BRIGADA DIGNIDAD, UN TEAM MEDICO NEL CUORE DEI MOVIMENTI SOCIALI DEL CILE (di Ximena Soza)

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INTERVISTA DI XIMENA SOZA AD UN MEDICO DELLA BRIGADA DIGNIDAD (CILE)

Nello scenario dello scontro faccia a faccia che si è verificato tra la polizia e il popolo cileno a partire dal 18 ottobre 2019, diversi gruppi di manifestanti auto-convocati sono comparsi in molteplici città del paese esigendo per le strade ciò che da 30 anni, dopo la fine della dittatura militare di Augusto Pinochet, non è stato raggiunto. La risposta dello stato contro i manifestanti ha toccato un livello di repressione che non si vedeva da quei nefasti anni; la repressione della polizia ha lasciato più di 43 morti, migliaia di feriti e prigionieri della rivolta e oltre 400 persone con lesioni agli occhi che includono mutilazioni e perdita totale della vista. Victor, membro di una delle brigate della salute che lavorano per salvare i feriti nel ground zero di Santiago, nella recentemente ribattezzata Plaza Dignidad, ci racconta la sua esperienza di medico nel contesto di questo movimento sociale.

Ximena: Come nasce la Brigada Dignidad e a quali bisogni risponde?


Victor: Pochi giorni dopo la rivolta sociale, un gruppo di medici ha deciso di lanciare un bando per dare assistenza ai feriti lasciati alle spalle dagli scontri con la polizia. Inizialmente, ha risposto il personale sanitario e successivamente anche gente di altre aree, operai, insegnanti, ingegneri. La maggior parte dei dottori della brigata ha specialità e capacità diverse e siamo sempre in costante formazione. Una delle aree più complesse in cui è necessario addestrare i membri della brigata, assieme a quelli di altre brigate, riguarda proprio le lesioni oculari, perché il tipo di risposta a ferite di questo tipo è cruciale per salvare la vista dei pazienti. La nostra brigata è diventata nota e ciò ha causato un aumento del numero di assistiti, così come il lavoro svolto con altre associazioni.


Ximena: Immagino che queste ferite siano uno scenario che richiede nuove strategie tecniche. In termini personali, cosa ha significato per te come dottore occuparti di perdite oculari o traumi che non avevi mai visto prima?


Victor: Quelle sono ferite che non si vorrebbe mai vedere arrivare, nel caso di scoppi e perdite del bulbo oculare ne abbiamo ricevute 4 ed è molto difficile. Vedere un giovane che perde un occhio è estremamente triste. Sono stati tutti molto giovani, tra i 20 ei 30 anni. Erano quasi sempre lesioni molto gravi, prodotte da armi da fuoco, da pallini e anche da gas lacrimogeni che, oltre al trauma oculare, producono anche un trauma a livello delle ossa del viso. È terribile, quando giunge un caso del genere e sai che è un compagno che sta lottando, è una situazione estrema, di massima tensione, di massimo dolore. Un occhio è un organo vitale che non guarisce, è una situazione drammatica, perché la diagnosi è piuttosto immediata. L’ultimo caso che ho assistito è stato quello di un 22enne, dopo la visita ho constatato che si trattava di perdita del bulbo oculare, mi sono commosso, ha iniziato a piangere e ho iniziato a piangere con lui. Questa situazione si è replicata a livello nazionale. Ora le brigate chiedono ai compagni di usare protezioni.

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Ximena: Quali osservazioni sui pazienti hai maturato, circa la loro forza e il loro spirito, considerando che rischiano conseguenze terribili come quelle che hai citato prima e continuano a partecipare attivamente a questo movimento?


Victor: La forza interna che hanno è enorme. Se i pazienti feriti hanno la possibilità di tornare alla lotta, non esitano a farlo. Molti di loro, dopo essere stati curati e guariti, ritornano immediatamente in prima linea. Nonostante sia una situazione che provoca molta paura, hanno molta forza, sono in grado di raccontare perché sono lì, hanno una grande coscienza di gruppo, pur appartenendo a diversi livelli socioeconomici e orientazioni politiche, hanno ben chiaro il perché della loro lotta, che, invece di stare in casa, dopo il lavoro, li porta a protestare in strada. Possono essere stanchi, ma si cambiano e vanno a combattere. Hanno molta convinzione. Condividono un medesimo discorso: lo stanno facendo per i propri figli, per i più anziani, specialmente per questi ultimi. Siamo fiduciosi che questa forza interna continuerà ad esserci e manifestarsi, quando sarà finita la crisi del coronavirus.

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Ximena: Cosa ci dici dell’intero team? Parlaci dei tuoi colleghi, dell’atteggiamento con cui affrontano questo lavoro, considerando i rischi brutali…


Victor: Cominciando dal fatto che sono volontari, potremmo dire che sono persone più coscienti. Nonostanti lavorino, alla fine del loro turno di lavoro, vengono qui. Parlando con loro ti rendi conto che sanno che devono esserci, il loro grado di coscienza è enorme, sono qui perché sono contro questo sistema oppressivo e vedono nella brigata l’opportunità di sostenere un processo sociale importante. Non manca la paura, soprattutto tra familiari e figli, ma sono ben convinti della loro missione.

Ximena: La violenza contro la brigata è stata molto grande: come descrivi alcuni episodi di violenza subiti? Come li avete superati?


Victor: Insieme ad altre brigate della salute, rappresentiamo un obiettivo per la polizia, perché curiamo compagni che poi tornano a lottare, quindi la violenza è stata molto diretta. Diverse volte ci hanno distrutto la postazione, le forniture mediche, le attrezzature. Segnalo un paio di episodi: il primo, mentre stavo facendo un intervento chirurgico e la polizia mi ha lanciato direttamente un gas lacrimogeno. Non avevo mascherina o altro, ma il nostro impegno è essere lì, fino all’ultimo con il paziente, non possiamo andarcene, anche se non stiamo respirando o vedendo.
Il secondo episodio risale al 6 marzo, la nostra postazione medica è stata data alle fiamme, mentre eravamo dentro con tre pazienti che abbiamo dovuto rimuovere rapidamente e finire di assistere sul prato lì vicino. Ci hanno bruciato tutte le forniture, le barelle, tutto ciò che avevamo all’interno, siamo riusciti a salvare un paio di macchinari. La polizia ha violato tutti i protocolli internazionali, senza rispettare la Croce Rossa che
a un medico l’opportunità di prendersi cura dei pazienti in queste circostanze.
La verità è che quello è stato un giorno di grande rabbia, dolore e molto pianto. Abbiamo fatto terapia di gruppo e diversi tipi di terapia, ci siamo dati molta solidarietà, ma è difficile riprendersi dopo un evento così traumatico.
A livello materiale, ci s
tiamo rimettendo in sesto a poco a poco, anche grazie ad una raccolta fondi per acquisire nuove risorse mediche. Abbiamo immediatamente creato un’altra postazione più solida e protetta, perché sarebbe arrivato l’8 marzo e dovevamo essere pronti a sostenere le compagne che avrebbero manifestato per la Giornata internazionale della donna.

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Ximena: Al di là del lavoro meramente medico, come si inserisce la brigata nel movimento sociale sorto in Cile?


Victor: Una delle richieste sociali più sentite della popolazione cilena riguarda proprio il problema della salute, è presente ora e lo è sempre stato, ancora di più in un contesto che trasforma in vittime chi richiede diritti. Noi, come medici, stiamo curando i feriti nel corso dell’emergenza, ma crediamo di poter far parte del processo di cambiamento nel sistema sanitario a lungo termine, di poter essere attivi nella sua ristrutturazione, perché abbiamo l’etica per poterlo fare. Le brigate sono inserite appieno, non solo nella cura di compagni di lotta, ma anche nel fornire gli strumenti per rimodellare il sistema sanitario in Cile.

Ximena: Ti ho sentito dire che questo movimento è più forte di quelli che si sono creati in altre fasi della storia del Cile. Spiegaci il perché.


Victor: Il motivo principale è l’esistenza di una tessitura territoriale, ancor più forte di quella raggiunta nel periodo della dittatura, si tratta di un movimento che non è articolato da partiti o chissà quali organizzazioni. Penso che sia forte l’influenza dalla lotta dei mapuche, soprattutto per l’elemento dell’autodeterminazione, quale base di una nuova visione dai territori. C’è una relazione con l’autonomia reale, appartiene alla gente, ecco perché è simile alla causa della gente mapuche.

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Ximena: Quali sono le prospettive future per la brigata e il Cile?


Victor: Noi, in qualità di Brigada Dignidad, continueremo ad essere qui quando l’emergenza del coronavirus sarà conclusa. Parliamo sempre di successo e crediamo che ci riusciremo. Questo trionfo coincide con la fine del governo di Piñera, il cambiamento della costituzione, con l’ascolto delle richieste della popolazione e la creazione di una nuova società.

 

Per contattare la Brigata o dare un contributo alla loro raccolta fondi:
dignidadbrigada@gmail.com // Instagram: brigada_dignidad / Facebook: Brigada dignidad

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Ximena Soza

Ximena Soza è un’educatrice, poetessa e artista cilena, attività accomunate dalla ricerca della giustizia sociale. La sua educazione formale l’ha svolta tra il Cile e gli Stati Uniti, dove ha conseguito un dottorato in Filosofie dell’educazione urbana, con particolare attenzione all’educazione antirazzista e al bilinguismo. La sua educazione informale invece proviene da vari luoghi dell’America Latina e dal contatto con diverse comunità. Vive tra la California e il Chiapas, realizzando progetti che riuniscono tutte le sue aree di interesse e sviluppa materiali didattici per l’apprendimento delle lingue indigene.

Foto di copertina e all’interno dell’articolo, tratte dalla mostra: “From California to Chile, from Wallmapu to Palestine”, Berkeley, California, a cura di Ximena Soza.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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