BERTA, LA MULTIPLICADA (a cura di Elena Cesari, trad. di Lucia Cupertino)

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Come fare giustizia e mantenere alta l’attenzione internazionale sull’assassinio politico di Berta Cáceres in Honduras e sugli altri assassini in America Latina?

Come creare una rete internazionale di persone e movimenti che sostengano la riappropriazione da parte dei popoli dei territori, la protezione e la cura della terra e dei fiumi, la sovranità alimentare e l’autoproduzione collettiva e comunitaria di cibo, sapere ed energia?

Come lottare in modo efficace contro i grandi capitali nazionali e transnazionali che in ogni parte del mondo portano avanti politiche di espropriazione della terra ed estromissione delle comunità locali ed indigene e devastazione degli ecosistemi ?

Come rafforzare i legami fra movimenti in America Latina e quelli in Europa e sostenere in modo congiunto le pratiche di resistenza delle popolazione in ogni parte d’Italia e del mondo?

Queste in sintesi le domande chiave che il 7-8-9 ottobre una costellazione di gruppi, singoli, movimenti di base, ci siamo posti a Mondeggi, Firenze, presso la Fattoria Senza Padroni.

Noi persone provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo, chiamati innanzitutto dalla presenza di Isabel Bertha Isabel Zúniga Cáceres, figlia di Berta Cáceres uccisa il 3 marzo scorso e compagna del COPINH, consiglio civico delle organizzazioni indigene dell’Honduras, impegnata anche in Italia e in Europa a portare avanti la Campagna ¡Berta vive!

Berta ha sostenuto la forte volontà del COPINH di intrecciare rapporti di collaborazione e di scambio con le altre organizzazioni dal basso e movimenti contro lo sfruttamento capitalista presenti in Italia.

In particolare è emersa la volontà dei movimenti italiani appoggiare il fondamentale lavoro delle radio comunitarie e della radio del COPINH(https://www.generosity.com/community-fundraising/support-indigenous-community-radio-in-honduras), sia a livello economico che organizzando delle giornate di incontro e scambio di saperi con le radio libere italiane (radio onda rossa, radio onda d’urto).

Bertha ha annunciato che il 03/O3/2017 (anniversario dell’assassinio di Berta Cáceres) sarà organizzata dal COPINH una giornata internazionale di incontri, dibattiti in memoria della leader ambientalista assassinata che porterà centinaia di persone, intellettuali, attivisti, artisti a ritrovarsi insieme per fare il punto della lotta delle comunità indigene in Honduras.

Il Cica (collettivo italia centro america) sta prendendo in considerazione la necessità di attivare delle brigate internazionali di solidarietà per accompagnare e sostenere le attività delle comunità Lenca in Honduras e per monitorare il livello della violenza, delle intimidazioni, degli attacchi fisici al popolo Lenca.

Intanto i movimenti riuniti a Mondeggi, si sono dati appuntamento il prossimo 3 marzo 2017 (anniversario della morte di Berta Cáceres) per una giornata internazionale di approfondimenti sulle lotte delle comunità indigene in Honduras e in tutta l’America latina e sulle lotte delle comunità di base contro lo sfruttamento della terra in Italia ed Europa. L’obiettivo primario della cooperazione fra movimenti anticapitalisti di tutto il mondo è quello di individuare chiaramente i gruppi finanziari, le banche, le multinazionali dell’emisfero nord che hanno interesse a distruggere la vita di intere comunità e a devastare l’ambiente, in modo da creare un fronte comune compatto che agisca anche attraverso boicottaggi e manifestazioni globali.

 

L’urgenza della denuncia internazionale della violenza e del clima di intimidazione in Honduras è confermato dagli avvenimenti degli ultimi giorni. Eppure la repressione e la violenza costanti nei confronti dei popoli indigeni non arresta la loro lotta in difesa della terra e del futuro dell’umanità e del pianeta.

 

Pubblichiamo qui l’intervento integrale di Bertha Isabel Zuniga Cáceres in occasione dell’incontro svoltosi a Mondeggi il 7-8-9 ottobre scorso.

 

“Buona serata a tutti. Sono molto contenta di essere finalmente qui con voi, è il momento più bello del mio giro in Italia che ormai dura da una decina di giorni e prima d’ora ho dovuto fare soprattutto incontri istituzionali.

Io comincerei facendo il quadro della situazione che stiamo vivendo in Honduras. Siamo in un contesto di post colpo di stato (avvenuto nel 2009) che ha accelerato lo sviluppo del modello estrattivista, che già esisteva, e contemporaneamente la militarizzazione del paese.

Il golpe ha prodotto anche l’incremento degli accordi da parte dell’oligarchia honduregna con imprese multinazionali, le banche che sono interessate al saccheggio delle risorse naturali dell’Honduras: l’estrazione mineraria nelle zone speciali di sviluppo, le monoculture e ultimamente la monocultura per la produzione del biodiesel. Storicamente l’Honduras già negli anni 80 era la base militare statunitense per le operazioni di controguerriglia in America latina e ancora oggi continua l’aumento della spesa militare che viene utilizzata nel paese per reprimere la lotta del popolo Garifuna sulla costa, del popolo Lenca e di altre popolazioni indigene.

Noi parliamo sempre dell’Honduras come un paese anche di resistenza, perché spesso se ne parla come un paese codardo dove non c’è stata lotta armata, invece è sempre stato un paese di grande repressione e dove i popoli indigeni sono organizzati per resistere.

Il COPINH, il consiglio civico delle organizzazioni popolare indigene dell’Honduras, nasce dopo gli accordi di pace in centro America negli anni ’90, da altre organizzazioni, come strumento di lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni indigene, in particolare il popolo Lenca, storicamente marginalizzato e dimenticato.

La lotta principale nella nostra regione è la lotta per la terra, per il riconoscimento alla titolazione comunitaria della terra, che è fondamentale perché per il popolo Lenca la terra è casa, cibo e spiritualità. Dopo la guerra c’era un sentimento antimperialista molto forte che ci ha sempre tenuti uniti e con il passare del tempo e l’articolazione con altri movimenti latino americani hanno fatto emergere tre pilastri di lotta: l’anticapitalismo, l’antipatriarcato, l’antirazzismo.

E’ una lotta anche per conservare la nostra unità, la condivisione e la nostra spiritualità che consideriamo un elemento centrale della nostra resistenza, dunque è una lotta territoriale ma anche culturale.

Il COPINH è suddiviso su 80 comunità in tre regioni del paese, quindi parliamo di un organizzazione estesa che non è centralizzata ma si articola al livello delle comunità, dei municipi e dei dipartimenti fino alla struttura assemblearia che è la massima autorità della nostra organizzazione.

La lotta principale, ma non l’unica, è quella della difesa della terra, per respingere i progetti idroelettrici, la privatizzazione delle foreste, la costruzione dei parchi eolici che vogliono implementare come corridoio di strutture di “energia verde” che è una grande menzogna molto popolare in centro America. è in atto una forte criminalizzazione del COPINH perché noi siamo una minaccia agli interessi politici ed economici di moltissimi soggetti interessati a saccheggiare il nostro paese, non solo contro il governo honduregno, multinazionali e le organizzazioni transnazionali e banche. Il fatto che siamo contro il saccheggio della nostra terra, dà a loro la libertà di accusarci di essere contrari allo sviluppo del paese, perché non vorremmo costruire nulla. Noi abbiamo alternative allo sviluppo della devastazione del territorio e della gente. Per esempio abbiamo le radio comunitarie che sono lo strumento fondamentale per l’organizzazione delle comunità, ma anche le formazioni culturali e professionali presenti nelle nostre comunità, un sistema altro rispetto a quello capitalista.

Dopo il golpe vengono fatte 51 concessioni nella nostra regione, che è una regione di montagna, molto ricca d’acqua, per i fiumi e tra queste c’era la concessione al progetto idroelettrico Agua Zarca, costituito dall’impresa nazionale Desa, con un capitale che non è però solamente honduregno, ma proviene anche da due banche europee, il fondo di sviluppo olandese (FMO) e finlandese (Finnfund) insieme al fondo centroamericano d’integrazione economica. Questo progetto fin dall’inizio ha violato il diritto alla consultazione previa delle popolazioni indigene, in un fiume che è fondamentale per la vita, la cultura e la spiritualità della popolazione Lenca. Uno dei dirigenti di Desa è stato formato a West Point e ha un ruolo molto influente nello stato honduregno: subito ha messo in chiaro quanto tenesse a far passare questo progetto con l’uso della forza, della polizia militare e guardie private e paramilitari pagate dalla stessa azienda.

Il COPINH ha sempre sostenuto che la legittimità dei popoli viene prima di una legalità che quasi sempre non riconosce i diritti dei popoli, della terra e delle foreste. La comunità di Rio Blanco ha messo in pratica diverse forme di resistenza come l’occupazione delle strade che portavano al sito del progetto e manifestazioni nel sito dove doveva essere costruita la diga. La resistenza della comunità ha irritato a tal punto il capitale che nel 2013 un compagno della comunità di Rio Blanco, Tomas Garcia, è stato ucciso da un sotto ufficiale dell’esercito. E a partire da quest’assassinio è iniziata un’estesa ondata di violenza, oltre alla criminalizzazione del COPINH, in particolare diretta alla coordinatrice generale, mia madre. Non si poteva accettare che una donna indigena avesse una voce così forte, una visione politica così chiara. La nostra resistenza costringe l’impresa a trasferire il progetto sul lato opposto del fiume per avere la scusa di non essere più sul territorio della comunità Lenca. Nel 2015 comincia la seconda parte del progetto caratterizzata da una nuova strategia da parte delle imprese che imparano ad utilizzare un linguaggio “mimetico”, simile a quello utilizzato dal COPINH. Si parla di diritti umani, di rispetto delle comunità indigene e parallelamente prosegue la criminalizzazione del COPINH e della gente di Rio Blanco. Le imprese iniziano a dire che per colpa di venti persone non riescono a sviluppare un progetto di energia pulita che porterebbe elettricità nelle case della comunità.

In questa seconda fase mia madre e altri attivisti affrontarono due processi giudiziari e furono messi in carcere per usurpazione di territorio e coazione. Diventava sempre più chiaro che la devastazione del territorio non era limitato a Rio Blanco: si rafforzavano i legami con le altre comunità indigene resistenti in Honduras che si opponevano a progetti simili e poco a poco la lotta di Rio Blanco emerse come emblema della lotta di tutte le comunità indigene.

Contemporaneamente diventava importante anche il ruolo della solidarietà internazionale. Così si è arrivati al giorno in cui si stava svolgendo un foro sulle energie alternative per discutere delle forme di energia che rispondono ai bisogni delle comunità: in quel giorno mia madre fu assassinata.

Questo assassinio ha segnato in maniera forte il COPINH, che è una delle organizzazioni più combattive in Honduras, perché dopo il 2009 Berta è stata una delle figure più forti e in evidenza della resistenza al golpe. Con questo omicidio si è cercato sia di colpire un simbolo della resistenza, sia di terrorizzare le comunità in lotta. Il lavoro del COPINH e il lavoro che Berta ha fatto anche a livello internazionale per stringere alleanze e dare sostegno alla resistenza, ha portato, quando è stata uccisa, a una reazione internazionale molto forte. Molta gente la conosceva, lei era stata anche qui in Italia, molta gente che ho visto in questi giorni l’aveva incontrata ed ascoltata. Credo che quella che stiamo vivendo sia un caso emblematico nella regione latinoamericana, in un paese dove vige l’impunità sugli assassini politici. Un punto chiave infatti per fare giustizia è dato dal movimento internazionale di verità e giustizia che si è creato su questo caso.

Il nostro concetto di giustizia è ampio, non si limita a quella che potrebbe dare un tribunale honduregno, la campagna che si sta portando avanti ha due direzioni fondamentali: da una parte che venga creata una commissione internazionale che indaghi sul caso, così come è stato fatto nel caso dei 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa e, come forma di risarcimento minimo per le comunità Lenca, l’annullamento della concessione per il progetto Agua Zarca.

Lo stato dell’Honduras ha ostacolato in tutti modi queste due petizioni, addirittura sono state segretate tutti i documenti relativi alla nostra famiglia. Tuttavia la giustizia vive nella memoria della lotta collettiva del COPINH e di tutte le comunità, di quello che lei ha fatto, non solo individualmente, perché lei non ha fatto nulla se non con e per il popolo Lenca. Noi diciamo che dalla terra lei continua a lottare e a chiamare giustizia, e questa sua presenza ci accompagna, ci unisce e ci rafforza.

 

Vorrei approfittare di questa situazione per condividere un testo che fa forte appello alla nostra parte emotiva perché sappiamo che è parte di quell’atto di solidarietà e giustizia della mia mami, al di là del valore che si attribuisca al suo lavoro, perché è stata promotrice di sentimenti forti e solidarietà. Pertanto voglio leggere un testo scritto da mia sorella che riflette al meglio ciò che lei era, anche se è molto complesso definirlo, e condividerlo qui alla presenza di persone che la conobbero e con cui c’è stato uno spirito di comunione, nel mezzo del dolore ci siamo potuti abbracciare, dare sostegno. Quindi sento di dedicare questo testo anche a tutte queste persone. Si intitola “Me l’ha già detto il fiume”.

 

reportage di Elena Cesari LogoCC  intervento di Bertha Isabel Zuniga Cáceres, per gentile concessione dell’attivista.

 

Me l’ha già detto il fiume

Lettera di Laura Zuñiga

 

 

Berta Cáceres, mia madre, la mia mami, era la lotta in marcia, carica di tutte le oppressioni, portava sulle sue spalle i dolori di questo sistema che si impone sui poveri, sugli indigeni poveri, sulle donne indigene povere.

Berta, capace di indignarsi di fronte a ognuna delle ingiustizie del mondo, di ribellarsi e lottarvi contro. Grazie a questo, ha raggiunto un’integrità nel suo pensiero, ha pienamente compreso che capitalismo, patriarcato e razzismo si combattono in modo congiunto.

 

Ricordo, come se lo avessi vissuto, la bambina dai capelli lunghi, a cui facevano male i molari, che portava con sè segretamente le lettere con le informazioni utili per le lotte dell’America Centrale, nello specifico la lotta ne El Salvador nel corso degli anni ’70. Ricordo pure la giovinetta, senza cibo da mettere sotto i denti, alla ricerca di un lavoro negli stabilimenti di assemblaggio, lavoro che le fu negato perché incinta. La ricordo quasi bambina, senza nulla da mangiare, incinta, in un quartiere marginale di una città sconosciuta sostenendo la lotta come poteva. Il capitalismo si manifestò nella sua pienezza. Ricordo anche la donna che decise di non avere più figlie, ma il sistema le disse che lei non poteva decidere sul suo corpo, che doveva partorire di nuovo.

Il patriarcato si fece manifesto. La ricordo con un braccio livido, di questo ricordo sono davvero protagonista, la polizia l’aveva picchiata. Lei e gli indigeni non hanno il diritto di lottare per la loro terra. Il razzismo si era manifestato.

La ricordo forte, potente, immensa, infinita, in lotta contro i megaprogetti che si impossessano dei territorio indigeni Lenca, contro i picchiatori e aggressori di donne, in lotta contro i governi corrotti, contro il golpe dello Stato, stringendo solidarietà con chi ne aveva bisogno. La ricordo in molteplici modi, senza paura, ridendo, scherzando, umana, mettendo alle corde tutti quelli che la volevano bloccare.

 

Questo Paese così tanto afflitto, con basi militari gringhe, col 30% del territorio dato in concessione a multinazionali, compagnie che si impossessano dei territorio ancestrali con progetti come quello delle zone di sviluppo – ZEDES – che sono le nuove forme del colonialismo, con la vendita dell’ossigeno – RED PLUS – che sono la privatizzazione dei boschi, con gli indici più alti di povertà, violenza, femminicidio. A questo Paese il dolore fa sgorgare la rabbia, perché hanno rubato le braccia di Berta, hanno rubato le braccia della mia mami. Questo Paese, che è l’umanità stessa, rifugge dal rassegnarsi per questo assassinio.

Per questo Paese ha lottato Berta Cáceres, perché la mamma lottava per il mondo. Si è appassionata alla sua terra, dove vivono i Lenca, dove ci sono le sue radici; e si è inorridita di fronte alle forme sinistre e violente con le quali l’imperialismo agisce qui, con gli esperimenti che si portano a termine.

La mamma, la mia compagna di lotta, Berta Cáceres era d’intralcio per il sistema, perché la sua trasparenza politica, la crescita costante del suo discorso e dei suoi progetti non avrebbero permesso, non permettono all’estrattivismo saccheggiatore, al capitalismo sfruttatore, al razzismo schiavizzante, al patriarcato violento, all’imperialismo assassino di muoversi con libertà.

LEI, la mamma, la signora, la comandante, la mia mami, Berta Cáceres con tutte le oppressioni addosso si ribella alla morte, giace nel bel mezzo del cuore di un popolo che non ha frontiere, Berta si è moltiplicata e nessun assassinio la può uccidere.

Berta la moltiplicata, Berta la sementa, Berta seminata, Berta eterna, Berta immensa, mami infinita: ce l’ha già detto il fiume, TRIONFEREMO.

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Traduzione di Lucia Cupertino LogoCC

 

Originale spagnolo, per gentile concessione del sito Hagamos lo imposible http://hagamosloimposible.com/me-lo-dijo-el-rio-carta-de-laura-zuniga/

 

Bertha Cáceres[2], mi madre, mi mami, era la lucha andando, con todas las opresiones encima, cargando en la espalda los dolores que este sistema les impone a los pobres, a los indígenas pobres, a las indígenas mujeres pobres.

Bertha, capaz de indignarse ante cada una de las injusticias del mundo, se rebela ante ellas y lucha en su contra. Por eso, logró una integralidad en su pensamiento, logró entender que el capitalismo, el patriarcado y el racismo se combaten juntos.

Recuerdo, como si lo hubiese vivido, a la niña pelo largo, con dolor de muelas, que llevaba escondidas las cartas con la información que aportaría a las luchas en Centroamérica, específicamente a la lucha de El Salvador, allá por la década de los 70´s. También recuerdo a la jovencita, sin nada que comer, buscando trabajo en las maquilas, trabajo que le fue negado por el hecho de estar embarazada. La recuerdo casi niña, sin tener qué comer, embarazada, en un barrio marginal de una ciudad desconocida aportando a la lucha como podía. El capitalismo se expresó en su plenitud. Recuerdo también a la mujer que decidió no tener más hijas, pero el sistema le dijo que ella no podía decidir sobre su cuerpo, que tenía que volver a parir. El patriarcado se hizo presente. La recuerdo con un brazo morado, ese recuerdo sí lo viví, la policía la había golpeado. Los y las indígenas no tienen derecho a luchar por sus tierras. El racismo se manifestó.

La recuerdo fuerte, potente, inmensa, infinita, luchando contra los megaproyectos que se apoderan de los territorios indígenas lencas, contra los golpeadores y agresores de mujeres, luchando contra los gobiernos corruptos, contra golpes de Estado, solidarizándose con quien lo necesitara. La recuerdo de tantas maneras, sin miedo, riéndose, bromeando, humana, acorralando a todos los que la quisieran detener.

Este país tan golpeado, con bases militares gringas, con el 30 por ciento del territorio concesionado a empresas transnacionales, empresas que se apoderan de los territorios ancestrales, con proyectos como el de las zonas de desarrollo –ZEDES- que son las nuevas formas de colonialismo, con la venta de oxígeno –RED PLUS- que son la privatización de los bosques, con los índices más altos de pobreza, violencia, femicidio. A este país, el dolor le llueve rabia, porque han robado los brazos de Berta, me han robado los brazos de mi mami. Este país, que es la humanidad misma, se reúsa a  resignarse a este asesinato.

Por este país luchó Bertha Cáceres, porque la mamá luchaba por el mundo. Se apasionó por su tierra, donde está su pueblo lenca, sus raíces; y se horrorizó con las formas siniestras y violentas con las que imperialismo actúa aquí, con los experimentos que realizan.

La mamá, mi compañera de lucha, Berta Cáceres era un estorbo para el sistema, porque su claridad política, el crecimiento constante de su discurso y sus construcciones no permitirían, no le permitirán, moverse con libertad al extractivismo saqueador, al capitalismo explotador, al racismo esclavista, al patriarcado violento, al imperialismo asesino.

ELLA, la mamá, la doña, la comandanta, mi mami, Berta Cáceres con todas las opresiones encima se rebela a la muerte, se mete adentro del corazón de un pueblo que no tiene fronteras, Berta se ha multiplicado y no hay asesino que la pueda matar.

Berta la multiplicada, Berta la semilla, Berta sembrada, Berta eterna, Berta inmensa, mami infinita: ya nos lo dijo el río, VAMOS A TRIUNFAR.

 

[1] Laura Zuniga, hija de Berta Cáseres y militante del Frente Juvenil Hagamos Lo Imposible

[2] Lider indegenalenca, feminista y activista del medio ambiente Adolescente guerrillera, puso la revolución antes que su propia vida, “el rio se lo dijo” y así se convirtió en semilla viviente; denunciando al imperialismo y al capitalismo, pero también al enemigo que reproducimos en nuestros vínculos cotidianos, denunciando al patriarcado.

Con su voz del centro del continente Berta nos enseñó que la lucha es integral, que cuando luchamos para que no maten nuestro bosques, también luchamos contra el varón que nos violenta, también luchamos contra las naciones que nos saquean.

Berta era de nuestras  mejores compañeras, por su audacia, por su feminismo, por ser consecuente. Se reconocía Lenca, feminista, antiimperialista y anticapitalista.

La mataron por querer parir un mundo nuevo sin opresores ni oprimidos, la mataron por revolucionaria, por mujer y por indígena. Nosotros tomamos su ejemplo, lo hacemos arder en nuestro pecho rojo, en nuestros ovarios, en nuestra piel y salimos este 8 de marzo a decir que ella vive en la lucha de nuestro pueblo, que su dignidad va al frente en nuestra barricada, que no la olvidaremos y haremos activo su recuerdo…

di Laura Zuñiga, per gentile concessione dell’attivista.

 

per gentile concessione del sito Hagamos lo imposible http://hagamosloimposible.com/me-lo-dijo-el-rio-carta-de-laura-zuniga/

 

 

 

 

 

Riguardo il macchinista

Elena Cesari

Elena Cesari ha fatto parte del gruppo operativo de lamacchinasognante.com fino al numero 5. Elena Cesari abita a Salvaro in un condominio solidale. Nel 2014 esce la sua prima raccolta poetica, Una viola, una pigna, un'ombra (Fondazione Luzi, Roma). A luglio 2015 esce “L'essenziale delle cose perse” (LietoColle) . Educatrice e insegnante di italiano L2 ha condotto e collaborato alla realizzazione di corsi di italiano e progetti sperimentali di teatro e lingua con donne migranti. Attualmente lavora con un gruppo di richiedenti asilo bengalesi. Da tre anni collabora con il gruppo di teatro integrato Magnifico Teatrino Errante, realizzando progetti di teatro integrato e interculturale.

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