brani da “Favole per un mondo possibile” di Michele Zizzari (con Prefazione di D. Serafini)

IMG_7731-L

da Pesce Fritto innamorato

 

[ Era il 21 luglio, e l’estate era esplosa. Un’estate così torrida che nei campi i chicchi di mais scoppiavano in pop corn. Ma, non so per quale precisa ragione (le liti più furibonde iniziano spesso per futili motivi), capitò che Bora, il violento vento del nord-est, e Scirocco, l’irrequieto vento del sud, ebbero da ridire su qualcosa e presero a litigare fino a dirsele e a darsele di santa ragione. Così, giunti faccia e faccia proprio all’altezza della Riviera Adriatica, si affrontarono a colpi di feroci raffiche, avvinghiandosi l’uno nell’altro, tirandosi forsennatamente per i capelli e urlandosi in faccia le peggio cose del mondo.

Ben presto scatenarono una bufera mai vista. In breve anche il mare cominciò a ribollire disordinatamente, impennandosi in creste d’onde inaudite che ululavano come un branco di lupi affamati… ]

 

[ Ma, come quasi sempre accade, qualcuno non aveva saputo tenere del tutto chiusa la bocca, e – non si sa se per scherzo o per credulità – aveva messo in giro una sorta di favola metro-marinara, che parlava di una spietata orca assassina, di una novella Moby Dick, che andava assaltando le marine per ingoiare diportisti, surfisti, bagnanti coi pedalò, bambini con le ciambelle (qualcuno commentò con ironia che forse l’orca era ghiotta di ciambelle) e perfino qualche vu’ cumprà (cosa quest’ultima che a qualche razzista non dispiaceva affatto). ]

 

[ Ala Storta era un delfino che Marino e Pesce Fritto avevano soccorso diversi anni prima, quando erano ancora dediti alla pesca.

Il delfino, inseguendo affamato un banco di sgombri, s’era impigliato nelle reti, e nel tentativo di svincolarsi si fratturò una pinna piuttosto seriamente.

Marino lo disbrigò con esperienza dalle maglie, lo tirò a bordo, gli steccò l’ala spezzata come si fa con un cane e lo fasciò, per poi consegnarlo al Centro di Ricerche Marine, dove lo tennero in convalescenza in una vasca tutta per lui, coccolato simpaticamente da tutti. L’ala guarì in fretta, ma non si raddrizzò del tutto, restando un po’ storta. Per questo motivo, quando il Centro riconsegnò il delfino a Marino per riportarlo in alto mare, il Capitano lo soprannominò scherzosamente Ala Storta. ]

 

[ Non appena superarono la lanterna del molo, il mare e i venti dimostrarono tutta la loro potenza. Il peschereccio sembrava una foglia sballottata da un tifone; beccheggiava su e giù, di chiglia e di poppa, mentre allo stesso tempo rollava a dritta e a manca come un cavallo selvaggio in un rodeo. Le fiancate subivano i portentosi schiaffoni dei marosi, e a ogni onda la coperta veniva sommersa dall’acqua.

Per non essere trascinato via, Marino dovette perfino legarsi al timone.

Ma i nostri, costantemente incoraggiati dal delfino, non si persero d’animo.

Di coraggio e di fede ne avevano da vendere, perché quando un’impresa – per quanto impossibile possa apparire – è mossa da una giusta ragione e dall’amore, la volontà e le forze aumentano di mille, e la probabilità di riuscirci è quasi certa nel cuore di chi la intraprende. E spesso accade che la Fortuna, nelle sue tante e più strane forme, venga incontro a chi l’affronta. ]

 

[ Raggiunta una certa altezza la sommità della collina d’acqua si aprì, facendo emergere un gigantesco e variopinto drago marino dall’apparenza mostruosa.

L’animale – tanto orribile quanto singolare – era simile al Piteto di oltre 20 metri spiaggiato qualche decennio fa sulle coste della California e al Regalecus glesne che supera i 10 metri di lunghezza, ai quali forse si deve l’origine delle leggende sui mostri e i serpenti marini. Entrambi gli animali sono di colore azzurrognolo, variamente pigmentati e dotati di una fluente cresta rosso viva proprio come il mostro che emergeva dalle acque. Ma aveva qualcosa anche dell’impressionante, seppur piccolo, Chauliodus sloani, detta vipera degli abissi marini. Solo che il nostro era qualcosa di molto più grande e terribile.

Ala Storta pensò subito che forse gli dei non bastano a spiegare ogni cosa.

Marino e Pesce Fritto invece restarono basiti, a bocca aperta e gli occhi sbarrati, incapaci di qualsiasi reazione, perché più della paura fu la meraviglia. ]

 

[ Allora il mostro, che aveva già assunto un volto più umano e familiare, prese a raccontare la sua storia: “Ho circumnavigato il mondo e gli oceani per anni e anni, senza sosta e senza mai trovare pace… Prima per sfuggire alle sanguinarie baleniere dei giapponesi e dei norvegesi… poi per evitare le mortifere radiazioni dei sommergibili e degli esperimenti nucleari e per sottrarmi all’insostenibile inquinamento di certi mari. E ancora… per scansare le rotte delle grandi navi che mi disorientavano e impaurivano… e per non incappare nelle pale meccaniche dei cantieri subacquei che piantano grossi tubi sul fondo… e per scampare al frastuono di assordanti trivelle che perforano la crosta sottomarina a caccia d’oro nero… e per eludere il lezzo insopportabile delle petroliere che sporcano l’acqua come milioni di seppie impaurite che asfissiano i mari e i cormorani… Infine ho creduto di potermi ritirare tranquillo nei fondali corallini del Golfo Persico… Ma un giorno ho visto la superficie del mare riempirsi delle ombre funeste di navi ciclopiche, non di quelle mercantili che seppur grasse sono placide e stanche, ma di tante navi tutte allineate in formazioni minacciose, navi che sputano fuoco emettendo botti e scoppi assordanti, navi squadrate cariche di uccelli d’acciaio e di squali di ferro volanti che portano morte a miglia e miglia di distanza… una brutta cosa che gli uomini chiamano guerra… ]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Treni ribelli

 

[ Una volta esisteva uno strano paese, dove vigeva l’obbligo di essere efficienti tutti i giorni dell’anno e di eseguire ogni compito – a casa, a scuola o sul lavoro – nei tempi e negli orari previsti per legge, perfino le vacanze!

Ogni cosa, ogni singola operazione – dalla più semplice alla più complicata – andava svolta presto e bene e in un tempo stabilito con una precisione assai pignola: in ore, minuti e secondi. Il paese in questione si chiamava Frettonia, e i suoi abitanti Frettolesi.

La capitale era Prestansia, nota in tutto il mondo per la rapidità e la puntualità.

Ad esempio, per andare in bagno ognuno aveva solo 3 minuti e 18 secondi al mattino e 3 minuti e 18 secondi al tardo pomeriggio. Una doccia andava fatta in 4 minuti esatti. Un tema in classe andava svolto in 17 minuti e 17 secondi. I compiti a casa in 2 ore, 22 minuti e 22 secondi precisi. Ogni pasto – ovviamente precotto, confezionato e già pronto all’uso – veniva riscaldato in forni a microonde e servito in tavola in 1 minuto spaccato, come le foto tessere per i documenti. ]

 

[ Quelli che erano impediti per problemi fisici o di altro genere venivano internati a vita, fin dalla più tenera età, e nessuno più si preoccupava della loro sorte. I pigri invece, tutti quelli che non riuscivano a reggere lo stress e quelli che si rifiutavano di rispettare i ritmi imposti dal Ministero della Produttività venivano rieducati in scuole specializzate nel condizionamento dei ritmi biologici e prontamente rimpiazzati da immigrati provenienti clandestinamente dai paesi poveri del mondo, che spinti dalla miseria accettavano qualunque lavoro pur di sopravvivere. ]

 

[ I frettolesi non conoscevano l’ozio, le passeggiate, la primavera, il dolce dormire di aprile, la pennichella, il piacere delle chiacchere, i preliminari in amore, gli aquiloni, le favole, le barzellette, le feste, le sbronze e tutte quelle cose che rendono gioiosa la vita; né avevano memoria della vita che conducevano i loro antenati.

Tutto era stato inghiottito dal vortice di quel ritmo incessante.

La loro era un’esistenza ansiosa e infelice, senza gioie e senza distrazioni.

Mi chiederete come mai i frettolesi non si siano ribellati a quella vita così assurda.

Ma il fatto è che quel sistema si era imposto piano piano, un po’ per volta, come fanno tutte le cattive abitudini – anche grazie alle innovazioni tecnologiche, ai programmi televisivi e alla pubblicità – senza che la maggioranza della gente se ne potesse accorgere. E un poco alla volta la gente s’era abituata, andando avanti così, per inerzia, senza porsi domande. Del resto si sa che gli uomini sono animali piuttosto adattabili.

Solo pochi protestarono cercando di spiegare quello che stava accadendo, ma furono internati come pazzi o come sovversivi. E nel giro di due o tre generazioni avvenne che la velocità e l’efficienza s’impadronirono di tutta la società. ]

 

[ Insomma tutto girava come un orologio svizzero, anzi addirittura peggio! Anche se sono certo che una vita così nessuno la sceglierebbe di sua volontà. Neppure i treni! Perché se a Frettonia gli uomini andavano come treni, immaginate un po’ voi come andavano i treni! E infatti, a Frettonia, i treni sembravano più stufi e più consapevoli degli uomini. ]

 

[ Un intercity sbottò così – “Puntuali, sempre puntuali! Di questo passo diventeremo ansiosi e stressati come i frettolesi. Non resisteremo a lungo. Le locomotive e gli ingranaggi sono continuamente messi a dura prova. Così rischiamo di scoppiare. Prima o poi succederà un disastro. E chi sa a chi si darà la colpa.”

E un eurostar aggiunse – “E pensare che progettano di farci andare ancora più forte. La chiamano l’Altissima Velocità. I lavori sono già cominciati. Stanno scavando altre montagne, costruendo tunnel sottomarini e ponti ferroviari sugli stretti.”

Un direttissimo – “Io non sopporto le gallerie, ho paura del buio e soffro di claustrofobia. Figuriamoci sott’acqua! A rischio d’essere corrosi dalla salsedine.”

Un diretto – “Io invece ho lo vertigini, e già sui viadotti mi tremano le ruote.”

Un regionale – “Basta! Questa è una vitaccia! E poi è davvero triste che gli uomini si sciupino così.”

Un treno merci piuttosto determinato – “Scioperiamo! Riuniamoci nelle stazioni e blocchiamo tutto quanto!” ]

 

[ Senza più un ritmo da seguire, senza più una tabella di marcia da rispettare, senza più riferimenti precisi di orario, privati delle loro mansioni e del lavoro (quasi l’unico motivo della loro vita), i frettolesi caddero nello smarrimento più totale e in uno sconforto senza speranze. Abituati com’erano a una vita programmata e organizzata minuto per minuto, non sapevano come reagire a quell’evento inatteso. Nessuno capiva perché i treni si fossero fermati. Nessuno comprendeva il motivo di quella protesta immobile e silenziosa. E nessuno più a Frettonia aveva abbastanza fantasia per azzardare un’ipotesi, fare una proposta, pensare a una soluzione o prendere un’iniziativa.

Il risultato fu che i frettolesi, ormai sconsolati e allo sbando, presero a vagare per le strade senza una ragione e senza sapere cosa fare, avanti e indietro, con lo sguardo inebetito e le braccia penzoloni. ]

 

[ Fino a quel momento il vecchio merci non aveva dato alcun segno di vita, tanto che gli altri lo avevano giudicato soltanto un rottame per gli sfasciacarrozze. E il fatto che tossisse fu già considerato un miracolo. E mentre tutti lo guardavano stupiti, lui rivelò il segreto che in silenzio custodiva da tempo.

Le porte sgangherate dei suoi vagoni arrugginiti si aprirono cigolando, e dal suo ventre di ferro e di legno marcio venne fuori un popolo sorridente e multicolore di gente proveniente da ogni parte del mondo.

“Ma da dove scappano fuori quelli lì?” – domandò un eurostar.

“Vengono dai paesi più poveri della Terra” – rispose con voce rauca il vecchio merci con un vago accento di Foligno. E continuò“Ufficialmente sono clandestini, lavoratori illegali; ma nella realtà vengono impiegati per metà della paga per sostituire i frettolesi nei lavori più massacranti, e non hanno neppure diritto a una casa! Per tetto hanno solo le pensiline arrugginite delle stazioni e le lamiere di vagoni sbrindellati di vecchi treni come me. È gente semplice e allegra, che ama la vita e che sa bene come organizzare una festa. Sanno divertirsi, suonare, ballare e cantare. Solo loro possono darci una mano. Perché come noi hanno una gran voglia di cambiare esistenza.”

“Ma come faremo a intenderci con degli stranieri che parlano tante lingue diverse?” – obiettò un regionale.

“Nessun problema, – assicurò il vecchio merci – li comprendo io. So quasi tutto di loro. Sono anni che li ospito di nascosto. Passo le notti a osservare i loro sogni e ad accogliere i loro desideri. E in cambio loro mi allietano con le loro storie, le loro musiche e i loro canti. Così ho imparato a capirli. E loro, hanno fatto ancora prima a capire me. Così non c’è null’altro da spiegare. Hanno visto, sentito e compreso ogni cosa. E hanno scelto sin dal principio di unirsi alla nostra protesta. Qui come nelle altre città. Non resta che dare inizio alle feste!” ]

 

da Processo a Elah

 

[ Pianeta Terra, anno 2084, in una periferia urbana parecchio degradata dell’Italia Settentrionale. Un piccolo essere, che la penombra non riesce a mostrare chiaramente, trema dal freddo e dalla paura. Si è nascosto tra cumuli di rifiuti, dietro una lavatrice robotica dismessa di vecchia generazione in un capannone industriale abbandonato.

Dal Centro Operativo per la Disinfestazione Sociale una voce metallica dà istruzioni alla Squadra Recupero Esseri Alieni e Diversi: “Attenzione! Una serie di segnalazioni da parte di abitanti terrorizzati ha confermato la presenza di un soggetto alieno non identificato nella periferia nord della città di Suburbia, nei pressi della discarica A4D5. Ordine di cattura AK509KF. Intervenire con decisione e cautela, il soggetto potrebbe essere pericoloso, radioattivo e armato d’armi da fuoco e batteriologiche.”

Due disinfestatori sociali in tuta, casco e guanti antiradiazioni localizzano il piccolo essere, lo catturano con una rete in filo di carbonio come quelle delle racchette da tennis, lo infilano in un sacco telato, anch’esso di carbonio, e lo portano via con il loro blindato, per condurlo al Campo di detenzione ed espulsione per immigrati extraterrestri. L’essere si dibatte disperatamente all’interno del sacco emettendo strani lamenti, simili a quelli di un bambino impaurito.

Come gli altri detenuti alieni e diversi, trascorrerà alcune settimane di disumana permanenza nel Campo di detenzione ed espulsione per immigrati extraterrestri, prima che venga istruito un processo a suo carico, solitamente per immigrazione clandestina e per attentato alla Sicurezza Terrestre. ]

 

[ In un parco pubblico di Suburbia – arredato di prati, alberi e siepi in fibre sintetiche – un maxischermo ologrammico manda di continuo pubblicità di prodotti d’igiene personale e casalinga. Alcune persone, frequentatrici del parco, discutono della cattura dell’essere misterioso.

 

Un anziano in pensione: Avete visto? Ne hanno preso un altro! Dicono che non si sa neppure da dove venga, che lingua parli e di che razza di animale si tratti. Dicono che ha la pelle di uno strano colore violaceo, come una pustola. Ormai è una vera e propria invasione. Non se ne può più. Bisognerebbe rispedirli e disperderli nello spazio senza neppure un processo! E ci vengono pure a parlare di crisi! Con tutto quello che si spende per controllare il traffico di questi clandestini dello spazio! Ai miei tempi almeno si trattava solo di extracomunitari terrestri, ma erano umani! Questi invece sono pure alieni! E chi sa che razza di malattie sono capaci di attaccarti!

 

Un giovane basso e tarchiato dall’aria un po’ stupida, facendo cenno al giornale che legge: Qui sulla Lega Terra di oggi c’è un articolo della grande Noia Fallace. Dice che rischiamo una contaminazione biologica irreversibile che porterebbe all’estinzione della nostra razza. Dice che si tratta di gente senza Dio e di usanze selvagge che sono qui per invaderci, colonizzarci e dettare legge a casa nostra. Dice così (citando le parole dell’articolo) “Una seria minaccia per la cultura umana e le nostre tradizioni terrestri. Per non parlare di quali mostruose creature possono mettere al mondo in mezzo a noi…”

 

L’anziano in pensione: Sarebbe meglio eliminarli subito, prima che atterrino. Bisognerebbe intercettarli fuori dall’atmosfera con i missili dello Scudo Spaziale Terrestre. Si risparmierebbero pure un mucchio di soldi pubblici. Sono proprio stufo di pagare tasse per quei parassiti!

 

Una ragazza fuori dal coro: Ma guarda che lo Scudo Spaziale e quei missili costano molto di più di quello che si spenderebbe per accoglierli qui sulla Terra. E poi non c’è nessuna prova che siano pericolosi. Anzi, sembrano onesti, pacifici e animati da uno spirito fraterno e rispettoso. Voi giudicate solo in base ai si dice, senza documentarvi mai su niente. E non dimenticate poi che senza le loro conoscenze aliene l’Umanità e la Terra si sarebbero estinte da un pezzo!

 

L’anziano in pensione: Eccola là l’ingenua! La solita buonista ammalata di solidarietà!

 

Una ragazza fuori dal coro: Voi invece siete ammalati di paura, di egoismo e di razzismo. E il nostro Onorevole Governo Mondiale ci campa e sguazza allegramente nella vostra paura e nel vostro egoismo, venendo meno a tutti i trattati di Pace e dei Diritti Universali siglati con i Mondi Conosciuti. Ma davvero pensate che solo noi umani abbiamo diritto ad avere diritti in questo Universo? ]

 

Sinossi di Favole per un mondo possibile

Raccolta di racconti di Michele Zizzari

Pubblicato da L’Arcolaio Editrice di Forlì, 2018.

(già acquistabile in Rete e ordinabile nelle librerie)

Prefazione dell’autore e poeta Daniele Serafini
Illustrazioni di Anna Maria Garavini
Con questo libro vorrei rivolgermi ai più giovani, e attraverso loro agli adulti, per parlare diversamente, raccontando storie fantastiche, con leggerezza e ironia, di temi come l’accoglienza, il rispetto degli altri e delle diversità, di diritto al tempo libero e alla felicità, di amore e di amicizia, di solidarietà, di tutela dell’ambiente e della necessità di ritrovare la forza e il coraggio – anche di andare controcorrente – per riaffermare i valori e le priorità della dimensione umana, della convivenza e della qualità della vita, prima di ogni altra considerazione. Altrimenti a cosa servono l’economia, la politica, la gestione dei beni comuni e delle risorse, le leggi, la tecnologia, i nuovi mezzi di comunicazione come i social, e perfino la cultura di massa, se questi spingono a negare i più elementari diritti umani, producendo inaccettabili disuguaglianze sociali, ingiustizia e povertà, l’esclusione dei più deboli (o di chi per qualche presunta ragione viene visto come diverso o lesivo dei propri interessi particolari), populismi inquietanti, pregiudizi e razzismi basati su un incolto cinismo e disastri ambientali di portata planetaria?

 

Nel primo racconto ad esempio, un peschereccio non esita – per amore e disattendendo le disposizioni delle autorità – ad affrontare le gigantesche onde d’un mare in burrasca e quello che viene descritto come un temibile mostro marino, per andare a salvare una barca a vela data per dispersa, col solo aiuto di un delfino amico, che per giunta ha una pinna storta… Un tema quanto mai attuale, visto le polemiche e il gran dibattito sui salvataggi in mare di profughi, poveri e disperati, che affrontano odissee disumane solo per cercare un po’ d’umana dignità, un qualcosa che per la civiltà e le democrazie di cui diciamo di sentirci parte, dovrebbe rappresentare il minimo sindacale, un diritto scontato per chiunque.

 

Nel secondo invece, è uno sciopero dei treni (che con gli abitanti dell’immaginario Paese di Frettonia condividono una vita vissuta ad altissima velocità, interamente sacrificata al lavoro, privata del riposo, del tempo libero e di normali relazioni umane) a restituire ai Frettolesi la gioia di vivere, una rinnovata socialità e un vivifico rapporto con la Natura e gli altri popoli del mondo… Persone che a Frettonia erano accettate e sfruttate solo come manodopera, e per il resto costrette a vivere nascoste in vecchie vetture di treni dismessi.

Ho scelto di eleggere come protagonisti di questi racconti treni e imbarcazioni (simboli del progresso umano che hanno permesso all’uomo di viaggiare per mare e per terra, di superare oceani e frontiere e di conoscere nuovi mondi e culture) perché sembra – per tutto quello cui si assiste oggi – che gli uomini (per fortuna non tutti) siano diventati ciechi e sordi al dialogo e alla verità, e incapaci di umanità, di coraggio, di cambiamento e perfino di rispettare regole codificate da sempre, come quelle cristiane di considerare l’altro come se stessi, di aiutare chi è nel bisogno o del soccorso in mare. E ho scelto di rivolgermi ai più giovani sperando che crescano animati da autentico fervore umano, diverso da quello che ci prospetta il mondo degli adulti.

Nel terzo racconto infine, il protagonista è un essere proveniente dallo spazio di cui non si sa nulla, e per questo immediatamente percepito come una minaccia, imprigionato e processato in base a pregiudizi dettati dalla non conoscenza della sua storia e dei fatti, dalla paura indotta da luoghi comuni contro lo straniero e da un presunto pericolo.

Si tratta insomma di racconti fantastici destinati al pubblico degli adolescenti e in particolare alla Scuola, in cui però la metafora col mondo reale e con le questioni su cui dibattiamo oggi, come l’emergenza sociale e dei fenomeni migratori e ambientali, è evidente. Una lettura, spero utile alla riflessione, alla discussione e a una nuova consapevolezza, per guardare da un altro punto di vista la realtà e il mondo in cui viviamo.

Biografia e foto dal sito di Michele Zizzari.

Immagine in evidenza: Foto di Tracy Allen.

 

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

Pagina archivio del macchinista