brani da “BACIAMMO LA TERRA: L’odissea di un migrante dal Somaliland al Mar Mediterraneo, di Mohamed Hussein Geeldoon, trad. Raphael D’Abdon

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In anteprima, per gentile concessione della Gaspari editore, in commercio dal 3 dicembre 2020

 

Questo è un racconto dettagliato – uno dei migliori che abbia letto – su cosa significhi essere un migrante somalo in cerca di un futuro migliore, lontano dalla vita precaria della penisola somala. Un racconto meraviglioso, intelligente, ben strutturato e avvincente. Una lettura che consiglio a tutti.

Nurrudin Farah, scrittore somalo

 

Dalla Prefazione di Ubah Cristina Ali Farah all’edizione italiana

È raro imbattersi in resoconti lucidi e coerenti come quello qui offerto da Geeldoon. Spesso la narrazione del tahriib procede in modo discontinuo e frammentario, un canovaccio logorato dal viaggio, pieno di buchi e strappi.

D’altra parte, raccontare può salvare la vita e Geeldoon, memoria prodigiosa, lo testimonia in maniera efficace. La sua è una storia esemplare, un monito ai giovani ammalati di buufis, del bisogno incontenibile di partire.

Buufis è un termine somalo nato di recente, coniato dopo lo scoppio della guerra nel Gennaio 1991: letteralmente indica l’atto di gonfiare, quasi che pensieri e corpo di chi ne è affetto scoppino improvvisamente di desiderio, di smania irrefrenabile.

«Il buufis è una cosa che nasce dentro» mi disse Abuukar la prima volta che ne sentii parlare, «un sentimento più forte di te, che ti prende senza volere e ti fa muovere senza sosta».

All’epoca lavoravo a un progetto sulla memoria con un gruppo di giovani rifugiati somali a Roma. Si trattava perlopiù di ragazzi della stessa età di Geeldoon che, a differenza sua, erano riusciti a superare l’ultima tappa del viaggio.

Del deserto, come lui, parlavano tutti. La ricerca dell’acqua, l’assenza di pozzi. In somalo c’è una parola per indicare il percorso che si fa per andare a prendere l’acqua: dhaan. Si arriva al pozzo e si scambiano notizie. Chi va al pozzo ritorna pieno di storie. Tutti aspettano con ansia il portatore d’acqua e di storie. Si crede che raccontare salvi la vita. Chi affronta il viaggio è come il marrano: ha un segreto dentro e non può svelarlo. Un segreto intimo, che però biso- gna svelare se si vuole evitare che il suo peso non risulti soffocante. […] pag. 17.

 

 

[…] Eravamo sul camion, legati l’uno con l’altro. Avevamo viaggiato tutto il giorno e tutta la notte. Il giorno dopo, ci fermammo in una zona montuosa. I somali e i sudanesi furono raggruppati in aree separate e ciascun gruppo cucinò quello che aveva.

Era il punto di scambio, all’interno del confine del Sudan, nel quale i trafficanti sudanesi consegnano i migranti illegali ai loro colleghi libici.

Il giorno successivo scoppiò una rissa perché i sudanesi non volevano dividere l’acqua. I somali richiesero la loro quota d’ac- qua e i due gruppi cominciarono a colpirsi con mazze di legno e spranghe di metallo che avevano trovato nei pick-up. Le donne non trovarono pietre da lanciare. In compenso, tiravano manciate di sabbia, incitando gli uomini a combattere. Combattevamo per proteggerci, ma la vera posta in gioco era l’acqua. I sudanesi erano una cinquantina e cominciarono a sopraffarci. Il viaggio si faceva sempre più duro per noi.

La battaglia fu cruenta e provocò molti feriti. Noi somali subimmo meno danni: avevamo combattuto fino alla fine, anche se numericamente inferiori. Mentre la gazzarra andava sedandosi, tre religiosi sudanesi e alcuni somali che non avevano preso parte agli scontri cominciarono a sventolare panni bianchi e ci intimarono di fermarci. Quando la rissa si placò, ci diedero una strigliata: “Siamo tutti migranti e in condizioni disperate. Ci manca tutto e stiamo morendo. Non commettiamo il peccato di ammazzarci gli uni con gli altri. Calmiamoci”.  […] pag. 47

 

In questa parte, dopo innumerevoli peripezie e dopo aver subito ricatti inenarrabili da parte dei trafficanti,  i libici chiedono ancora una volta soldi al gruppo dei viaggiatori pretendendo che  i sequestrati chiamino i parenti con la richiesta  che gli mandino ulteriori migliaia di dollari.   Questa scena segue il  rifiuto del gruppo  di adeguarsi al ricatto:

[…]  Ci dissero: “Tranquilli, tranquilli… Forse non vi siete ancora resi conto di dove siete capitati. Questa terra si chiama Libia. La Libia appartiene a noi perché noi siamo libici. Siamo dei miscredenti. Veneriamo il Dio denaro e ne abbiamo bisogno. Vi faremo vedere cosa succede a chi non vuole pagare. Ve lo chiederemo una volta sola… Se quello non sarà sufficiente… Entro due giorni dovrete fare in modo di farvi spedire i soldi. Se vi rifiutate, sarà troppo tardi. Vi rimpiazzeremo con altri. Ci sono un sacco persone che ci aspettano e che vogliono essere portate qui. Sappiamo chi siete e vi faremo vedere che non siete altro che degli animali”.

Dopodiché ci ordinarono di metterci seduti e picchiarono alcuni di noi. Continuavano a dirci: “Vi dimostreremo che siete degli animali, anche se voi credete di essere degli esseri umani. Vi faremo vedere cosa succede a chi non può o non vuole pagarci. Vi faremo vedere cosa è successo a un tale arrivato qui nel gruppo prima del vostro che non poteva pagarci”.

Prelevarono un giovane somalo, bellissimo, da una stanza adiacente e lo distesero su un enorme tavolo. Quattro energumeni gli immobilizzarono le braccia e le gambe e lo picchiarono sulle ginocchia. Continuarono a colpirlo finché non si arrese. A quel punto, tirarono fuori un martello e dei chiodi e gli inchiodarono mani e piedi al tavolo. Il ragazzo urlava disperato e noi eravamo terrorizzati. Non potevamo fare nulla per aiutarlo. Se provavamo a muoverci, ci puntavano una spada al collo. Eravamo totalmente impotenti, mentre il povero ragazzo continuava a gridare e a perdere sangue. Estrassero i chiodi e lo portarono via. Non sapemmo mai cosa ne fu di lui, dove lo portarono e se lo uccisero o meno… […] pagg. 57-8.

 

Glossario di acronimi, nomi e frasi

Buufis: termine colloquiale in lingua somala, collegato alla migrazione e al tahriib, che possiede molti significati: indica una persona che sente il bisogno impellente di andarsene e ha già preso la decisione di partire, o anche chi sta in un campo per rifugiati e aspetta di essere trasferito e lo stress psicologico associato a questa condizione.

Harakat al-Shabaab al-Muja’eddin: termine in lingua araba che significa Movimento dei Giovani Mujahideen, gruppo militante attivo in Somalia e in tutta l’Africa dell’Est, comunemente noto come al-Shabaab.

Magafe: termine in lingua somala che significa “colui che non perde mai un colpo”, in riferimento a coloro i quali rapiscono i migranti diretti in Europa attraverso il deserto del Sahara.

Tahriib: termine in lingua araba. Indica una forma specifica di immigrazione illegale, in rapida espansione, che coinvolge un numero elevatissimo di giovani uomini e donne somali che abbandonano le loro terre per raggiungere l’Europa attraversando l’Etiopia, il Sudan, la Libia e il Mar Mediterraneo.

Xamar: termine colloquiale per indicare la città di Mogadiscio, che deriva dalla parola somala per l’albero di tamarindo o dal colore rosso della terra somala. [ pag. 83]

 

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Mohamed Hussein Geeldoon è nato a Erigavo in Somaliland nel 1987. Dopo diversi tentativi falliti di emigrare verso l’Europa negli anni dell’adolescenza è ritornato al suo paese dove ora frequenta l’università e organizza iniziative volte a  sconsigliare ai giovani di intraprendere il tahriiib, cioè il viaggio  attraverso vari paesi  africani per raggiungere l’Europa dalla Libia. La cronaca  del suo viaggio nel libro autobiografico “Baciammo la terra”, si conclude alla fine del 2011, con il ritorno a casa.  La versione bilingue del libro in inglese e somalo è stata pubblicata nel 2016 dal Rift Valley Institute.

In questa intervista del 2015 per The New Humanitarian Geeldoon racconta i suoi tentativi di emigrazione  e le attività svolte successivamente per scoraggiare tali viaggi da parte di giovani africani.

 

 

 

 

 

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Raphael d’Abdon è nato a Udine e vive a Pretoria (Sudafrica) dal 2008. È uno scrittore, traduttore e studioso di letteratura africana, e ha pubblicato articoli, saggi, racconti e poesie in antologie, raccolte, riviste e volumi. Tra le sue ultime raccolte di poesia pubblicate,  salt water (Poetree Publishing, Johannesburg, 2016),  The Bitter Herb, The Poets Printery, 2018.

 

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Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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