Che cos’è L’urlo barbarico? estratti dall’antologia poetica a cura di Antonio Merola

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Quella che (presto) terrete tra le mani, è la storia di un fallimento: vale a dire che l’obiettivo dell’opera si esaurisce nello stesso tentativo di esistere. Credo anzi, che questa sia la condizione comune per ognuno di noi: se potessimo ricordare cosa provavamo quando eravamo meno che feti, la sensazione principale sarebbe quella del fallimento. La triste storia dell’io ci aspetta, da qualche parte e con essa, il desiderio di affermazione contro l’altro: un nemico mortale.

L’urlo barbarico è un’antologia poetica, ma sarebbe meglio definirla come una raccolta di raccolte: otto autori, otto collezioni, una strada uguale mano nella mano. E non a caso parliamo di una strada e di un urlo – siamo stati costretti a rivolgerci all’America, a una particolare forma di eredità culturale. Sentivamo che bisognasse tornare indietro dall’ultima grande avanguardia del continente, così indietro fino a ricongiungerci con la poesia degli albori: «Io urlo il mio barbarico YAWP / che risuona sopra i tetti del mondo» disse molti, molti anni prima Walt Whitman.

E tuttavia, o forse proprio per questo sentore di universalità, abbiamo cercato di spersonalizzarci, di liberarci dall’idea malsana della figura dell’autore. La prima raccolta si apre con un nome, Iuri Lombardi, poeta fiorentino di una generazione precedente la nostra che ci lascia una staffetta importante – tocca a voi, pareva dirci. Ecco quindi una carrellata di falsi-nomi che nascondono l’identità di ciascuno di noi: pseudonimi, uno dopo l’altro. Ma alla fine, quando a tutti sembrava di avercela fatta (e con noi, il lettore), l’ultima raccolta si apre di nuovo con un nome reale: Alfonso Canale.

Ci eravamo illusi, avevamo sbagliato tutto: tornavamo a esistere. Ma forse, era giusto così – ogni costruzione necessita prima di una pars detruens: avevamo la sciocca idea di essere come i barbari che mettevano fine all’impero romano.

 

Appunti di un Apostata

 

È possibile che non abbiate mai sonno

che alla sera si protragga il giorno

come un drink tagliato vi si allunghi

sin oltre all’alba?

Negli occhi vi sfavillano stelle come ieri,

ai tempi in cui cuciti addosso quattro stracci,

i braccianti tra le macerie nel sole

si davano al giorno della fiera.

Ma tu non sai? Lo stare sveglio ti esclude

la possibilità di una scelta – al calendario

della storia (mai ho ceduto alle bizze

gregoriane, ai colpi secchi della riforma

nella sera antracite).

La nostra età è comunque minacciata

da un assedio, l’esodo crudele che dal

Mediterraneo spalanca a ventaglio

ali nere di ferocie e di lotta.

Qualcuno attenta sempre la nostra libertà:

ma la scelta per chi ce l’ha resta unica

nel suo insieme. Forse solo scegliendo

si è felici, con le stelle negli occhi,

il drink allungato, la sera che si fa giorno.

È possibile che tu non abbia mai sonno?

– da Iuri Lombardi, Capodanno Metropolitano

***

Come polsi aperti

Noi siamo come creature

di nebbia

in fuga dallo stupro

della vita, mostri

che irrorano petrolio

dal cuore emersi

da una fissità vermiglia

come polsi aperti

– da Charles Folie, Orizzonte della dimenticanza

***

Dopo

 

Sempreverde era vivere
poi divenne vuoto e stretto.
Oggi anelo i fuochi di me stessa
o i postulati di una leggerezza precisa.
Ora ingorghi di domande urgenti,
di soluzione assente o indiretta,
spremono il sangue dell’ironia
vecchia, sgonfia e postuma.

– da Skara, Variazioni sui miei basilischi

 

***

T’accorgi

 

T’accorgi d’un tratto

Che i deboli sognano la forza

Tanto da odiarla bistrattarla calunniarla.

T’accorgi dell’oscurità dolce che vela

Ogni sguardo ogni orma.

T’accorgi che, in fondo, sottovivi

Mezzo avariato per rimossi passati

Di rara potenza

Del desiderio a sé che in sé tutto ti mostra,

in vetrina di plexiglass, senza farne vita;

Di una scelta vigliacca in prigioni di carta;

Del pilastro capitolante, nel tempio sperduto,

che forse ne sosterrebbe la mole

decadente incandescente.

T’accorgi della profetica minoranza

Che, in fondo, gode nel gorgogliare minoranza,

Ch’ogni bivio è un vorticare rischioso

Intorno ai più grandi terrori.

T’accorgi di scivolar via dalle tue mani,

informe frantumato,

senza apposizioni attributi,

nome fuor d’ogni senso.

T’accorgi, ride follie e ti volti

Verso quella mortale sottana,

l’alterità la morte per vivere

il dono, l’immenso, il mare.

– da Alfonso Canale, Vedo

 

Per gentile concessione dei curatori dell’antologia.

Immagine  in evidenza: Foto di Melina Piccolo.

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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