brani da “Il peso minimo della bellezza” di Azzurra de Paola (LiberAria Editrice 2016)

Azzurra de Paola il peso minimo della bellezza liberAria

1

“Sono rimasto chiuso in quel bozzolo abbastanza a lungo da capire che quando sono nato ti sei sentita sollevata. Anche felice, anche fiera, anche compiuta. Ma soprattutto sollevata. Sollevata perché nella tua testa finivano le solitudini, le amarezze, i rimpianti. Tutte le volte che hai cercato di morire, ecco, quel giorno finivano. Finivano dove iniziavo io. E se c’è un fatto certo è che sarei stato per sempre tuo figlio. I figli, pensavi, i figli non ti abbandonano. I figli non ti fanno più sentire sola. I figli risolvono, aggiustano, mettono a posto. Valevo certo lo sforzo di crescermi. Ero la cosa più bella che ti fosse mai capitata nella vita.

E mi stringevi nello stesso modo in cui mi avevi stretto quando ero nato. Come per rimettermi di nuovo dentro. Come per sentirmi ancora tuo.

Mi piacevano così tanto le tue mani. Erano mani giovani, inesperte, insicure. Tu non sapevi fare niente però hai saputo subito fare la madre. Sapevi cambiarmi pulirmi vestirmi imboccarmi. Mi preparavi le torte. Il pranzo e la cena frullati ingrediente per ingrediente con i cibi più sani. E prima ancora eri stata così brava ad allattarmi. Non ti tiravi il latte tu, no. Tu mi attaccavi al seno e stavamo lì per tutto il tempo necessario. Senza nessuna fretta. Io e te nel bozzolo che tessevi pazientemente. Non so se sapessi quello che mi stavi facendo. Non so se tu ti sia mai resa conto di quanto fossimo soli. In quella solitudine senza confronti si invecchiava senza crescere. E mentre i bambini veri stavano al parco, mentre le mamme si scambiavano consigli sui pannolini e sul latte in polvere da dare una volta finito lo svezzamento, noi eravamo a quella finestra. A guardare.”

 

 

2

“Stai da sola.

Questa è la mia punizione.

Lasciarti dietro ad una porta chiusa senza risponderti.

Lasciarti con la guancia appoggiata e la mano aperta come per toccarmi.

Lasciarti in silenzio a pensare.

Non riesco ad immaginare niente di più brutto, per te.

Se chiudo gli occhi sento: le lacrime calde che scendono mute sulla tua faccia tirata. La delusione del silenzio che frantuma ogni aspettativa di passare del tempo insieme. Il vuoto della solitudine.

Tu.

Dall’altra parte.

Triste.

A chiedere perché.

Questa è la mia punizione per avermi tradito, mentito, ingannato. Per avermi mandato a scuola proprio il giorno che veniva lui. Riconosco il suo odore di guanti di lattice e disinfettante. Riconosco il suo odore di dopobarba. Riconosco la piega che prendono i tuoi capelli quando lui te li tocca. Riconosco la luce che hanno i tuoi occhi dopo che li ha guardati. Sento come cambia il suono della tua voce dopo che lui l’ha ascoltata. I segni inconfondibili del suo passaggio. Camuffati male chiudendo la porta della stanza in cui siete stati insieme. Per non farmi vedere, per non farmi impicciare. Per tenermi all’oscuro. Per fare le cose senza di me. Per organizzarti senza che io capisca cosa accadrà. Che ne sarà di me.

La tua voce mi chiama al di là della porta. Dice tre volte il mio nome. La tua mano bussa. Il respiro si spezza in gola. Dici che ti dispiace, che vuoi parlarmi. Ma a me sembra troppo tardi. Mi sembra che ci siano state molte occasioni per parlare e che tu abbia preferito non farlo.”

 

3

“Cerco di non essere educato. Di ruttare a tavola. Di non essere buono con i deboli. Di coltivare la mia rabbia e non trasformarla, lasciarla crescere allo stato brado. Le permetto di trasformarmi, di cambiarmi i connotati.

Io sono la mia rabbia.

Io sono odio.

Ed è quanto di più bello esista. Mi fa sentire felice. Ancora di più se penso quanto la tua vita di buoni sentimenti, di rassegnazione e rinunce sia stata infelice. Una vita di solitudini. Per non farmi diventare quello che sono diventato comunque, per colpa tua. Per il solo fatto che tu esistessi e fossi proprio in quel modo. Viscido, insulso, mediocre. La tua passività che era la più subdola forma di aggressione. I pianti usati come ricatto per darmi la misura della mia cattiveria. Sono cattivo.

Sono il cattivo della favola.

Sono il tuo anti-eroe. Il tuo peggior incubo. Ciò che mai avresti voluto per tuo figlio e che cercavi di estorcermi con la sudditanza psicologica, con gli insegnamenti a fin di bene, con le tue ossessioni. Con le fobie. Lavati le mani. Non fare il bagno dopo pranzo. Non uccidere i gatti. Rispetta le persone. Non essere polemico. Se il tuo amico si butta dal ponte tu lo segui? Ama. Ama sempre perché c’è sempre qualcosa da amare. Chiedi perdono per i tuoi peccati e cerca di meritarti il paradiso che insegui. Guadagnati il paradiso.

Trasforma la rabbia in energia pulita.

Trasforma.

La rabbia.

In energia pulita.

Ecco.

Sono il tuo risultato.

Questa sei tu.”

 

 

4

“Prendo tre tipi di antidepressivi al giorno. Un ansiolitico. Un antipsicotico. Due sonniferi. Mi tremano le mani e cerco di stare lontano dalla tentazione di morire.

Quando vado dal Dottore, quando mi prescrive tutte queste medicine, gli dico: non voglio uccidermi.

E lui risponde: sarebbe troppo facile, non meriti la pace della morte.

Per questo alla fine non muoio. Perché la morte è per quelli come te, mamma. Per le persone buone. Per le persone che hanno pianto troppo.

E questa donna che mi solleva di peso dalla doccia. Che mi toglie il coltello di mano. Questa donna forse sarà la mia redenzione. L’occasione di fare bene. E anche se forse è un’altra occasione che non merito, a volte prego perché non finisca. Perché qualcuno non venga a portarmela via come io ho fatto con te. Come io ti ho strappata alle sue braccia.

Mi siedo in ginocchio accanto al letto con le mani giunte e la fronte appoggiata alle nocche e prego. Sgrano il tuo rosario. Tocco le tue mani che hanno toccato gli stessi grani.

E prego.

Perché chi persevera fino alla fine sarà salvato.”

 

di Azzurra de Paola, per gentile concessione dell’autrice.  Brani tratti da: Il peso minimo della bellezza, LiberAria Editrice, 2016

 

IMG_7476

 

 

Azzurra de Paola nasce a Roma nel 1983 e vive in Svizzera. Ha pubblicato Benedizione per la bassa moltitudine con Le voci della Luna (2012) e La verità è un mondo terrificante con L’Arcolaio Edizioni (2014). Estratti de La verità è un mondo terrificante sono usciti per Le Courrier di Ginevra con traduzione in francese a cura di Lepori Pierre e per Le monde diplomatique di Parigi a cura di Mia Lecomte. Il peso minimo della bellezza è uscito con Liberaria Edizioni nel 2016.

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto in evidenza e foto dell’autrice a cura di Azzurra de Paola.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

Pagina archivio del macchinista