ciò accade, si mettono in evidenza
– addirittura si protendono verso le bouganville-.

Riempiono le pareti di sguardi che seguono i passanti
e simulano la luna o il sole sui passi.

 

In altre città saremo anche noi
Campanule Viole,
Gemme di Ciri[1],
Caprifogli,
Ninfee.

Saremo gli stessi,
i molti,
i tanti che in modo invisibile
si aprono e regalano l’aroma ai mattini
per sopravvivere ad ogni tramonto che ci lascia sbiaditi.

 

 

 

MI SCUSI SIGNORE, NON SONO UNA SFOLLATA

Mi scusi, signore, non sono scappata dai proiettili,
nè ho visto il sangue dei miei genitori
schizzare le notti della mia infanzia.
No, non hanno violentato le mie figlie, nè mia madre,
Non ho neppure acceso un cero
nel corso della celebrazione dei caduti.
Facevo festa quella notte.

Non sono stata una ladra fuggita dalla stessa sua casa,
non ho neppure visto gli arti appesi agli alberi,
né le partite di calcio con le teste dei nemici.
Mi scusi, leggevo il giornale.
Non ho servito il piatto al mio carnefice allo stesso tavolo,
non sono il sussidio di una fila in banca,
non ho lasciato le mie armi, non me le hanno mai date,
non mi hanno costretta a cantare i miei desaparecidos.
Frequentavo una scuola dove le bombole non cadevano.
Non camminavo con espadrillas nè con stivali.
Non sono reintegrato, né smobilitato,
forse un altro N.N. in questa fossa comune.

Non mi hanno chiamata al fronte,
Fui un vigliacco sin dalla culla.
No signore, non insista,
Non sono strazio!
Non posso scrivere la sua storia.
Mi scusi per questa lacrima,
per questa vita che gli hanno dato,
non mi scusi per la pace,
mi scusi per la guerra,
mi scusi la morte della mia lettera.
Mi scusi, signore, io non posso scriverlo.

 

 

 

Da Costuras (Cuciture), inedito.

 

CUCITURE

 

 

Ho le mani vecchie
piene di lettere e piaghe
che scoppiano d’acqua.
Un prurito si espande tra le dita.
Lo sapevo fin da bambina,
Ho questi versi popolati di goffaggine.

Ho ereditato dalle mie nonne
la voglia di cucire bambole,
le loro mani artritiche
rivoltando le lenzuola di stoffa,
il loro modo di osservare le stelle
e rendere il cielo un mantello
per i ricordi.
Il tratto di un filo
per riparare il mondo,
un set giallo
affinchè la bambina
possa dimenticare di tanto in tanto
la sua orfanezza umana,
il dolore di nascere anzitempo.

Ho le mani vecchie
fa male la tessitura,
a livello della tela
la pelle è coperta due volte
dello stesso freddo.

 

 

 

 

De Hilos Sueltos, Ediciones Torremozas, Madrid, 2014

 

PANORÁMICA

 

Uno es como esas flores amarillas

que crecen inhóspitamente entre terrazas y carreteras

pero que nadie se detiene a ver.

 

Todo el mundo prefiere a las buganvilias

sobre los tejados y las paredes,

en lo alto.

 

Imponentes para vernos desde arriba,

para hacernos mofas a las flores regadas

que crecemos a voluntad y sin manera de trepar,

con el destino a rastras.

 

Hay flores como los «ojos de poeta» que siempre están

nadie los ve hasta que los ve;

cuando eso pasa ellos se lucen

–incluso suben hacia las buganvilias–.

 

Llenan las paredes de miradas que siguen a los transeúntes

simulando la luna o el sol sobre los pasos.

 

En otras ciudades seremos también

Campanitas Moradas,

Retoños de cirios,

Madreselvas,

Nenúfares.

 

Seremos los mismos,

los muchos,

los tantos que invisiblemente

se abren regalando el aroma a las mañanas

para llegar sobrevivientes a cada ocaso que nos deja desteñidos.

 

 

PERDONE SEÑOR, NO SOY DESPLAZADA

 

Perdone señor no he huido de las balas,

ni he visto la sangre de mis padres

salpicar las noches de mi infancia.

No, no han violado a mis hijas, ni a mi madre,

tampoco encendí la pólvora

en la celebración de los caídos.

Estaba de fiesta esa noche.

No fui ladrona fugada de su propia casa,

tampoco vi las extremidades colgando de los árboles,

ni los partidos de fútbol con las cabezas de los enemigos.

Perdone, leía el periódico.

No serví el plato a mi victimario en la misma mesa,

no soy el subsidio de una fila en el banco,

no dejé las armas, nunca me las dieron,

no me obligaron a cantar mis desaparecidos.

Yo iba a la escuela dónde no cayeron los cilindros.

No andaba en alpargatas, ni en botas pantaneras.

No soy reinsertada, ni desmovilizada,

tal vez otra NN en esta fosa común.

No me llamaron al campo,

me hice cobarde de cuna.

No señor, no insista,

¡no soy duelo!

No puedo escribir su historia.

Perdone por esta lágrima,

por esta vida que le dieron,

no me perdone por la paz,

perdóneme la guerra,

perdone la muerte de mi letra.

Perdone su merced yo no puedo escribirlo.

 

 

 

De Costuras, Inédito.

 

COSTURAS

 

Tengo las manos viejas

llenas de letras y llagas

que estallan de agua.

Un picor se expande entre los dedos.

Lo supe desde niña,

tengo estos versos poblados de torpeza.

Heredé de mis abuelas

las ganas de coser muñecas,

sus manos artríticas

rodeando la sábana de género,

su forma de ver las estrellas

y hacer del cielo un manto

para los recuerdos.

Una raya de hilo

para reparar el mundo,

un conjunto amarillo

para que la niña

olvide de vez en tanto

su orfandad humana,

el dolor al nacer antes de tiempo.

Tengo las manos viejas

duele el tejido,

a ras de tela

la piel se cubre dos veces

del mismo frío.

 

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[1]          Una specie di cactus, il cui nome scientifico è Fouquieria columnaris.

 

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foto Angelica_Benjamin PachecoAngelica Hoyos Guzmán (Barranquilla, Colombia, 1982). Scrittrice, ricercatrice e docente presso l’Universidad del Magdalena. Master in Linguistica, studi in letteratura colombiana e latinoamericana, candidata al dottorato in letteratura latinoamericana all’Universidad Andina Simón Bolívar, per cui sta elaborando la tesi intitolata “Estetica della sopravvivenza: memoria e affetti nella poesia colombiana (2000-2017)”. Il suo saggio “El bramido del monstruo: cuerpos extraños de la memoria en la poesía colombiana” è risultato finalista del Premio Carlos Pereyra 2016 della rivista Nexos. La sua prima raccolta di poesie, Hilos sueltos, è stata pubblicata a Madrid nel 2014. Ha partecipato a diversi incontri di poesia e attività culturali. È stata anche responsabile delle attività accademiche e culturali quando lavorava come capo del Departamento de Estudios Generales e Idiomas dell’Universidad del Magdalena. Attualmente cura l’organizzazione di attività culturali presso il Centro Cultural dell’Universidad del Magdalena.

Foto della poetessa, a cura dell’autrice.

Immagine in evidenza:  dipinto di Hassan Vahedi.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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