Breve storia triste che inizia senza pantera nera, ma con uno studente universitario fuorisede e fuoricorso: è senza barba, senza occhiali colorati, senza addiction da trono di spade, senza spotify in fissa sull’indie italiano che tira al momento, senza stato sociale.
Non è hipster, dice.
Breve storia triste di uno studente universitario in procinto di laurearsi, anche se la tesi di laurea, gli dicono, non vale niente.
Breve storia di un intellettuale velleitario, anche, ma con un’educazione sentimentale che fila piuttosto liscia.
Nessun problema con il sesso, per dire, se non la distanza.
E non la distanza dal sesso, ma quella che è un po’ la distanza di tutti.
Breve storia triste, insomma, che è un po’ quella di tutti, così ci si racconta, ma in fin dei conti non ci si attarda sui dettagli, ma, come si conviene a ogni buon intellettuale che sia in qualche misura velleitario, compie subito il salto verso il piano teorico.
E non ci trova nulla.
comunque succede che
Lo studente universitario torna al paese una volta finiti i cinque anni di esistenza fuorisede senza trono di spade e senza spotify senza indie italiano perlamordiddio ma con l’hardcore punk e il free jazz, per darsi un tono, e le assemblee dei collettivi, per mantenere un tono, e gli aperitivi a sfregio e a un certo punto lo studente universitario si ritrova che lo sfregio si è invertito e lui si ritrova per nulla free a finire la tesi di laurea a casa dei suoi.
La tesi è sul fumetto americano, dal secondo novecento a oggi, come romba il sottotitolo, ma la cosa importante non è che la tesi di laurea gli dicono che vale come un saluto al sole, è che lo studente universitario non ha un lavoro, neanche temporaneo, neanche da portapizze, neanche da portavivande, che piglia meno di un portapizze, non uno straccio di lavoro a consegna, a cottimo, a filo di mancia, a filo di semaforo, con la bicicletta che viene chiusa e riaperta venticinque volte l’ora perché se viene rubata è un lavoro a filo di niente, lo studente non ha un lavoro che gli possa permettere di continuare tranquillamente l’esistenza da fuorisede.
Gli aperitivi, per dire.
Lo studente universitario torna al paese, prende e srotola i manifesti dei film che ha con spasmodica cura tolto dalla sua stanza doppia recentemente, troppo recentemente upgradata a stanza singola e li riattacca alle pareti della sua vecchia ora nuova cameretta, riattacca la foto di tommie smith e john carlos sul podio di messico sessantotto, legge sul feed che l’australia ha recentemente riabilitato peter norman anche se non ha partecipato alla cerimonia a pugno chiuso, legge i commenti degli amici su peter norman, quasi tutti che è morto più di dieci anni prima, ne resiste qualcuno sui gattini che invece è più vero del vero, e posa sul comodino i dannati della terra di frantz fanon che non gli è mai riuscito di finire.
È una breve storia triste, ancora per poco senza pantera nera, ma con il padre dello studente universitario che entra in camera del figlio senza bussare, prende il libro dal comodino e dice i dannati della terra siamo noi.
Noi-il-popolo!, dice con una punta di ironia lo studente universitario, e il padre risponde meno male che avete l’ironia, sennò non vi salva un cazzo ma proprio un cazzo.
Breve storia triste che potrebbe anche finire qui, con lo studente universitario che inizia a guardare il trono di spade e apre spotify manco fosse restato anche lui in fissa e si appassiona all’indie, tutto per timore di uscire per strada in paese e fare tutte quelle cose che si fanno in un paese, tipo andare al bar con gli amici e prendere un aperitivo, un bianchino e non l’hugo col sambuco, non il moscow mule con lo zenzero, non lo spritz con l’aperol o il campari, ma un’ombrina, piccola piccola, e che però può diventare grande, come ombra, se prendi sette bianchini allo stesso prezzo del moscow mule con lo zenzero e pur anco con la ginger beer che puoi avere in città.
Breve storia triste che però non finisce qui anzi continua, con lo studente universitario che a un certo punto, con i coglioni girati e arrotolati, tanto del fumetto americano della seconda metà del novecento importa solo ai nerd come lui, e per dirla tutta non interessa neanche al suo professore, e chiamarlo suo questo professore è già tanto, preso com’è da altre beghe, lo studente universitario scende dall’aventino, sua madre dice che succede che sei tornato una persona normale, e si ritrova al bar con gli amici delle medie.
Lo studente universitario capisce che in mezzo a sette figli due divorzi un tumore benigno piccolo piccolo grosso non come una noce ma come un’arachide e comunque non una cosa su cui si può ridere, quattro mutui su quattro, almeno a uno di questi vecchi compagni di scuola interessa il cinema e sta portando avanti un faticoso progetto di sala cinematografica riattivando quella che c’era negli anni trenta in paese, che manco in nuovo cinema paradiso avrebbero fatto altrettanto, e sapendo di lui all’università e con una tesi sul fumetto, ma di lì al cinema per noi artisti il passo è breve, allora vuole coinvolgerlo nella cosa.
L’amico splendor dice davvero che vuole coinvolgere nella cosa lo studente universitario tesista e in realtà nerdissimo e quest’ultimo dice sì, sette ombrine dopo già iniziano a collaborare.
Per alcuni mesi film francesi, tedeschi, spagnoli, americani no perlamordiddio, almeno non americani di hollywood ma americani del sud, ma se possibile che siano ungheresi o sudcoreani, che il vero obiettivo in realtà è arrivare al cinema della corea del nord. Farci un festival, in paese.
Poi lo studente universitario rinsavisce, o pensa soltanto di rinsavire, e propone al suo amico di non mettere più in cartellone qualcosa di snob, ma proporre qualcosa che sta incassando milioni al botteghino come black panther/pantera nera, che poi i neri non ci fanno le vittime come al solito, e questo. In un paese. Che odia gli immigrati. Prende fiato quando parla e calca bene le parole. In un paesino che odia gli immigrati e quando ne vede uno commenta che c’è puzza di savana, come se nel bel mezzo di questa pianura senz’arte né parte ci fosse davvero la savana e qualcuno l’avesse davvero vista e ci fosse passato attraverso, questo insomma di vedere dei neri supereroi. Della marvel. Che piacciono tanto. Almeno può essere una boccata d’aria.
Lo studente universitario non dice in realtà boccata d’aria e invece: metterlo nel culo a questi. Razzisti. L’altro lo corregge sull’accezione omofoba del metterlo nel culo, si accapigliano, si danno dello snob a vicenda poi però black panther/pantera nera, anche se con qualche fatica, per colpa delle major, lo fanno vedere.
Tuttavia, la breve storia triste prevede che nello stesso periodo una grande pantera nera sia scappata da un circo accampato per una settimana in un paese vicino, esistono ancora i circhi, sì, e con le pantere nere, succede solo nei paesi, e qualcuno l’ha anche visto, di notte, l’animale: come solo si possono vedere le pantere nere nei pressi di un paese. L’ha visto male, al buio, ma tutti i santi giorni prima della prima del film allo splendor, la notizia è in prima pagina sui giornali locali, sui feed manco a dirlo.
Eppure la prima di black panther/pantera nera non è che passi in secondo piano, anzi giunto il fatidico giorno tutti vanno al cinema, in paese, perché hanno paura della pantera nera che va in giro lì fuori, ma la strada che va verso il cinema è illuminatissima e a volte passa anche la polizia, non guardano ma proprio per un cazzo il film e anzi parlano di questo nuovo pericolo imminente, quello della pantera nera, non già e non più quello della savana, per tutta la durata del film.
Parlano ad alta, altissima voce. Ridono fuori tempo. Si fanno i cazzi loro.
Per tutta la cazzo di. Durata del film.
Che poi è quello che succedeva ai tempi di nuovo cinema paradiso, ma non importa.
Lo studente universitario cum intellettuale velleitario accetta di buon grado la sconfitta, ma neanche questo importa.
La breve storia triste prevede anche che alla fine una pantera nera si aggiri davvero nei pressi del paese, l’hanno dovuta stendere con un sonnifero da cavalli, o forse da pantere nere, che sarebbe più consono, ma questo il giornale locale non lo dice, nei feed si va di ricamo, il giornale locale parla piuttosto di sonnifero da cavalli, che è espressione più comune, e il pubblico lo capisce, e poi la pantera l’hanno portata in gabbia per tutto il paese per far vedere che era tutto vero.
Breve storia triste che alla fine non è quella dello studente universitario cum intellettuale velleitario che non costruirà mai uno straccio di festival del cinema nordcoreano nel proprio paese, ma è la breve storia triste del paese.
Finale: sono tutti sopravvissuti.
In molti, anzi, sono andati al circo, il giorno dopo, e per vari giorni a seguire.
Nico Sánchez si occupa di fumetti statunitensi del secondo dopoguerra. È impegnato nella stesura di una serie di appunti che dovrebbero poi confluire nella sua tesi di laurea.
Immagine in evidenza: Foto di Teri Allen Picccolo.