COMUNA BAIRES: TEATRO ANTROPOLOGICO E POLITICO (di GRAZIA FRESU)

Esse est percepi

“C’era un tempo in cui Danza, Teatro, Musica, Pittura, Scultura, Narrativa, Poesia non esistevano ancora come discipline autonome,  linguaggi clericali o minacce per analfabeti, ma continuavano ad essere elementi organici di un’unica Grande Orchestra che eseguiva la Totalità ​​​di un gesto ​​Umano​”

Renzo Casali​ (fondatore della Comuna Baires)

 

 

a cura di Grazia Fresu

I miei primi contatti con la Comuna Baires sono avvenuti negli anni ’70, durante una tournée che ha portato il gruppo in Italia. Tra i tanti teatri che hanno ospitato i compagni argentini c’è stato a Roma il  “Teatro Spaziozero” di cui facevo parte. Abbiamo accolto gli attori del gruppo nelle nostre case e la relazione ha avuto modo di approfondirsi al di là dello spettacolo che ci proponevano e che un pubblico interessato applaudiva ogni sera sotto il tendone di Testaccio. Ci siamo incontrati nella militanza politica, nell’amore per quel teatro nuovo che nasceva in quegli anni, negli scambi di informazioni tra i nostri paesi, Italia e Argentina, nelle cene con buon cibo, vino, chitarre e canzoni e parole, tante parole per conoscerci.

La Comuna Baires, il cui nome contratto significa Buenos Aires, nasce come una comunità di teatro indipendente argentina fondata da Renzo Casali, Liliana Duca, Coco Leonardi e Antonio Llopis il 5 maggio del 1969 nella Cortada di San Telmo, a Buenos Aires. Attualmente la sede principale si trova a Milano.

All’origine quarantaquattro attori ne fanno parte e danno inizio a un’esperienza senza precedenti nel teatro argentino, creando il primo gruppo teatrale dove il lavoro dell’attore nasce da un laboratorio costante che ne cerca le estreme possibilità espressive. Di questa esperienza registrerà il percorso la rivista del gruppo, Teatro 70, insieme alle istanze teatrali più  innovative del teatro e del cinema mondiali, da Grotowski a Barba a Godard e molti altri. I suoi numeri sono oggi pezzi da collezione, specie quello in cui il gruppo spiega la struttura della sua formazione.

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Il laboratorio viene impostato su questi elementi: Improvvisazione I a cura di Renzo Casali; Ginnastica Cosciente e espressione Psicocorporale (l’attore come totalità), diretto da  Liliana Duca; Improvvisazione II, (l’attore dal punto di vista dell’attore) diretto da Antonio Llopis.

Nel giugno del 1969 iniziano le prove dell’opera di Casali  “Gli Ipocondriaci” che debutta il mese dopo nella città di San Clemente del Tuyú.
Successivamente lavorano all’opera collettiva intitolata “Bachi”. Nel 1970 esce il primo numero di Teatro 70 e si presenta “Water Closet” di Renzo Casali con la direzione dell’autore e di Liliana Duca.

Il laboratorio del gruppo confluisce in questa opera, come avverrà nelle successive, mostrando le situazioni limite su cui ha lavorato, tirandone fuori tutta la violenza emotiva, per obbligare lo spettatore ad identificarsi irrazionalmente con quello che accade davanti ai suoi occhi e che lo costringe a interrogarsi nel corpo, nella psiche, nella morale con domande alle quali solo ognuno può rispondere.

La “Comuna Baires” si afferma come la prima comunità teatrale retta da principi comunitari dichiarati esplicitamente nel suo statuto, approvato dalla prima Assemblea comunitaria.

Il primo principio afferma che la Comuna si erige come un atto di autodeterminazione ideologica contro la società borghese che, con l’individualità  competitiva, sfrutta i talenti manuali e intellettuali; di conseguenza, fuori dai consolidati lacci sociali, politici o artistici della società  imperante, sceglie un’autentica libertà  e la possibilità  di sviluppare le potenzialità  creative di ogni essere umano. Successivamente si afferma che nella Comuna si promuove una vera conoscenza delle relazioni umane, di gruppo e sociali che generano la fiducia necessaria per la cooperazione, concetto che si oppone alla competizione, nella quale si fondamenta la prassi scelta della creazione. Ed è proprio la Creazione l’arma di lotta che si predilige contro le strutture del sistema in cui si vive. Per cui la Comuna, che sorge dal seno della società borghese come messa in crisi dialettica delle sue strutture, appartiene necessariamente al processo rivoluzionario in atto in quegli anni e si nutre delle lotte di liberazione del popolo argentino e di tutti i popoli del mondo.

Nella Comuna si organizzano anche le basi della convivenza dei suoi membri attraverso 16 punti, i primi 4 dei quali volutamente minano un principio di base fondamentale della società capitalista, ossia la proprietà privata.

Nella Comuna tutte le entrate dei suoi membri nell’ambito teatrale appartengono di diritto alla Comuna, così come le proprietà individuali, siano beni immobili o mobili. Si considerano beni non comunitari, quindi non condivisibili, solo gli oggetti di uso personale come vestiti, oggetti di uso igienico e intimo, donazioni extracomunitarie.

La Comuna Baires nella sua riflessione costante sull’uomo elabora quelle che chiamerà  “Metafore antropocentriche” 

      Ne citiamo alcune:

“Exigimos cultura, pero no somos tan ingenuos como para esperar. Entendemos que debemos tomarla con nuestras propias manos. Exigimos cultura porque cultura es sinónimo de libertad. A través de la cultura puedo pensar. Un hombre que piensa es un hombre libre. Esté donde esté. Incluso en una cárcel.

La cultura ha muerto y el hombre agoniza. No queremos pecar de maximalistas o tremendistas; simplemente invitar a una reflexión mediante una pregunta: ¿cuál es el grado cultural de nuestros hombres de ciencia, de nuestros hombres de la técnica, de nuestros gobernantes y políticos, de nuestros hombres del trabajo?

No nos engañemos: se financia la anti-cultura, no la cultura, no el pensamiento, no la creación. Cuando como hombre de teatro os preguntáis, hay que sostener una ideología del arte y de la cultura, ¿Cuáles son los actos coherentes con esos postulados?

¿Cuáles son las relaciones entre acto y pensamiento?”

Traduzione

“Esigiamo cultura, ma non siamo tanto ingenui da aspettare.

Capiamo che dobbiamo prenderla con le nostre stesse mani. Esigiamo cultura perché cultura è sinonimo di libertà. Attraverso la cultura posso pensare. Un uomo che pensa è un uomo libero. Stia dove stia. Anche in carcere.

La cultura è morta e l’uomo agonizza. Non vogliamo peccare di massimalismo e catastrofismo; semplicemente invitare a una riflessione attraverso una domanda: qual è il grado culturale dei nostri uomini di scienza, dei nostri uomini tecnologici, dei nostri governanti e politici, dei nostri lavoratori?

Non inganniamoci: si finanzia l’anti-cultura, non la cultura, non il pensiero, non la creazione. Quando come uomo di teatro vi chiedete, bisogna sostenere un’ideologia dell’arte e della cultura, quali sono le azioni coerenti con questi postulati?

Quali sono le relazioni tra azione e pensiero?”

Water closet

     Per le sue opere di forte contenuto politico, la Comuna viene scelta per rappresentare l’Argentina al  Festival di Nancy del ‘73 con “Water Closet”.  Gli amici aiutano a finanziare il viaggio, si organizzano spettacoli con artisti come Astor Piazzolla, Amelita Baltar, Edmundo Rivero, Marian Farías Gómez, Mariekena Monti e molti altri. Inoltre più  di 25 artisti plastici donano le loro opere da vendere per raccogliere fondi. Così la Comuna sbarca in Europa, dove le due settimane programmate diventano dieci mesi di tournée. Intanto in Argentina, il piccolo gruppo restato va incorporando altre persone e quando agli inizi del ’74 quelli che stavano in Europa rientrano, si ritrovano con un gruppo molto più grande, per la maggioranza sconosciuto.

     Tre mesi dopo il ritorno, la Comuna riceve una minaccia telefonica nella quale le danno un mese di tempo per abbandonare il paese. Di fronte a questo pericolo, 38 persone decidono di rifugiarsi in Italia, aiutate da alcuni teatranti italiani, con cui erano entrati in contatto nella visita precedente, che procurano loro i biglietti di viaggio e ospitalità.

     È così che la Comuna si radica nel vecchio continente e specialmente a Milano. Qui si realizzano le tappe significative del suo Teatro povero e antropologico, sulla linea dettata in precedenza dalle ricerche innovative dei registi e teorici del teatro  Jerzy Marian Grotowski, polacco  e di Eugenio Barba, italiano.

Jerzy Marian Grotowski, come teorico di teatro, aggiunge un profondo lavoro sul corpo allo psicologismo del metodo di recitazione di Konstantín Stanislavski. Sotto l’influenza di Antonin Artaud e del teatro orientale, propone un teatro rituale, come ceremonia e liturgia, centrato sull’attore e sulla sua relazione con lo spettatore. La sua concezione teatrale si trova raccolta nell’opera “Verso un teatro povero” (1968).

     Grotowski, in un’assoluta innovazione rifiuta la primizia del testo, facendo scuola su tutto il teatro del Novecento e oltre. Nello stesso tempo esclude dalle sue messe in scena tutti gli elementi scenici tradizionali, facendo dell’attore l’unico solitario titanico protagonista della scena, la qual cosa richiede uno straordinario sforzo fisico e psicologico e la capacità di interagire con lo spettatore a un livello emozionale diverso. Da qui quel concetto di teatro povero, ossia privo di accessori e orpelli, che avrebbe svuotato le scene europee e mondiali di ogni inutile elemento, lasciando solo gli attori su praticabili nudi a raccontare tutte le storie possibili, esclusivamente attraverso espressioni facciali, movimenti corporali, posizioni, ritmi.

La Comuna Baires, come  Grotowski, alla ricerca di una pura essenzialità scenica che fosse specchio di un’essenza umana senza sovrastrutture, con un suo originale percorso arriva ad una scena spoglia, dove l’attore è l’assoluto protagonista di un evento in cui lo spettatore rappresenta l’altro polo, senza nessuna mediazione di mezzi tecnici come scenografia, costumi, effetti luminosi. La luce, unico elemento usato, diventa solo spietata condizione della visione e non abbellimento o atmosfera.

Con Eugenio Barba e il suo Odin Teatret si fa strada il concetto di teatro antropologico, il cui senso profondo trova terreno fertile nelle esperienze teatrali e umane della Comuna Baires. Tra il 1961 e il 1964 Eugenio Barba osserva il lavoro di Jerzy Grotowsky con i suoi attori in  Polonia e successivamente sviluppa i principi dell’Antropologia Teatrale che mette in pratica con l’Odin Teatret, la compagnia che fonda nello stesso anno.

Per Eugenio Barba, l’Antropologia Teatrale indica un nuovo campo di ricerca: lo studio del comportamento pre-espressivo dell’essere umano collocato in una situazione di rappresentazione organizzata. Le tre logiche fondamentali dell’antropologia teatrale su cui l’attore lavora sono: la fisica, l’emozionale e la mentale, la cui unità si realizza in scena nel processo attoriale, dove l’attore, attraverso la sua energia corporale, disegna l’espressione scenica in uno stretto vincolo tra voce, gesto e movimento.

Chiunque abbia visto uno spettacolo della Comuna Baires sa come sapientemente questa energia fluisca dal corpo degli attori a quello degli spettatori e lo spazio scenico divenga leggibile solo in questa dimensione di coesione creativa.

Nel suo saggioLa Canoa di carta: trattato di Antropologia Teatrale”, pubblicato nel 1993, Barba riunisce le riflessioni, le idee, gli esercizi  della sua teoria. Ci dice: “A volte il cammino più breve tra due punti è un arabesco. La rotta di una canoa ostacolata dalle correnti. La canoa di carta è questo libro. Le correnti sono la materia in movimento della molteplicità dei teatri e dei loro attori, esperienze, memorie. La canoa naviga per linee tortuose ma secondo un metodo”.

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Ci sembra che la storia e il cammino della Comuna Baires possa essere simbolizzato da questa immagine di canoa che trova, anche tra acque tormentose, il senso e l’efficacia del suo viaggio.

Dal 1970 La Comuna Baires ha presentato i suoi spettacoli in giro per il mondo, dall’Argentina alla Cecoslovacchia, alla Danimarca, alla Finlandia, alla Svezia, dalla Francia alla Germania, alla Polonia, alla Svizzera, all’Italia; ha partecipato a molti festival internazionali di teatro e ha organizzato seminari per attori, drammaturgi e registi in Europa e in Argentina.

Alle attività  teatrali della Comuna si aggiungono la fondazione e gestione della Scuola Europea di Teatro, Cinema e Scrittura dal 1977 con sede a Milano, che comprende anche un laboratorio per bambini. La scuola si regge con sovvenzioni private; e una piccola casa editrice indipendente “Editori della peste”, che viene gestita dal Laboratorio di scrittura creativa.

Il numero delle opere rappresentate e editate è considerevole e mostra tutto il percorso di ricerca della Comuna e la sua poetica teatrale, insieme ai saggi pubblicati che la inseriscono a pieno diritto nel processo di rinnovamento del teatro dagli anni ’70 ad oggi.

Il venerdì 9 aprile del 2010 muore a Milano Renzo Casali, uno dei padri fondatori della Comuna Baires e il sabato 10 di notte si celebra il suo funerale nella sede della Comuna a  Milano. Per volere di Renzo, si tiene una festa a base di musica e letture durante la quale gli amici e i componenti della Comuna  inneggiano alla sua infaticabile opera di operatore culturale, di direttore e  di uomo impegnato nel sociale e nella politica.

      Il legame della Comuna con la terra madre persiste, così come il ponte culturale tra Italia e Argentina, su cui ognuno di noi volendo può salire per vivere un’esperienza unica.

      Nel 1984 l’Istituto di Antropologia di Milano e La Comuna Baires hanno fondato in Argentina un villaggio chiamato Willaldea a seguito di una intuizione di Renzo Casali. Agli inizi degli anni ’80, nella sede della Comuna nasceva il progetto “Orizzonte 1992”: la fondazione di un villaggio sperimentale alla ricerca di un contatto permanente culturale e politico tra il Nord e il Sud del pianeta, nella consapevolezza che il vero conflitto da risolvere verteva in questa divisione del mondo. Dopo quattro anni di dibattito e ricerca, ritornata la democrazia in Argentina il 9 luglio 1984, un gruppo di persone, per la maggior parte antropologi e gente di teatro, porta la propria utopia nel cuore della pampa argentina, con lo scopo di costruire un ponte per collegare l’Europa con il continente Latinoamericano. Nasce così Willaldea, un villaggio cosmopolita dove diventa possibile e lo è ancora portare avanti una ricerca sulla condizione umana, con gli strumenti dell’antropologia e del teatro. La gente di Willaldea negli anni ha organizzato eventi a livello nazionale e internazionale e ha partecipato alla vita sociale, economica e culturale del paese che abita, rispettando la cultura locale e integrandovi le proprie origini, sperimentando un rapporto autentico con i propri simili e con il mondo intorno a loro: l’architettura del villaggio è funzionale agli scopi e alle esigenze dei suoi abitanti; gli edifici sorgono in un parco di quarantamila metri quadrati con ampi prati e più di cinquanta specie di alberi. Willaldea cresce e si trasforma continuamente e accoglie chiunque voglia ritrovarsi in itinere e vivere l’energia creativa che la definisce e la sostiene. Ovunque si respira uno spazio aperto alla ricerca e alla sperimentazione in ogni campo. Willaldea unisce efficacemente l’Europa con il continente Latinoamericano, utopia fatta realtà che l’energia creatrice della Comuna Baires  ha sognato e sostenuto. Chiunque abbia la possibilità di viaggiare in Argentina dovrebbe visitare questo luogo che l’invincibile forza di un gruppo di teatranti e antropologi ha reso possibile.

Grazia Fresu_fotoGRAZIA FRESU È nata a La Maddalena, in Sardegna. È  dottore in Lettere e Filosofia all’ Università “La Sapienza” di Roma, specializzata in Storia del teatro e dello spettacolo. A Roma ha lavorato per molti anni come docente e ha sviluppato la sua attività di drammaturga, regista e attrice e dal 1998, inviata dal Ministero degli Affari Esteri, si è trasferita in Argentina, prima a Buenos Aires e attualmente a Mendoza, dove insegna   lingua, cultura e letteratura italiana nel Profesorado de lengua y cultura italiana, Facoltà di Lettere e Filosofia, della Università Nazionale di Cuyo. È poetessa, con quattro raccolte poetiche edite: “Canto di Sheherazade”, Ed. Il giornale dei poeti, ROMA 1996, presentato alla Fiera del libro di Torino del 1997; “Dal mio cuore al mio tempo” che ha vinto in Italia nel 2009 il primo premio nazionale “L’Autore”, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice Maremmi- Firenze Libri; “Come ti canto, vita?”, Ed. Bastogi, Roma 2013; “L’amore addosso”, Ed. Bastogi, Roma 2016. Ha partecipato a vari congressi con conferenze su temi di letteratura e problematiche culturali, educative e sociali e pubblicato i suoi saggi critici in atti congressuali e riviste specializzate. Ha inoltre realizzato molti eventi di narrazione e messo in scena i suoi testi teatrali con la sua e altrui regia. Collabora con la rivista online “L’Ideale” curando la rubrica di cultura e società “Sguardi d’altrove” e con il magazine “Cinque colonne” nella Terza Pagina con articoli di letteratura, arte, società. Le sue poesie “Deserto, inconsapevole esilio”, “Le  terre dell’esilio”, “Mi sei mancata più di tutte le mancanze”, “Passano”, “Quando partivi, padre” fanno parte dell’antologia “Molti nomi ha l’esilio” di nostra prossima pubblicazione.

Foto in evidenza e all’interno dell’articolo: gentile concessione ComunaBaires

Foto di Grazia Fresu: gentile concessione dell’autrice

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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