CHAT – Racconto di Julio Monteiro Martins tratto da Racconti Italiani

TERRITORIO SAGRADO

 

CHAT

 

 

Ciao Marco

Non so se ti ricordi ancora di me. L’architetto di Modena, abbiamo chiacchierato sull’aereo un anno fa. Ritornavo a San Paolo, dove vivevo con mia moglie che è brasiliana, e tu andavi a Bahia in vacanza, per la prima volta da solo, e dovevi cambiare a San Paolo. Ti sembrerà incredibile, ma solo adesso sono riuscito a prendermi qualche giorno libero e mettere a posto un po’ di corrispondenza. Allora, ho cercato il tuo numero di chat per salutarti. Come stai? Come sono andate le tue vacanze? E la tua bimba, come va?                Stefano Pacini

 


 

 

Ciao Stefano,

La bimba, Teodora, va benissimo. È con sua madre a Parigi. Non credevo che io e te ci saremmo sentiti nuovamente. Bravo! Hai fatto bene. Sai, quelle chiacchierate in viaggio per passare il tempo di solito finiscono lì. Ma mi ricordo benissimo che la nostra conversazione era tutt’altro che comune. Le nostre vite erano così simili, per tanti aspetti.

Mi ricordo che avevi paura di tornare a casa tua. Temevi che la metropoli sudamericana ti ingoiasse quella volta, o cosa del genere. Non so se ti ho capito bene in quel momento, credo che adesso capirei molto meglio. Sei ancora vivo, allora?

 


 

 

Non so se sono vivo. Ci vorranno degli anni per capire cos’è successo – o meglio, cosa sta succedendo. Avevo ragione però di preoccuparmi. Era quasi un’intuizione che ho avuto sull’aereo. Sono arrivato a casa e mia moglie non c’era più. Dopo l’ho vista due volte soltanto: Una volta lei è venuta qui a casa per prendere dei documenti che aveva dimenticato in un cassetto. L’altra volta l’ho vista davanti all’avvocato che si occupava del nostro divorzio. Tutte e due le volte lei canticchiava la stessa canzone imbecille, su uno scarafaggio. Credo che la renda più tranquilla nei momenti di tensione, quella canzonetta, come un “mantra”. Poi sono stato solo tutto questo tempo, lavoro come un matto e nelle ore libere cammino per le strade della città, come se cercassi lì qualcosa che non so. Mentre cammino mi viene in mente in continuazione un’immagine, una visione spaventosa: vedo un mondo in cui l’uomo non esiste più e le cose e gli animali vadano avanti per sempre senza uno sguardo, senza una coscienza che li metta insieme. In uno di quei giorni senza tempo la terra si aprirà, e attraverso un immenso crepaccio riappariranno in superficie le vestigia di una antica città. Sarà San Paolo del Brasile, e lì, da qualche parte, ci saranno anche i granelli delle mie ceneri.

 


 

 

Dai, Stefano! Che macabro sei! Con queste chat così rovini la giornata della gente…

 


 

 

Non c’è niente da fare. Sono così. Se vuoi, ti do anche il permesso di spegnermi subito.

 

 


 

 

Con una pistola va bene?

 


 

 

Come preferisci.

 


 

 

E smettila. Conosci un’antica immagine di Dio nella quale è una sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo?

 

 


 

E che c’entra?

 


 

 

Così, non devi preoccuparti. Sei dentro quella sfera. Sei protetto.

 


 

 

Cosa dici? Sei  uscito fuori di testa? Preferisco piuttosto un’immagine di Dio che ho letto in una poesia di Alda Merini. La conosci? Aspetta un po’ che vado a prendertela.

Eccola: “Dio è un grande alligatore. Esce dalle acque del nostro grembo, generato da noi, e ci mangia il cuore”. Capisci, caro Marco?

 


 

 

Sì. Capisco. È successo anche a me qualcosa di simile dopo quel viaggio a Bahia.

A proposito, ti garba la Merini? A me abbastanza. Ma non tutto. C’è parecchio discorso inconcludente… Ma all’improvviso uno si imbatte in un gioiello come questo, no?

Lei sì che è una sopravvissuta. Reduce dal manicomio. Ci pensi? Come sarebbe di perdere tutti i punti di riferimento su tutti i discorsi possibili, per tanti anni, e poi, fuori dal recinto, dover emettere pubblicamente un discorso.

 


 

 

Magari appunto per questo lei scrive solo poesia.

 


 

 

Cose da matti, ragazzi….

 


 

 

Mah. Non è necessariamente una brutta cosa qualche anno in manicomio. Può diventare un’opportunità di pulirsi la mente di tutti i cliché e luoghi comuni, e conquistarsi una voce più libera, come la sua.

 


 

 

Ma, scherzi?! Cos’è questo adesso? Umorismo nero? Sai cosa ha scritto uno che lo ha vissuto sulla propria carne? Sono entrato in manicomio e ho dormito per un milione di anni…

 


 

 

Ganzo. Ma i manicomi non ci sono più in Italia, vero?

 


 

 

Magari in Brasile ci saranno ancora, però.

 


 

 

Non te lo so dire e non mi interessa. Hai scritto che tua moglie è a Parigi con tua figlia. Come mai?

 


 

 

Ex-moglie. Ci siamo separati dopo il mio ritorno, caro mio Stefano. È scoppiato il finimondo. Alla fine lei ha deciso di andarsene a vivere a Parigi.

 


 

 

Mica male come scelta. E anche a te ti è andata di lusso. Parigi è vicina, comunque, no?

 


 

 

Non ho mica il tempo di andarci, con tutto il lavoro che ho. Teodora, la mia bimba, mi manca moltissimo, però.

 


 

 

Immagini se lei la avesse portata a vivere qui in Brasile, per esempio. Come faresti?

 


 

Non ci voglio nemmeno pensare. Comunque, anche Parigi è un problema. Dove trovo tre giorni liberi per andarci? E poi, non mi garba rivedere la mia ex, capisci? Mi avvelena il sistema. Mi intossica. Sto male poi per un’intera settimana.

 


 

 

La mia almeno non la devo vedere mai più. Almeno spero.

 


 

 

Ho letto qualche giorno fa un pensiero di Trifunovic’: “Il nostro amore consiste nel non dare ad altri nostra moglie”.

 


 

 

Ummm… Un po’ ambiguo questo tuo pensiero.

 


 

 

Come lo interpreti?

 


 

 

Mah. Vediamo… Per il momento ho due diverse ipotesi di interpretazione. La prima: la tentazione di fare felici i tuoi amici dandogli in regalo la tua moglie (come fanno gli eskimo) è grandissima, ma per amore (per lei) tu ti sforzi di resistere e di non farlo. La seconda: tua moglie è una vera carogna, in grado di rovinare per sempre la vita degli uomini che cadono tra le sue grinfie, in modo tale che il più grande atto di amore che puoi svolgere verso l’intera umanità è quello di sacrificarti e non offrirle tua moglie, tenendotela accanto nonostante tutti i tormenti che lei ti reca.

 


 

 

Solo un santo lo potrebbe fare…

 


 

 

È vero, mio caro.

 


 

 

La frase, l’avevo capita solo nella tua seconda interpretazione.

 


 

 

È un brutto momento per te.

 

 


 

Anche per te.

 


 

 

È vero. Ma per ragioni diverse.

 


 

 

Mica tanto.

 


 

 

Fra poco cadrò un’altra volta nel crepaccio. Lo sento già. È un buco nero…

 


 

 

Ma cosa ci fai ancora in Brasile? Tornatene a Modena.

 


 

 

No. Aspetto l’Apocalisse e il Giudizio Finale. Sono convinto che arriveranno prima da queste parti.

 


 

 

Il Grande Crepaccio!

 


 

 

Giusto.

 


 

 

Dai… Andiamo insieme in Sardegna quest’estate. Dopo Ferragosto prendo una casetta vicino a Porto Zafferano. Lì potrai aspettare l’Apocalisse più comodamente. Magari anche in bella compagnia…

 


 

 

Non posso, caro amico. Sono bloccato. Immobilizzato. L’alligatore mi sta mangiando il cuore.

 


 

 

C’è sempre una mossa per uscire da un gioco bloccato.

 


 

 

L’ultimo che ci ha provato è cascato dentro il Vesuvio.

 


 

 

Ormai sei un caso perso, Stefano, uno schiavo di questo tuo personaggio maledetto. Hai fatto un bel lavoro di autoconvincimento, accidente a te. Non c’è niente da fare… Comunque , se cambi idea, dimmelo, ok?

 


 

 

Va bene. Ora posso darti un consiglio? Vai a Parigi più spesso. Trova il tempo. Lavora un po’ meno. Tanto, sei ricco lo stesso. Non stare per molto lontano dalla tua Teodora. Senti questa: “È pericoloso aprire un baratro negli affetti umani: e non perché questi si aprono vieppiù in ogni direzione, ma perché si richiudono in men che non si dica.” – Wakefield, un bel racconto di Hawthorne.

 


 

 

Ma come fai a trovare queste cose?

Hai detto “baratro”? Ma sei diventato un esperto in voragini, caro mio.

Grazie per il consiglio. Ci penserò. La chiacchierata di oggi è stata bella come quella sull’aereo un anno fa, vero?

Prenditi cura di te. E aggrappati bene ai bordi!

 


 

 

Anche tu, amico. Aggrappati bene a Teodora e l’alligatore non ti potrà mangiare il cuore…

Alla prossima, in rete o su un aereo.

 


 

 

Ma andiamo in Sardegna insieme, dai!

 


 

Lucca, luglio 1999

Julio Monteiro Martins

Per gentile concessione degli eredi, da Racconti italiani, Besa editrice, 2000.

 

MONTEIRO-MARTINS-BN

JULIO MONTEIRO MARTINS (1955-2014) è nato a Niterói (Brasile). È stato professore di scrittura creativa al Goddard College (Vermont) dal 1979 al 1980, all’Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro) dal 1982 al 1989, all’Istituto Camões di Lisbona nel 1994 e alla Pontifícia Universidade Católica di Rio de Janeiro nel 1995. Ha ricevuto il titolo di “Honorary Fellow in Writing” dall’Università di Iowa (International Writing Program) nel 1979. Ha insegnato Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria all’Università Degli Studi di Pisa e diretto il Laboratorio di Narrativa, parte del Master della Scuola Sagarana, a Pistoia. Tra i fondatori del partito verde brasiliano e del movimento ambientalista “Os Verdes”, avvocato per i Diritti umani per la difesa dei meninos de rua dopo la Strage della Candelaria. Fondatore e direttore della casa editrice Anima, a Rio de Janeiro, che ha pubblicato il maggior numero di opere prime di autori brasiliani tra il 1983 e i 1987 e di numerose traduzioni di testi inediti e rari. Giunto in Italia, ha continuato questo lavoro di scavo fondando la rivista online di letteratura Sagarana. In Brasile ha pubblicato raccolte di racconti, romanzi e saggi: TorpaliumSabe quem dançou? (Sai chi hanno beccato stavolta?), Artérias e becos (Arterie e vicoli ciechi), BárbaraA oeste de nada (A ovest di niente),As forças desarmadas (Le forze disarmate), O livro das Diretas (Il libro della democrazia ritrovata), Muamba e O espaço imaginário (Lo spazio immaginario). In Italia ha pubblicato Il percorso dell’idea (1998), Racconti italiani(2000), La passione del vuoto (2003), madrelingua (2005), L’amore scritto (2007). Con Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo ha pubblicato inoltre il volume Non siamo in vendita – voci contro il regime (2001). È stato anche autore di opere teatrali (L’isteria del marmoPer motivi di forza maggioreAula magnaHitler e Chaplin). Le sue poesie sono state pubblicate su varie riviste, fra cui il quadrimestrale di poesia internazionale Pagine e la rivista online El Ghibli, e nelle antologie I confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (2006) e A New Map: the Poetry of Migrant Writers in Italy (Los Angeles, Green Integer 2006). Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua opera Un mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace. Nel dicembre 2013 è stata pubblicata la sua raccolta poetica La grazia di casa miaTra i libri postumi La Macchina sognante (Besa, editrice, 2015),  e il romanzo L’ultima pelle (Lebeg, 2019).

 

Immagine di copertina: Fotografia dell’installazione luminosa di Corporación Traitraico e Delight Lab, Opera “Ngen Kintuantu, fuerza espiritual que busca el Sol”, Territorio Sagrado.

 

 

Riguardo il macchinista

Walter Valeri

Walter Valeri poeta, scrittore e drammaturgo è stato assistente del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame dal 1980 al 1995. Ha fondato il Cantiere Internazionale Teatro Giovani di Forlì nel 1999. Successivamente ha diretto il festival internazionale di poesia Il Porto dei Poeti a Cesenatico nel 2008 e L’Orecchio di Dioniso a Forli' nel 2016. Ha tradotto vari testi di poesia, prosa e teatro. Opere recenti Ora settima (terza edizione, Il Ponte Vecchio, 2014) Biting The Sun ( Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu edizioni, 2015) Parodie del buio (Il Ponte Vecchio, 2017) Arlecchino e il profumo dei soldi (Il Ponte Vecchio, 2018) Il Dario Furioso (Il Ponte Vecchio, 2020). Collabora alle riviste internazionali Teatri delle diversità, Sipario, lamacchinasognante.com Dal 2020 dirige i progetti speciali del Museo Internazionale della Maschera “Amleto e Donato Sartori”. È membro della direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge (USA).

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