“Libera e nobile
Libera, nobile e misteriosa come un cipresso,
per cicatrizzarmi nel corpo del vento,
per divenire l’ombra del vento”
È vento, l’essenza di Joumana Haddad. Ed è il vento a comporre i suoi versi: vento che porta tumulti e scardina tabù, vento implacabile di aria fresca che corrode ogni stagnazione.
Così è la scrittura di quest’autrice che ha fatto della libertà il suo unico credo, da quando, con la naturalezza del vento, ha scelto di affermare prepotentemente la sua identità di donna libera e indipendente, andando contro le restrizioni e la mentalità maschilista del mondo arabo (e non solo).
Poetessa, scrittrice e traduttrice raffinatissima, la Haddad parla correntemente sette lingue: arabo, armeno, francese, inglese, spagnolo, tedesco e italiano, e confessa di aver imparato quest’ultima a quattordici anni, dopo lo shock che le ha procurato la lettura di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Pavese. Docente di scrittura creativa e poesia araba moderna all’Università Libano-Americana di Beirut, fa parte dell’istituto per gli studi sulle donne del mondo arabo (IWSAW). Nella pagina web relativa, accanto alla letteratura e al giornalismo culturale figurano, fra le sue aree di studio, i diritti delle donne e la “consapevolezza sessuale”.[1]
Alla sessualità e al corpo Joumana dedica effettivamente grande spazio nelle sue opere, che affrontano apertamente temi tabù come il desiderio, il rapporto con l’altro sesso e l’erotismo. Tematiche, queste, che se nell’Occidente che ormai si dice libero potrebbero sembrare ordinarie – “potrebbero” perché ancora per buona parte della società, soprattutto in Italia, non lo sono – nel mondo arabo risultano come minimo sconvenienti, e la sua scrittura così personale viene spesso percepita come “troppo esplicita”. Ma mettere se stessa, anima e corpo, in ciò che scrive è la cifra stilistica che caratterizza tutta la produzione letteraria della Haddad, dove l’elemento personale, intimo e autobiografico è sempre palpabile. Spericolata e autentica, con la sua verve Joumana Haddad ha scritto opere a dir poco coraggiose nello stile e nel contenuto: in esse la libertà resta il nucleo tematico per eccellenza, come in prosa, così in poesia.
“Prenderò in prestito la bufera
Lasciandomi alle spalle
le lacrime zampillanti
E me ne andrò”
Se la sua carne è “il corpo del vento”, la bufera è la sua musa ispiratrice, poiché, come la definisce Tahar Ben Jelloun: “lei è una vera poetessa […] Abita nella tempesta”. L’opera letteraria di Joumana Haddad si intreccia infatti indissolubilmente con la sua vita, che di tempeste ne ha conosciute parecchie a partire dalla più tenera età: dalla guerra civile libanese al suicidio di sua nonna, che ha ritrovato morta all’età di sette anni, passando per la frustrazione e l’inquietudine derivanti da un’educazione religiosa in un collegio femminile. Nata nel 1970 in una famiglia di cristiani maroniti, sebbene la madre, di origine armena, fosse “piuttosto moderna”[2] e il padre fosse un intellettuale, è cresciuta in un ambiente tradizionale e conservatore. L’arte e la letteratura sono state in questo contesto vere ancore di salvezza, e lei stessa riconosce quanto la sua personalità sia stata influenzata dagli autori dei libri che trovava nella biblioteca di suo padre, che già da piccola divorava con voracità e con la voglia di vivere altre vite, altri mondi, nell’immaginazione. È proprio la letteratura, racconta nel suo “Ho ucciso Shahrazad”, che le ha permesso di “scavare per tirare fuori la vera Joumana”. [3] Uno scavo discreto e silenzioso e così, mentre dentro scorrevano tumulti e pulsavano inquietudini, da fuori appariva solo una bambina calma e posata, perché, nel confronto con la rigidità dell’ambiente esterno, la sua insaziabile curiosità non trovava spazio per esprimersi se non nella sua testa.
Lettrice vorace e poetessa precoce, l’autrice iniziò a scrivere già ad undici anni, dapprima in francese e poi – dopo molti anni – in arabo. “In principio fu il verso” potremmo dire nel suo caso, e così Joumana cominciò, a partire dal 1995, a pubblicare le sue poesie. Con un risultato inatteso, quello che ha visto moltiplicarsi sospetti e allusioni al fatto che fosse in realtà un uomo ad aver scritto quei versi, perché “le persone la pensano così nel mondo arabo: una donna non può avere talento”[4]. In seguito, il suo talento di donna fu ampiamente riconosciuto: libera pensatrice, autrice, giornalista, narratrice, poetessa, e performer, la Haddad è considerata oggi una delle donne arabe più potenti al mondo per il suo attivismo sociale e culturale[5]. E anzi la sua forte personalità, che fa grande presa sull’opinione pubblica, è la stessa che gli è valsa ad essere definita “la donna più odiata del Libano”.[6] Il suo stile provocatorio, infatti, non è ben visto nel suo Paese che, pur essendo il più liberale del mondo arabo, non la considera una poetessa “normale”, perché semplicemente non si ritiene normale affrontare pubblicamente temi tabù come quelli che approfondiscono il rapporto col corpo, il desiderio, l’amore e l’erotismo. Tanto più se a farlo è una donna.
Poco importa, perché Joumana Haddad è irrimediabilmente schietta (e coraggiosa): i suoi pensieri si impongono con la fiera spontaneità di un fiume in piena che, rompendo gli argini, va a colpire ogni sovrastruttura eretta dalla società. Travolge le religioni, fa crollare il matrimonio, spezza i tabù sociali. Con la sua scrittura Joumana apre gli occhi ai lettori, ne distrugge i pregiudizi, si avventa sui loro stereotipi e al tempo stesso li diverte. E infatti non è mai pedante o prolissa, perché, oltre ad argomentare e “cucire” l’un l’altra tematiche complesse, testimonianze e fatti di attualità in maniera intuitiva e dinamica, l’autrice mantiene sempre una vena ironica che spesso sfocia in una spumeggiante satira sociale. Il suo stile si situa da qualche parte nello spazio che si apre tra poesia e lotta civile, tra resistenza e piacere. La sua scrittura è un qualcosa che sgorga da dentro: qualcosa di “inevitabile come una storia d’amore” – direbbe la Haddad[7] – e allo stesso tempo di forte e tumultuoso come una strenua lotta fatta in nome di saldi principi. “Una persona che si arrende al proprio destino è una persona che mi ferisce. Io voglio realizzare i miei sogni”[8], afferma. E la via preferenziale per farlo è la parola, in cui crede fermamente: la parola per lei è a tutti gli effetti un accadimento fisico, che può incidere sul corso degli eventi tanto per chi la pronuncia quanto per lo spazio che l’accoglie e per gli altri esseri che vi entrano in contatto. Non a caso, nel definire le caratteristiche principali della sua poetica, Joumana confessa che essa risiede “soprattutto nella fisicità della parola e nella chimica del fuoco; nel rifiuto di delimitarsi, rassegnarsi e stabilirsi; nella libertà assoluta (e terrorizzante) di una mutabilità continua, di una precarietà minacciosa; nel non voler essere lineare, prevedibile e afferrabile: insomma, nell’esercizio dell’inquietudine, e nella disciplina della ricerca: l’inquietudine come motore di vita, e la ricerca come un perseguimento palpabile di me stessa, cioè del mondo, del ‘tutto’, attraverso la cellula più piccola, più insignificante, dell’io.”
Nello scorrere delle sue parole, Joumana non riesce a non farsi trascinare – ancora una volta – dalla libertà espressiva. Ed è interessante notare come il vero ostacolo al riconoscimento della Haddad nel mondo arabo sia il disaccordo con la “sua” libertà: la libertà che si prende nella vita e la libertà di cui scrive, che per molti non dovrebbe avere spazio nell’editoria. Una contrarietà che viene spesso manifestata in maniera poco diplomatica: l’autrice ha ricevuto infatti innumerevoli messaggi ed e-mail con minacce di stupro, omicidio e lapidazione, da parte di persone che la definiscono dissoluta, immorale, criminale e malvagia. Joumana sostiene di accettare in qualche modo queste minacce come una “conseguenza inevitabile” di ciò che fa, e spiega: “Non mi sono mai sentita in pericolo perché il pubblico della poesia è ristretto. Quegli scemi che fanno la censura non mi temono perché il nucleo degli appassionati di poesia è piccolo“.[9] Finché la sua spregiudicatezza è stata confinata alla poesia, quindi, la scrittrice non ha costituito una vera e propria minaccia. Lo “scandalo” per eccellenza è arrivato infatti con la pubblicazione della rivista Jasad, un trimestrale scritto in arabo e specializzato nelle letterature, le scienze e le arti del corpo. Fondata dalla Haddad nel 2008, Jasad è stata una rivista culturale senza precedenti in lingua araba. Trattando argomenti-tabù della società araba come la verginità, la poligamia e il matrimonio forzato, ma anche storie erotiche e testimonianze personali, il trimestrale ha suscitato enormi polemiche. Il nome stesso, insieme alle immagini di copertina che ad ogni numero hanno fatto indignare il mondo arabo, presenta la rivista in maniera decisamente trasparente e d’impatto: in arabo, infatti, Jasad[10] significa “corpo”, ovvero ciò che ogni integralismo ritiene innominabile e privato (per non dire sporco). “Quel corpo – afferma Joumana – definito dal poeta Novalis come “l’unico tempio vero di questo mondo”; il corpo non solo nelle sue manifestazioni erotiche, ma in tutte le sue rappresentazioni”[11].
A mantenere un moralistico silenzio riguardo qualcosa di così fondamentamentale (ed evidente) la Haddad non ci sta. Ed è così che un progetto così estremamente coraggioso e anticonformista come Jasad ha potuto prendere vita ed avere per due anni un successo editoriale di tutto rispetto: la rivista è stata infatti distribuita in tutto il Libano, comprese le zone più conservatrici del Paese, dove anzi si è registrato il picco di vendite. Addirittura essa ha avuto il più alto numero di abbonamenti nell’Arabia Saudita, a dimostrazione del profondo bisogno di quella società – una fra le più integraliste del mondo arabo – di riappropriarsi dell’elemento corporeo: un argomento che è stato assai presente nell’antica letteratura araba e che solo in seguito è stato tralasciato, mal interpretato e distorto fino a diventare un qualcosa da nascondere. Al punto che, afferma Joumana, agli abbonati sauditi Jasad arrivava “tramite corriere internazionale in busta che copre l’immagine di copertina”. Tutto ciò rimanda alla “schizofrenia” che la scrittrice imputa al mondo arabo, quella che distingue tra l’apparenza (o ciò che deve apparire al di fuori), ad esempio il pudore, e la realtà (o ciò che è umano), ad esempio la corporeità.
Oggi Jasad non esce più, mancanza di fondi, di pubblicità, di soggetti che vogliono investire su un prodotto scomodo: “Mi dispiace molto – spiega l’autrice – perché era un lavoro necessario, ma non lo considero un capitolo chiuso”. [12] E in effetti non lo è stato, giacché, oltre ad aver causato un grande dibattito nella regione araba, la rivista della Haddad è stata la protagonista di un film uscito nel 2013 con la regia di Amanda Homsi-Ottosson. La pellicola è una produzione di Women Make Movies[13] ed è intitolata Jasad & The Queen of Contradictions: in essa viene affrontato il tema della sessualità in Libano, mostrando le reazioni che il Paese ha avuto alla pubblicazione del trimestrale e rendendo evidente quanto sia raro l’uso della lingua araba per discutere di sesso ed erotismo, considerati ancora argomenti tabù. Persino il suo Libano – così osannato per essere il più libero ed “europeo” dei paesi mediorientali – non ha potuto digerire una rivista che scriveva anche (e soprattutto) dal punto di vista delle donne, una rivista che parlava apertamente di De Sade, dell’orgasmo e della cultura del corpo come veicolo di piacere. Perché il corpo, è evidente, rappresenta per Joumana lo strumento di libertà per eccellenza, assieme alla parola: con Jasad l’autrice riesce a mettere insieme questi due elementi per creare un luogo che sia vera espressione di libertà, al di là della libertà superficiale di cui godono le donne in Libano (che ad esempio permette loro di vestirsi come vogliono). Fondare una rivista del genere in un contesto come quello mediorientale significa andare ad agire finalmente sulla sostanza vera della Libertà. Ma significa anche, d’altra parte, votarsi alla solitudine, al disprezzo e alle minacce.
Tutto ciò non importava a Joumana, il cui obiettivo era riportare, nel discorso pubblico, argomenti fondamentali che erano stati mandati in esilio per un diffuso e bigotto moralismo, provocando la morte di quella parte di linguaggio (e del relativo immaginario) che si riferisce al corpo e all’erotismo. La scrittrice libanese ci tiene a precisare che questo processo è un qualcosa di relativamente recente: la tradizione letteraria araba, difatti, era ricchissima di temi e di vocaboli afferenti la sfera della sessualità. Per questo ama definire la sua rivista “uno schiaffo all’amnesia“. La stessa amnesia che, ad esempio, ha rimosso l’uso di oltre cento parole ad indicare il pene nella lingua araba.[14]
Ebbene sì: la cultura araba, ci ricorda la Haddad, non è solo Islam e integralismo. È invece una cultura raffinatissima (sia religiosa sia laica) fatta di grandi poeti e artisti che mai avrebbero accettato di essere sottoposti a qualsivoglia censura, religiosa e non. Così anche lei non scende a patti con nessuno, e si esprime con tutta la dignità e la franchezza d’intenti che ogni vera libertà impone, combattendo per l’emancipazione femminile, per l’uguaglianza, per la dignità umana, per il diritto di ogni individuo a essere riconosciuto come persona e per quello alla libertà di espressione: un diritto che lei stessa si è vista spesso negato.
“Io, versetto della mela, i libri mi hanno scritta, anche se
non mi avete mai letta. Il piacere sfrenato, la sposa ribelle,
il compimento della lussuria che porta alla rovina totale:
sulla follia si schiude la mia camicia. Quanti mi ascoltano
meritano la morte e quanti non mi ascoltano
moriranno nel rimorso”
Ma Joumana continua, implacabile, a portare avanti le sue battaglie: nel 2017 si è persino candidata alle elezioni in Libano e da anni “cavalca” diversi media, mettendo in mostra la sua figura di donna colta e ribelle in tutta la sua femminilità, senza veli e senza censure. La sua visibilità a livello mediatico ha un duplice scopo: se da una parte fa parlare di sé e scandalizza il mondo arabo, dall’altra offre all’opinione pubblica occidentale un nuovo modello di donna araba, che insegue i suoi desideri in barba al giudizio che riceve della società. Perché la sua figura appariscente e scomoda è impossibile da incasellare nella categoria delle “orientali esotiche” ma anche in quella delle “occidentali femministe” che di femminile mantengono ben poco – e su cui lei stessa ha avuto molto da ridire. Joumana Haddad, piuttosto, è una donna che per natura e per scelta non rientra in nessuno stereotipo, e che anzi si definisce “una fobica delle etichette”.[15]
Una donna che nonostante l’ostracismo e le minacce degli estremisti religiosi non ha paura di parlare, e che anzi non si preoccupa di sfidare apertamente loro e i sistemi religiosi a cui fanno capo senza mai cercare la provocazione gratuita, ma semplicemente essendo se stessa: senza compromessi.
“Perché io sono la prima e l’ultima
la cortigiana vergine
la concupita temuta
l’adorata disprezzata
velata nuda,
sono la maledizione di ciò che precede,
il peccato estinto dai deserti, quando abbandonai Adamo.
Egli errò senza metà, infranse la sua perfezione.
Io lo precipitai sulla terra e accesi per lui il fiore del fico.”
Stralci di poesie tratti da “Il ritorno di lilith”
[1] Cfr. http://whoisshe.lau.edu.lb/expert-profile/joumana-haddad.
[2] Cfr. J. Haddad, Ho ucciso Shahrazad, op. cit. p.27.
[3] Ibidem.
[4] Joumana Haddad: ‘I live in a country that hates me’, a cura di Aida Edemariam (The Guardian), 21.08.2010.
[5] È stata selezionata come una delle 100 donne arabe più potenti del mondo per quattro anni consecutivi da Arabian Business Magazine – nel 2017 è arrivata nella posizione 34.
[6] Jumana Haddad: A writer who loves to be hated, a cura di Kaelen Wilson-Goldie (The National), 27.11.2010.
[7] Cfr. J. Haddad, Ho ucciso Shahrazad, op. cit., p. 8.
[8] Joumana Haddad: quando la femminilità araba non è femminista, a cura di Martino Pillitteri (Il sole 24 ore), 30.06.2009.
[9] Joumana Haddad: quando la femminilità araba non è femminista, a cura di Martino Pillitteri (Il sole 24 ore), 30.06.2009.
[10] Parola che deriva dalla radice جسد che significa “concretarsi”, “creare”, “foggiare”. Cfr. Vocabolario Arabo-Italiano, a cura di R. Traini, Istituto per l’Oriente, Roma 1993.
[11] La verità del corpo. Intervista a Joumana Haddad, a cura di Lello Voce (L’Unità), 04.10.2008.
[12] Gli scarsi diritti delle donne in Libano. Intervista a Joumana Haddad, a cura di Sabrina Duarte (eastwest.eu), 11.01.2017.
[13] Cfr. http://www.wmm.com/.
[14] Cfr. World Premiere: Jasad & the Queen of Contradictions (The Frontline Club).
[15] J. Haddad, Ho ucciso Shahrazad, op. cit., p. 13.
Stefania Crocetti (1991, Ascoli Piceno). Laureata in lingue, ha studiato l’arabo e il tedesco e da anni cerca di capire il perché di questa scelta apparentemente bipolare. Proprio quando stava per cedere ha scoperto di amare entrambe le letterature e ha scritto una tesi triennale intitolata “Lo spirito ribelle del Libano: uno studio su Gibran Khalil Gibran”. Dopo periodi più o meno lunghi trascorsi in paesi arabi e germanofoni, ha realizzato che non potrà mai smettere di studiare le suddette lingue ed ha fatto pace col bipolarismo che ne deriva. In seguito, laureatasi in “Lingua e cultura italiane per stranieri” con una tesi dal titolo “Il femminile in rivolta nella letteratura araba contemporanea”, si è specializzata nell’insegnamento dell’italiano a rifugiati e richiedenti asilo e ha sperimentato che dal confronto aperto con la diversità possono nascere cose meravigliose. Cofondatrice dell’Associazione di Promozione Sociale APS Vivo, è appassionata di piante ed erboristeria e ama gli animali e i bambini, con cui lavora e gioca. Contemporaneamente studia antiche e nuove pedagogie per ripensare le relazioni e immaginare l’armonia tra gli esseri viventi, in particolare tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Oggi vive felicemente tra le colline e i fiumi del centro Italia e, battendosi contro piccole e grandi ingiustizie che incontra sulla via, sogna un mondo in cui il rispetto per il vivente (e per la sua libertà) sia un’esigenza di tutti.
Foto dell’autrice a cura di Stefania Crocetti.
Immagine in evidenza: Foto a cura di Mujeres en travesìa scattate nel corso della mostra “Sotto le suole” progetto dell’artista Ximena Soza, nell’ambito di Imola in musica, tamburi africani a cura da Associazione Senegalesi Imola.