Quella che (presto) terrete tra le mani, è la storia di un fallimento: vale a dire che l’obiettivo dell’opera si esaurisce nello stesso tentativo di esistere. Credo anzi, che questa sia la condizione comune per ognuno di noi: se potessimo ricordare cosa provavamo quando eravamo meno che feti, la sensazione principale sarebbe quella del fallimento. La triste storia dell’io ci aspetta, da qualche parte e con essa, il desiderio di affermazione contro l’altro: un nemico mortale.
L’urlo barbarico è un’antologia poetica, ma sarebbe meglio definirla come una raccolta di raccolte: otto autori, otto collezioni, una strada uguale mano nella mano. E non a caso parliamo di una strada e di un urlo – siamo stati costretti a rivolgerci all’America, a una particolare forma di eredità culturale. Sentivamo che bisognasse tornare indietro dall’ultima grande avanguardia del continente, così indietro fino a ricongiungerci con la poesia degli albori: «Io urlo il mio barbarico YAWP / che risuona sopra i tetti del mondo» disse molti, molti anni prima Walt Whitman.
E tuttavia, o forse proprio per questo sentore di universalità, abbiamo cercato di spersonalizzarci, di liberarci dall’idea malsana della figura dell’autore. La prima raccolta si apre con un nome, Iuri Lombardi, poeta fiorentino di una generazione precedente la nostra che ci lascia una staffetta importante – tocca a voi, pareva dirci. Ecco quindi una carrellata di falsi-nomi che nascondono l’identità di ciascuno di noi: pseudonimi, uno dopo l’altro. Ma alla fine, quando a tutti sembrava di avercela fatta (e con noi, il lettore), l’ultima raccolta si apre di nuovo con un nome reale: Alfonso Canale.
Ci eravamo illusi, avevamo sbagliato tutto: tornavamo a esistere. Ma forse, era giusto così – ogni costruzione necessita prima di una pars detruens: avevamo la sciocca idea di essere come i barbari che mettevano fine all’impero romano.
Appunti di un Apostata
È possibile che non abbiate mai sonno
che alla sera si protragga il giorno
come un drink tagliato vi si allunghi
sin oltre all’alba?
Negli occhi vi sfavillano stelle come ieri,
ai tempi in cui cuciti addosso quattro stracci,
i braccianti tra le macerie nel sole
si davano al giorno della fiera.
Ma tu non sai? Lo stare sveglio ti esclude
la possibilità di una scelta – al calendario
della storia (mai ho ceduto alle bizze
gregoriane, ai colpi secchi della riforma
nella sera antracite).
La nostra età è comunque minacciata
da un assedio, l’esodo crudele che dal
Mediterraneo spalanca a ventaglio
ali nere di ferocie e di lotta.
Qualcuno attenta sempre la nostra libertà:
ma la scelta per chi ce l’ha resta unica
nel suo insieme. Forse solo scegliendo
si è felici, con le stelle negli occhi,
il drink allungato, la sera che si fa giorno.
È possibile che tu non abbia mai sonno?
– da Iuri Lombardi, Capodanno Metropolitano
***
Come polsi aperti
Noi siamo come creature
di nebbia
in fuga dallo stupro
della vita, mostri
che irrorano petrolio
dal cuore emersi
da una fissità vermiglia
come polsi aperti
– da Charles Folie, Orizzonte della dimenticanza
***
Dopo
Sempreverde era vivere
poi divenne vuoto e stretto.
Oggi anelo i fuochi di me stessa
o i postulati di una leggerezza precisa.
Ora ingorghi di domande urgenti,
di soluzione assente o indiretta,
spremono il sangue dell’ironia
vecchia, sgonfia e postuma.
– da Skara, Variazioni sui miei basilischi
***
T’accorgi
T’accorgi d’un tratto
Che i deboli sognano la forza
Tanto da odiarla bistrattarla calunniarla.
T’accorgi dell’oscurità dolce che vela
Ogni sguardo ogni orma.
T’accorgi che, in fondo, sottovivi
Mezzo avariato per rimossi passati
Di rara potenza
Del desiderio a sé che in sé tutto ti mostra,
in vetrina di plexiglass, senza farne vita;
Di una scelta vigliacca in prigioni di carta;
Del pilastro capitolante, nel tempio sperduto,
che forse ne sosterrebbe la mole
decadente incandescente.
T’accorgi della profetica minoranza
Che, in fondo, gode nel gorgogliare minoranza,
Ch’ogni bivio è un vorticare rischioso
Intorno ai più grandi terrori.
T’accorgi di scivolar via dalle tue mani,
informe frantumato,
senza apposizioni attributi,
nome fuor d’ogni senso.
T’accorgi, ride follie e ti volti
Verso quella mortale sottana,
l’alterità la morte per vivere
il dono, l’immenso, il mare.
– da Alfonso Canale, Vedo
Per gentile concessione dei curatori dell’antologia.
Immagine in evidenza: Foto di Melina Piccolo.