Breve invito alla lettura di Carla Macoggi – Jessy Simonini

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Fare ordine nei miei pensieri. Luglio settantasette la mia prima volta in Italia. Tre mesi a casa di Terza e Astolfo. Novembre settantasette di nuovo in Africa. Nell’estate dell’anno dopo l’Occidente per sempre. Con Romana. Pochi giorni a Roma, un mesetto sull’Appennino. E poi a Bologna. Senza Romana. Nella casa di una suora vestita da monaca e una come un’agente di custodia in borghese. Settembre del 19xx a casa di Lucrezia e Gregorio. Dicembre del 19xx di nuovo nella mia casa affrescata di Bologna fino a qualche giorno successivo ai miei diciott’anni. E poi tutto l’abbandono del mondo firmato omana che non avrei avuto neanche se fossi rimasta in Africa. Oggi era un giorno qualsiasi dei miei ventiquattro anni, nel 19xx.

Mi adagiai sul letto e, senza neanche andare sotto le lenzuola, mi adagiai come un sasso. (La Nemesi della rossa, p. 88).

 

I.

Attraversare la scrittura di Carla Macoggi, per chiunque desideri affrontare la vasta questione del “postcoloniale” in letteratura, è una necessità, quasi una tappa obbligata che consente di penetrare in uno spazio intimo dove si dispiega un dolore profondo e insopprimibile, impresso sul corpo della stessa soggettività autoriale. Dolore che si fa traccia di una violenza legata all’esperienza coloniale e alle sue successive ricadute, anche molti anni dopo la fine di quell’esperienza, in un territorio solo all’apparenza meno ostile ma in realtà segnato dall’abbandono, dalla perdita, dal trauma profondo.

 

È una tendenza di alcuni libri recenti, di autrici afrodiscendenti o meno. Penso a Sangue giusto di Francesca Melandri, ma pure ai romanzi di Igiaba Scego, di Cristina Ali Farah, anche di Erminia Dell’Oro (ho scritto del suo ultimo romanzo qui: https://www.labalenabianca.com/2021/11/08/su-nel-segno-della-falena-di-erminia-delloro-jessy-simonini/). Il “passato coloniale”, opaco e di difficile localizzazione, rifluisce nel presente, facendosi cosa viva, apparendo come realtà concreta con la quale una soggettività deve fare i conti. Non passato, ma “presente coloniale” che determina un trauma colonizzando a sua volta il corpo, configurandosi come frattura profonda nella propria identità (“suddividere un uomo” è la formula di Urqhart in esergo alla Nemesi della rossa). Così è, senz’altro, per Carla Macoggi, trasfigurata nel personaggio di Fiorella, “la rossa” appunto, che all’inizio della Nemesi vuole scoprire la verità circa i primi anni della propria vita e le circostanze- a lungo rimaste celate- del suo arrivo in Italia, alla fine degli anni Settanta:

 

Fiorella si recò dai burocrati. Una domanda formale e ingenua.

-Ditemi cosa c’è scritto nei vostri archivi. Di me. Ditemi cosa è successo in questi anni in cui sono stata infelice e incapace di avere risposte alle mie domande. […]

No, no. Ho vissuto una vita non mia. Nulla di quel che è scritto parla di me. Nulla di quel che è scritto è mai stato attraversato dal moto del mio cuore e dal fluire del mio sangue.

II.

 

Di Carla Macoggi oggi ci restano alcuni scritti, fra cui due volumi pubblicati presso la casa editrice Sensibili alle foglie, mi riferisco a La nemesi della rossa e a Kkeywa. Storia di una bambina meticcia intorno ai quali si è concentrato l’interesse critico e dei lettori. Ci restano anche alcuni materiali conservati in un suo blog, come una traccia quasi cristallizzata del suo rapido passaggio da questa terra: https://cmacoggi.blogspot.com/. L’ultimo articolo risale all’estate del 2011, oltre dieci anni fa. Negli ultimi anni della propria vita si stabilisce a Imola, opaca cittadina della provincia romagnola e li è mancata nel 2013. Era giunta in Italia alla fine degli anni Settanta, dopo essere nata ad Addis Abeba nel 1965 dall’unione fra una donna etiope e un uomo italiano.

 

Nel corso degli ultimi anni, sono apparsi alcuni articoli di critica dedicati alla sua scrittura, fra cui segnalo quelli di Carla Cornette (https://www.gendersexualityitaly.com/wp-content/uploads/2021/02/13.-Cornette-Carla.-Colonial-Legacies.-AuthorApproved123120.pdf ) e di Teresa Solis (https://revues.univ-tlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=477). Oltre all’articolo succitato, Carla Cornette ha realizzato una tesi di dottorato- discussa nel 2018 all’Università del Wisconsin- nella quale viene studiata anche la produzione di Macoggi, insieme a quella di Scego e Ali Farah.

 

Questi due titoli ci testimoniano di un certo interesse critico nei confronti di Macoggi, anche se in contesti accademici stranieri, segno di come sia ancora molto difficile innestare un discorso postcoloniale nell’accademia italiana, specie in ambito letterario. Carla Cornette, che identifica gli scritti di Macoggi come parte di una semi-autobiografia (definizione senz’altro condivisibile), sostiene che:

 

By hybridizing fact and fiction in the form of semi-autobiography, the author submits her personal experiences as representative of the collective, as allegorical for other disenfranchised women and children whose families are fractured whether by war, poverty, differential access to migration, or international adoption, as in her case. This analysis proffers a heuristic line of inquiry for the interrogation of additional texts of Italian postcolonial literature that feature how abject positionalities (as configured by race, economics, gender, geography), statuses which were essential to the construction of modern nation-states and still dictate blood-based notions of citizenship in Italy, are determinate in making or breaking some familial relations (Carla Cornette, gender sexuality Italy, 7 (2021), p. 188)

 

Mi sembra che venga qui tracciato un efficace schema di lavoro, una possibilità operativa utile non soltanto per gli scritti di Macoggi, ma anche per altri scritti o narrazioni postcoloniali pubblicati negli ultimi anni. Per aggiungere un ulteriore elemento alla riflessione, si può forse dire che i testi di Macoggi esprimono nitidamente il riprodursi di dinamiche coloniali anche in territorio non colonizzato, lontano dall’Africa Orientale Italiana, molti anni dopo la fine di quella fase storica. Erminia Dell’Oro, che è forse l’autrice più nota (pur appartenendo a tutt’altra generazione), riproduce nitidamente i meccanismi coloniali di dominazione che permangono nel contesto della capitale eritrea, Asmara: si veda Asmara, addio (recentemente ripubblicato dalla Tartaruga) o anche il suo romanzo più recente, Nel segno della falena. Macoggi mostra invece come la colonizzazione può continuare anche molto dopo, in Italia, come forma di dominio e di annullamento dell’identità di una soggettività. A perpetrare la violenza coloniale è prima di tutto Romana, responsabile dello sradicamento di Fiorella, ma sono anche gli altri personaggi che attraversano la vita di Fiorella, approfittandosi di lei, abusandone da un punto di vista emotivo. Di Romana, responsabile di illeciti, Macoggi scrive:

 

Selamawit firmò tutte le carte che furono messe sotto la sua mano incerta e Romana diede quattro soldi ai falsi testimoni e alle comparse di quella farsa, che fu registrata al Tribunale come atto di adozione. Romana prometteva allo Stato etiopico che sarebbe stata la nuova madre di Fiorella. Aveva acquistato Fiorella. Per niente.

 

Il personaggio di Romana è il nodo cruciale del racconto perché in essa si dispiega sia la violenza coloniale “sistemica”, sia la violenza di chi strappa una figlia alla propria madre (“fu il primo annullamento ufficiale della madre di Fiorella”).  Ma la medesima violenza è rintracciabile anche nelle altre figure che si succedono nella vita di Fiorella: non semplicemente simboli del razzismo sistemico o strutturale, ma a tutti gli effetti tracce della violenza del colonizzatore esercitata deliberatamente, per l’ennesima volta, sul colonizzato, ancora più forte, ancora più dolorosa e traumatica perché foriera di una recisione, anzi di una forclusione.

 

III.

Gli scritti di Macoggi mi sembra che siano tesi alla ricerca di una verità, anzi della verità sulle proprie origini e sulla propria “identità”, se questa parola ancora significa qualcosa; ricerca che è come accompagnata o addirittura performata dalla scrittura stessa, mostrandosi nel suo farsi, nel suo stesso esprimersi come quête di senso. Questa ricerca raccoglie un’istanza di autosoggettivazione e di riconoscimento e per questo motivo genera una ferita profondissima, innervata nella vita psichica di Fiorella. La necessità di capire, di sapere, spinge verso i sentieri del trauma e della decostruzione profonda di sé. E la scrittura è da intendersi come un tentativo di “ricomposizione” (p. 18, Nemesi), non tanto di una “storia”, quanto piuttosto di se stessi:

 

Voglio mettere ordine in questa confusione. Scrivere per eliminare l’imprecisione. Ripensare a tutto per cancellare lo scompiglio. Rimuovere l’incoerenza della vita con le parole. Nuove parole in sostituzione di quelle mai dette, mai pronunciate, diventate silenzio doloroso. Silenzio così intenso da diventare un dolore incontenibile. Fino a rasentare il senso della morte. Fino a diventare vera morte (p. 19, Nemesi)

 

Si capirà come, per chi scrive, l’opera di Macoggi, nella sua esiguità, non sia affatto riducibile alla categoria delle scritture migranti, ma nemmeno soltanto ai postcolonial studies che stanno molto lentamente contaminando il discorso letterario italiano. Spogliarsi di ogni categoria, considerare il testo in sé, per la sua qualità letteraria, cogliere le fluttuazioni liriche, evidenziare la trasparenza di questa semi-autobiografia che testimonia di un travaglio profondo: mi sembra che siano queste le azioni migliori per affrontare oggi la lettura e lo studio dei testi di Macoggi. Ciò sarebbe necessario, poiché Macoggi non si riteneva affatto una “migrante”, ma un’italiana a tutti gli effetti. E come autrice italiana dobbiamo considerarla, pur senza dimenticare la densità e la problematicità strutturale di questa categoria, “italiano/a” appunto. Da Kkeywa, p. 43:

 

Quando avevo nove anni eravamo al terzo trasloco. Ogni volta perdevo qualcosa: un   fermaglio per capelli, una matita colorata, un quaderno, un disegno. Ma nessuno riusciva a separarmi da tre oggetti che mi aveva donato il mio papà: un pallottoliere dalle sfere colorate, con cui mi aveva insegnato a contare, la medaglia commemorativa nazionale della guerra a cui aveva partecipato da ragazzo, conservata nella sua sobria custodia scura, e il passaporto verde oliva sul cui frontespizio, a caratteri dorati, c’era scritto Repubblica italiana.

 

IV.

 

Da persona che frequenta gli archivi, anzi che ama frequentarli per studi e ricerche, mi ha molto colpito la dimensione materiale di questa ricerca di sé, espressa tramite fonti documentarie. Lo si nota sia nella Nemesi (p. 13) che in Kkeywa (p.9) dove sono presenti le fotografie di documenti archivistici relativi al proprio passato. Questi documenti, formalmente originali, “autentici” direbbe il diplomatista, contengono in realtà una falsificazione profonda: ciò che è scritto sul documento non corrisponde alla realtà, alla vita vera di Fiorella. Gli archivi diventano allora il centro di una falsificazione, struttura che si fa complice di quel nascondimento e della forclusione cui mi riferivo in precedenza.

 

Sono i “vostri archivi” scrive Macoggi all’inizio della Nemesi. Vostri, perché cosa d’altri, di burocrati, forse dei complici del suo trauma.

 

V.

Passeggiando per Imola, alcuni anni dopo la morte di Carla Macoggi, cerco qualcosa che mi leghi a lei, ma non riesco a trovarlo. Non l’ho mai conosciuta. Ho però conosciuto persone che le sono state amiche. Ho avuto in dono suoi libri e oggetti che le erano appartenuti, ma soprattutto alcuni ricordi, qualche scheggia della sua vita. In futuro scriverò ancora di lei, scientificamente, in maniera più compiuta, soprattutto se questo può essere utile a far capire qualcosa di nuovo sulla sua scrittura e sulla vita che riluce in quelle pagine.

Nel centro della città, molto curiosamente, c’è una statua dedicata a Francesco Azzi, tenente durante la guerra d’Etiopia, fascista della prima ora, medaglia d’oro al valor militare con le seguenti motivazioni:

In un lungo ed accanito combattimento su terreno impervio, identificato un ridottino avversario vi si lanciava contro al galoppo, trascinando con l’ardimentoso esempio gli spahys del suo gruppo. Superato con irresistibile impeto il muro di difesa e scaricati tutti i colpi della sua pistola, piombava in mezzo all’avversario superiore in forze, caricandolo alla sciabola e sgominandolo. Mortalmente colpito, stoicamente conscio della gravità della ferita, allontanava l’attendente che tentava di soccorrerlo, gridandogli: «Lasciami e continua a sparare contro il nemico». Spirava poi il giorno successivo, esaltando con virili parole di fierezza il combattimento e la vittoria. Splendido esempio di leggendario ardimento. Selaclacà, 25 dicembre 1935.

 

Sotto la statua di Azzi, leggendo del suo “leggendario ardimento”, in una città anonima e grigissima, molto lontano da Addis o da Selaclacà, ritrovo il contatto, la miccia; ritrovo una traccia di Carla Macoggi e più chiaro diventa il motivo per cui leggerla, farla leggere, ancora scriverne.

 

 

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Jessy Simonini (Castel San Pietro, 1994), dopo studi letterari all’Università di Bologna, all’École Normale Supérieure di Parigi e all’Università di Nantes, dove ha insegnato letteratura francese, è attualmente dottorando in letterature comparate nelle Università di Trieste e di Udine. La sua raccolta di poesia d’esordio, Campi di battaglia, è stata pubblicata dalla casa editrice Sensibili alle foglie nel 2021. È direttore della rivista di poesia «Le Voci della Luna». Ha scritto di romanzo medievale, poesia occitanica e letteratura italiana (Ortese, Ceresa, Vicinelli).  Traduce dal francese e dall’occitano.

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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