di Anna Fresu
Questo secondo contributo sull’opera di Carolina Maria de Jesus offre uno spaccato del suo lavoro poetico. Per approfondire sulla sua produzione narrativa, questa è la prima parte del saggio: http://www.lamacchinasognante.com/dal-ripostiglio-di-san-paolo-il-mondo-delle-favelas-attraverso-la-scrittura-di-carolina-de-jesus/
Será que escrever poesias/ É pecado?
Scrivere poesia/ è forse peccato?
(“O exilado” in: Carolina Maria de Jesús – Antologia Pessoal, Editora UFRJ, Rio de Janeiro 1996)
Carolina Maria de Jesus non ha scritto solo diari o proverbi ma per tutta la sua vita ha riempito fogli riciclati, con tracce di una vita anteriore, con i suoi versi da leggere, da recitare, da cantare; trentasette quaderni di circa quattromila pagine manoscritte. Lei stessa si è sempre definita “Poeta”. In vita, però, le sue poesie non hanno mai attirato l’attenzione di un editore. Solo nel 1996, a diciannove anni dalla sua morte, José Carlos Sebe Bom Meihy riunisce i suoi versi sparsi in Antologia Pessoal, che sarà pubblicata dalla casa editrice UFRJ, a Rio de Janeiro.
Come scrive Marisa Lajolo in una delle prefazioni che introducono l’antologia, la sua pubblicazione rappresenta una sorta di riparazione, quasi una resa dei conti, e può aprire il passo a un’altra storia della cultura brasiliana che ne faccia emergere il carattere meticcio e eterogeneo spesso trascurato.
È, quella di Carolina de Jesus, una poesia urbana e popolare, espressione della sua caratteristica “poetica dei residui” in cui tutto si mischia: discorsi e generi letterari e non letterari, la poesia romantica e la cronaca, le parole dei samba, i radiodrammi, i canoni letterari e l’oralità; quell’oralità in cui le origini africane d’Angola si fondono con l’infanzia e la giovinezza trascorse nello stato di Minas Gerais, in un linguaggio diretto e privo di erudizione. A volte, tuttavia, Carolina cerca un linguaggio più raffinato, ispirato al lirismo di fine secolo più che alla poesia a lei contemporanea.
Ad alcuni la sua poesia potrà apparire scorretta sia poeticamente che politicamente: sono frequenti gli errori ortografici, grammaticali e sintattici; un uso eccessivamente “semplice” della lingua malgrado il costante lavoro di lima dell’autrice e la ricerca sul vocabolario di parole più sofisticate; o il lavoro di “pulizia”, rispettoso però e senza interferenze da parte del revisore Armando Freitas Filho per Antologia Pessoal; non ci sono discorsi “rivoluzionari” sulla condizione femminile o su quella degli afrodiscendenti né manifesti di protesta sociale e politica. Carolina non ha avuto buoni maestri, non ne ha avuto affatto; è testimone, espressione diretta di una realtà messa ai margini, “ripostiglio” della società, anche di quella parte più illuminata o rivoluzionaria. Le resta la facile consolazione di un cristianesimo primario e la denuncia di ciò che vede e vive sulla sua pelle, la non sottomissione, il desiderio di emergere per far sentire la sua voce. Voce che racconta di sé e di quelli che condividono la sua stessa situazione di donna, afrodiscendente, abitante della favela. È in questo la sua forza, il suo valore. E non importa se a volte parla di sé al femminile, a volte al maschile; se a volte tenta di interpretare il suo paese, il mondo, secondo stereotipi: sono questi e non altri gli strumenti di cui dispone: lezioni e modelli di una cultura dominante a cui lei, dominata ma mai sottomessa, non può e non ha gli strumenti per sfuggire, almeno non del tutto. Ma ci prova Carolina, a sfuggire almeno dalla favela cercando una vita più dignitosa, dove la fame e il degrado non regnino sovrani, dove il suo ruolo in quanto Donna Nera Povera non sia predeterminato:
“Eu disse: o meu sonho é escrever!
Responde o branco: ela é louca.
Que as negras devem fazer…
É ir pro tanque lavar roupa…”
Io dissi: il mio sogno è scrivere!
Risponde il Bianco: È una pazza.
Quello che le Negre devono fare
È andare i panni a lavare…
(in “Quadros”, Carolina Maria de Jesús – Antologia Pessoal, Editora UFRJ, Rio de Janeiro 1996, p. 201)
Quadros
Passei pelo mundo sofrendo
Não realizei as minhas vocações
E pouco a pouco fui perdendo
Ideal e todas ilusões…
A vida ensinou-me a suportar
todas as conseqüências
A não reclamar
a ter fé e paciência…
Eu disse: o meu sonho é escrever!
Responde o branco: ela é louca.
Que as negras devem fazer…
É ir pro tanque lavar roupa…
Sou no mundo um peregrino.
Não sei o que seja prazer,
Pra que lutar contra o destino
Se eu nasci para sofrer?
Saio de casa não deixo nada
Nem um pedacinho de pão,
Deixo minhas roupas molhadas
Não as lavo por não ter sabão
Quem luta para viver
Quantas dificuldades
Um pobre quando morrer
Não pode levar saudades…
Os poetas que passaram
Construíram castelos no ar
E quase todos idealizaram
Somente os sonhos para sonhar.
O pobre não deve revoltar-se
Por ser pobre deve até dizer:
Com orgulho: foi entre os pobres
Que Jesus preferiu nascer.
Às vezes tenho saudades
da minha quadra inocente
Desconhecia adversidade
Que atinge a vida da gente.
Eu sempre fui vaidosa
Mas o destino comigo foi cruel
Obrigando-me a andar andrajoso
Pelas ruas catando papel
Num país subdesenvolvido
Onde o povo não vai à escola
por não ser bem esclarecido
O que aprende é pedir esmola
Minha existência é sombria
Vivo tão só neste mundo
Minha amiga é a poesia
Que não me deixa um segundo.
( Carolina Maria de Jesús – Antologia Pessoal, Editora UFRJ, Rio de Janeiro 1996, p. 197)
Quartine
Passai per il mondo soffrendo
Non seguii le mie vocazioni
E poco a poco persi
L’ideale e le illusioni…
La vita m’insegnò a sopportare
Sempre ogni conseguenza
A non dover reclamare
Ad aver fede e pazienza…
Io dissi: il mio sogno è scrivere!
Risponde il Bianco: È una pazza.
Quello che le Negre devono fare
È andare i panni a lavare…
Sono nel mondo un pellegrino.
Non so cosa sia il piacere,
Perché lottare contro il destino
Se sono nata per soffrire?
Esco di casa, non lascio niente
Non un pezzetto di pane ,
Lascio i vestiti bagnati
Non li lavo, non ho sapone.
Chi lotta per sopravvivere
Quante difficoltà!
Un povero quando muore
Non ha nostalgie da serbare.
I poeti che passarono
Costruirono castelli in aria
E quasi tutti idealizzarono
Solo i sogni per sognare…
Il povero non deve ribellarsi
Perché è povero deve affermare
Con orgoglio: in mezzo ai poveri
Gesù preferì nascere.
A volte ho nostalgia
della mia strofa innocente
Non conoscevo l’avversità
Che colpisce la vita della gente..
Fui sempre vanitosa
Ma il destino con me fu crudele
Obbligandomi stracciona ad andare
La carta per strada a raccattare.
In un paese sottosviluppato
Dove il popolo non può studiare
Perché poco informato
Ciò che impara è a mendicare
La mia esistenza è oscura
Son cosi sola nel mondo
Mia amica è la poesia
Che non mi lascia un secondo.
Scrivere rappresenta per lei non solo sfogo al dolore, alle avversità della sua vita, ma anche la possibiltà di costruirne una migliore per lei e per i suoi figli. E anche l’orgoglio di esserci, almeno per un momento, riuscita.
Houve um tempo em que lugar do negro era na senzala
Hoje trancam a gente na favela
Alimentei, eduquei e amei meu três filhos
Catei papel, revirei lixo, nem todo papel eu vendia
Guardava um tanto para ter onde escrever
Foram neles que nasceu “ Quarto de Despejo”
Foi assim que uma favelada como eu se tornou uma escritora brasileira traduzida em 13 línguas
Assim como as palavras
As pessoas que as escrevem
Não podem ser apagadas”(…)
Ci fu tempo in cui la casa dei Neri era il villaggio.
Oggi ci rinchiudono nelle favelas.
Ho nutrito, educato e amato i miei tre figli
Ho raccolto carta, rovistato nella spazzatura,
non la vendevo tutta la carta
ne conservavo un po’
per avere dove scrivere.
È li che è nato “Ripostiglio”
È stato li che una delle favelas è diventata
una scrittrice afro-brasiliana
Tradotta in 15 lingue
Così come le parole
le persone che le scrivono
non possono essere spente.
Quarto de Despejo
Quando infiltrei na literatura
Sonhava so com a ventura
Minhalma estava chêia de hianto
Eu nao previa o pranto.
Ao publicar o Quarto de Despejo
Concretisava assim o meu desejo.
Que vida. Que alegria.
E agora… Casa de alvenaria.
Outro livro que vai circular
As tristêsas vão duplicar.
Os que pedem para eu auxiliar
A concretisar os teus desejos
Penso: eu devia publicar…
– o ‘Quarto de Despejo’.
No início vêio adimiração
O meu nome circulou a Nação.
Surgiu uma escritora favelada.
Chama: Carolina Maria de Jesus.
E as obras que ela produz
Deixou a humanidade habismada
No início eu fiquei confusa.
Parece que estava oclusa
Num estôjo de marfim.
Eu era solicitada
Era bajulada.
Como um querubim.
Depôis começaram a me invejar.
Diziam: você, deve dar
Os teus bens, para um assilo
Os que assim me falavam
Não pensavam.
Nos meus filhos.
As damas da alta sociedade.
Dizia: pratica e a caridade.
Doando aos pobres agasalhos.
Mas o dinheiro da alta sociedade
Não é destinado a caridade
É para os prados, e os baralhos
E assim, eu fui desiludindo
O meu ideal regridindo
Igual um côrpo envelhecendo.
Fui enrrugando, enrrugando…
Petalas de rosa, murchando, murchando
E… estou morrendo!
Na campa silente e fria
Hei de repousar um dia…
Não levo nenhuma ilusão
Porque a escritora favelada
Foi rosa despetalada. .
Quantos espinhos em meu coração.
Dizem que sou ambiciosa
Que não sou caridosa.
Incluiram-me entre os usurários
Porque não criticam os industriaes
Que tratam como animaes.
– Os operários… i
(Carolina Maria de Jesus, em “Meu estranho diário”. São Paulo: Xamã, 1996, p. 151-153)
Ripostiglio
Quando m’infiltrai nella letteratura
Sognavo di far fortuna
La mia anima piena era di beatitudine
non prevedevo il pianto
Quando pubblicai “Ripostiglio”
si realizzò il mio desiderio
Quanta vita e allegria!
E ora… “Casa in muratura”
Un altro libro sarà in circolazione
Le tristezze si moltiplicheranno
Quando mi chiedono aiuto
per realizzare i loro desideri
penso: dovrei pubblicare…
“Il Ripostiglio”
All’inizio ci fu ammirazione
Il mio nome circolò per la nazione
E’ nata uma scrittrice delle favelas
si chiama: Carolina Maria de Jesus
e le opere che produce
hanno stupito l’umanità
All’inizio mi sentii confusa
sembra che fossi rinchiusa
in un astuccio d’avorio.
Ero molto richiesta
Ero adulata
come un cherubino.
Poi iniziarono ad invidiarmi
Dicevano: Tu devi dare
i tuoi beni, per un ospizio
Quelli che cosi mi parlavano
non pensavano
ai miei figli.
Le signore dell’alta società
dicevano: pratica la carità
dando ai poveri ospitalità.
ma il denaro dell’alta società
non è destinato alla carità
è per i prati, e le carte
E cosi mi passò l’illusione
lasciai il mio ideale alle spalle
Come un corpo che va invecchiando
spuntavano le mie rughe
petali di rosa che appassiscono
appassiscono e… sto morendo
Nella tomba silente e fredda
troverò riposo un giorno…
non porto con me illusioni
perché la scrittrice delle favelas
fu una rosa senza petali.
Quante spine nel mio cuore
Dicono che sono ambiziosa
che non sono caritatevole
mi hanno messo fra gli usurai
Perché non criticano gli industriali
che trattano come animali
gli operai?…
Carolina de Jesús non parla solo di sé ma racconta anche altri personaggi che affollano la favela, gente che vive alla giornata, ladri, ubriaconi – di cui critica i comportamenti – o semplicemente perseguitati da una giustizia solo di parte. Non sa come cambiare questa realtà ma è già tanto che riesca a denunciarla.
E sa anche quanto dolore comporti raccontare di sé e della miseria che la circonda e in cui non c’è posto per l’amore, quell’amore spesso cantato dal samba con una visione più folclorica che realistica. Per questo Carolina si chiede:
Por que chora?
Poeta por que chora?
É uma dor e uma saudade
Meus tempos de outrora
A minha felicidade.
É uma saudade que mata
Saudade do meu amor
Saudade de uma ingrata
Que não dar-me valor.
Saudade de uma mulher
A quem dei o meu coração.
Foi-se embora, nem sequer
Disse-me qual a razão.
Vivo tristonho vagando
Não tenho destino a seguir.
Sabe o que estou esperando?
A minha amada surgir.
Os que amam com sinceridade
Choram, se o amor está ausente
Para haver a felicidade
O amor deve estar presente.
Perché piangi
Poeta perché piangi?
È dolore e nostalgia
del mio tempo di una volta
di una lontana allegria.
È nostalgia che uccide
Nostalgia del mio amore
Nostalgia di un’ingrata
Che non mi dà valore.
Nostalgia di una donna
A cui diedi il mio cuore.
Un giorno se ne andò
Senza darmi una ragione
Triste vivo e vagando
Non ho un destino da seguire.
Sai che cosa sto aspettando?
Veder la mia amata apparire.
Chi ama com sincerità
Piange, se l’amore è assente
Per aver felicità
L’amore dev’esser presente.
L’orgoglio e il desiderio di rivalsa, dopo il successo di “Quarto de despejo – Ripostiglio” e l’oblio degli anni successivi lasciano il posto all’amarezza, alla delusione:
“ Ao sair da favela, cantei
Sentindo um prazer interno,
Mas foi depois que notei
Não era céu, era o inferno”.
Uscendo dalla favela, cantai
Sentendo un piacere interno
Solo dopo notai:
Non era cielo ma inferno.
(da “Uma caipira”, in: Carolina Maria de Jesus, em “Antologia pessoal”. Rio de Janeiro: Editora UFRJ, 1996, p. 215)
Humanidade
Depôis de conhecer a humanidade
suas perversidades
suas ambições
Eu fui envelhecendo
E perdendo
as ilusões
o que predomina é a
maldade
porque a bondade:
Ninguem pratica
Humanidade ambiciosa
E gananciosa
Que quer ficar rica!
Quando eu morrer… .
Não quero renascer
é horrivel, suportar a humanidade
Que tem aparência nobre
Que encobre
As pesimas qualidades
Notei que o ente humano
É perverso, é tirano
Egoista interesseiros
Mas trata com cortêzia
Mas tudo é ipocresia
São rudes, e trapaceiros
(Carolina Maria de Jesus, in “Meu estranho diário”. São Paulo: Xamã, 1996)
Umanità
Dopo aver conosciuto l’umanità,
le sue perversità
e le sue ambizioni
cominciai ad invecchiare
e a perdere
le illusioni
Quel che predomina
è la malvagità
ché la bontà
più nessuno vuol praticare
Umanità ambiziosa
avida e bramosa
Che ricca vuol diventare!
Il giorno in cui morirò…
non voglio più ritornare
perché è orribile
sopportare l’ umanità
che ostentando nobiltà
sotto la cenere nasconde
le sue pessime qualità
Mi accorsi che l’essere umano
è perverso, è tiranno
egoista, interessato
tratta con cortesia
ma tutto è ipocrisia
Violenti sono
e ingannatori
Persiste in Carolina la presenza di elementi naturali non solo come espressione lirica ma come desiderio e volontà di rivestire la sua vita di bellezza:
A Rosa
Eu sou a flor mais formosa
Disse a rosa
Vaidosa!
Sou a musa do poeta.
Por todos sou contemplada
E adorada. .
A rainha predileta. .
Minhas pétalas aveludadas
São perfumadas
E acariciadas.
Que aroma rescendente:
Para que me serve esta essência,
Se a existência
Não me é concernente…
Quando surgem as rajadas
Sou desfolhada
Espalhada
Minha vida é um segundo.
Transitivo é meu viver
De ser…
(Carolina Maria de Jesus, em “Meu estranho diário”. São Paulo: Xamã, 1996, p.127)
La rosa
Sono fra i fiori la più preziosa
Disse la rosa
vanitosa!
Sono la musa del poeta.
Da tutti son contemplata
e adorata.
La Regina prediletta.
I miei petali vellutati
son profumati
e accarezzati
Che aroma da me trascende!
A che mi serve quest’essenza
se l’esistenza
non mi corcerne…
Quando sorge la ventata
vengo sfogliata
sparpagliata
La mia vita è un secondo
Transita il mio vivere
dall’ essere
La rosa, regina del mondo
Dá-me as rosas
No campo em que eu repousar
Solitária e tenebrosa
Eu vos peço para adornar
O meu jazigo com as rosas
As flores são formosas
Aos olhos de um poeta
Dentre todas são as rosas
A minha flor predileta
Se a afeiçoares aos versos inocentes
Que deixo escritos aqui
E quiseres ofertar-me um presente
Dá-me as rosas que pedi.
Agradeço-lhe com fervor
Desde já o meu obrigado
Se me levares esta flor
No dia dos finados.
(Carolina Maria de Jesus, em “Antologia pessoal”. Rio de Janeiro: Editora UFRJ, 1996, p.169)
Datemi le rose
Nel campo dove andrò a riposare
solitaria e tenebrosa
vi chiedo di adornare
il mio giaciglio di rose
I fiori sono preziosi
agli occhi di un poeta
fra tutti è certo la rosa
fra i fiori la mia prediletta
Se la vedi plasmata
nei versi innocenti
che qui lascio scritti
e vorrai offrirmi un dono
dammi le rose che ho chiesto
Ti ringrazio com fervore
ricevi il mio grazie fin d’ora
se mi porterai questo fiore
nel giorno dei defunti
Il valore letterario dell’opera di Carolina de Jesus sfugge probabilmente ai canoni della letteratura “alta” che dovrebbero però essere modificati in base al contesto sociale, storico e culturale in cui le sue opere circolano. Carolina stessa si chiedeva: “Esistono preconcetti nella letteratura?”.
Da una “certa” letteratura Carolina e quelli come lei ne sono stati sempre esclusi. Carolina de Jesus precorre la letteratura periferica. Con la sua “poetica del ripostiglio”, le sue prose e le sue poesie ci ha raccontato quella favela a cui non avremmo mai avuto accesso, ci ha mostrato la sua ironia nei confronti del Potere, ha liberato parole che non avevano il “diritto” di essere pronunciate. Per far sì che ad altre e ad altri come lei questo diritto venga finalmente riconosciuto.
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Tradurre le poesie di Carolina Maria de Jesus non è stato facile. Sono poesie in rima e dal portoghese all’italiano è spesso difficile trovare la giusta corrispondenza. Ho cercato di conservare la rima e la metrica laddove possibile, sacrificandole a volte per conservare la musicalità e il senso dei suoi versi.