AUGUSTO BOAL E IL TEATRO DELL’OPPRESSO (di Anna Fresu)

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Il teatro è la verità nascosta.

Quando guardiamo al di là delle apparenze, vediamo oppressori e oppressi in tutte le società,

etnie, generi, classi e caste, vediamo un mondo ingiusto e crudele. Dobbiamo inventare un altro mondo, perché sappiamo che un altro mondo è possibile. Ma dipende da noi costruirlo con le nostre mani entrando in scena, nel palcoscenico e nella vita. Assistiamo allo spettacolo che sta per cominciare; poi, a casa vostra con i vostri amici, recitate i vostri “testi personali” e guardate ciò che non avete mai potuto vedere: ciò che è evidente. Il teatro non è soltanto un evento, è una forma di vita!

Attori’ siamo noi tutti  e  ‘cittadini’  non sono  solo  coloro che vivono in società, ma coloro che la trasformano!” Boal, Messaggio per la Giornata Mondiale del Teatro, 2009

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Augusto Boal (Rio de Janeiro 1931 – 2009) è stato un uomo di teatro, regista, pensatore, educatore brasiliano, fondatore del Teatro e dell’Estetica dell’Oppresso.

Dal ’56 al ’71 ha diretto il Teatro Arena a São Paulo; negli anni della dittatura viene espulso dal Brasile e si trasferisce prima in Argentina e poi in Perù dove comincerà a formulare i principi del Teatro e dell’Estetica dell’Oppresso. Nel ’91 si stabilisce in Francia. Al suo rientro in Brasile viene eletto consigliere comunale a Rio de Janeiro con il Partito dei Lavoratori (PDT), proseguendo il suo lavoro di educatore teatrale in diverse città del Brasile e dell’Europa. È autore di testi drammaturgici e libri teorici, tradotti in diverse lingue.

L’idea di estetica e di teatro di Boal si realizza, a partire dagli anni ’60, nel Teatro dell’Oppresso, inteso come metodo e strumento di conoscenza e trasformazione della realtà dell’individuo, interiore, relazionale e sociale.

Il suo punto di partenza è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata da tutti i paesi membri dell’ONU il 10 dicembre del 1948; spesso ignorata e calpestata da molti degli stessi firmatari; ma che afferma principi fondamentali di uguaglianza, rispetto e protezione dell’individuo su aspetti fondamentali come: lavoro e diversione, abitazione e dignità, uguaglianza di genere e razza, diritto alla vita e alla sicurezza personale, educazione e salute, cultura e arte, ecc. Proibisce la schiavitù, la tortura e ogni forma di punizione crudele, disumana o degradante, proponendo infine un mondo accettabile nel quale vivere e prosperare nel rispetto reciproco e nella pace.

Per raggiungere questi obiettivi è però necessario che l’individuo e la società prendano coscienza di vivere in un contesto sociale diviso fra oppressi ed oppressori, ispirandosi, in questo, ai metodi e ai principi del grande pedagogista brasiliano Paulo Freire (1921-1997) e al suo saggio “La pedagogia dell’oppresso”.

Gli oppressi sono individui o gruppi socialmente, culturalmente, politicamente, economicamente, razzialmente, sessualmente, ecc. privati dei propri diritti, gli stessi riconosciuti invece dalla Dichiarazione Universale.

Il Teatro dell’Oppresso nasce in Brasile negli anni Sessanta in un clima di oppressione e repressione che sarebbe poi sfociato nella dittatura militare a cui fanno da contraltare le lotte operaie e contadine. Malgrado gli sforzi del potere per silenziare le opposizioni, Boal riconosce nel teatro lo strumento giusto per dare voce a chi non ce l’ha, mostrando che ognuno di noi può influenzare attivamente gli sviluppi socio-politici. Il teatro mira a trasformare gli spettatori in attori, non solo sulla scena ma nella realtà, fornendo strumenti di analisi e di trasformazione personale e sociale, attraverso la presa di coscienza (P. Freire, “conscientização”) dei meccanismi di oppressione imposti a tutti i livelli dalla società dominante e dal potere. L’individuo viene considerato come corpo pensante in cui fisicità, mente ed emozioni interagiscono. Attraverso il metodo vengono acquisiti strumenti di analisi, di liberazione e di cambiamento. Il fine è giungere a un approccio non direttivo e al dialogo, annullando ogni forma di violenza e di prevaricazione. Gli obiettivi si raggiungono attraverso diverse tecniche come il Teatrog, il Teatro forum, il Teatro Immagine, il Teatro Invisibile, e gli spettacoli sono creati collettivamente partendo da improvvisazioni o canovacci. I conflitti vengono fatti emergere attraverso un procedimento maieutico e non catartico o consolatorio, alla ricerca di soluzioni applicabili alla realtà. Non vengono cercate le risposte bensì si formulano domande per giungere a una soluzione individuale e collettiva in cui corpo, mente e emozione partecipino globalmente, individualmente e collettivamente.

Representacion-de-una-obra-de-Teatro-del-OprimidoIl TdO tende a superare i confini fra teatro, educazione, terapia, intervento sociale e politica attraverso l’analisi dei conflitti, dell’oppressione, del disagio nella vita individuale e comunitaria, offrendo ad ognuno gli strumenti per analizzare il proprio passato, nel contesto del proprio presente, per determinare ed inventare il proprio futuro.

Giunto in Francia, Boal si rende conto dell’esistenza di un altro tipo di oppressione, non solo di carattere sociale ma anche all’interno della stessa persona; oppressione dovuta all’impotenza, alla solitudine, al malessere interiore:

«anche qui in Europa ci sono oppressioni, ma sono più nascoste, più sottili; anche qui la gente sta male, al punto che si toglie la vita per questo; dobbiamo scoprire gli oppressori; essi sono nella testa»

Elabora quindi nuove tecniche come “I poliziotti e i loro anticorpi”, “L’arcobaleno del desiderio”, “L’immagine analitica” ecc. che esplorano l’interiorità della persona e fanno emergere sulla scena, visibili a tutti, gli oppressori interni; che possono essere persone in carne ed ossa che il protagonista ha incontrato e che ora sono nascosti nella sua testa sotto forma di immagini di divieto, terrore, seduzione, impotenza, ecc. Le tecniche mirano a portare fuori questi flic (poliziotti) perché il protagonista possa riconoscerli e affrontarli teatralmente, ma anche perché il gruppo possa lavorare e allenarsi a lottare contro questi impedimenti.

Una delle ultime tappe del lavoro di Boal è stato il Teatro Legislativo, avviato dopo il suo ritorno a Rio de Janeiro, fra il ’93 e il ’96, anni in cui era stato eletto assessore. Il lavoro si svolgeva essenzialmente con donne, senza terra, disoccupati, ecc. allo scopo di trasformare i bisogni dei cittadini in proposte di legge da presentare e discutere in municipio.

Il TdO è stato e continua ad essere ancora oggi utilizzato in diverse parti del mondo, dall’America Latina all’Africa, dall’Europa all’Asia, nei gruppi di teatro comunitario e da tutti coloro che credono nel teatro come valido strumento che possa contribuire al cambiamento dell’individuo e della società.

tdoprimido3Nella raccolta di saggi “A Estética do oprimido”, del 2008, Boal definisce il suo concetto di Estetica ritenendo deplorevole che molti cittadini non vengano educati all’Estetica, all’Arte grazie a una forma di castrazione, operata dagli oppressori, dal sistema dominante, che rende i cittadini vulnerabili e quindi facilmente influenzabili, plasmabili e passivi in modo che si possa perpetuare il loro stato di oppressi.

Le idee dominanti in una società sono le idee delle classi dominanti,

certo, ma, da dove penetrano queste idee? Dai sovrani canali estetici della Parola, dell’Immagine e del Suono, latifondi degli oppressori!

È anche in questi domini che dobbiamo portare avanti le lotte sociali e politiche alla ricerca di società senza oppressori e senza oppressi.

Fra gli umani, la lotta per lo spazio è la lotta per tutti gli spazi:

fisico, intellettuale, amoroso, storico, geografico, sociale, sportivo, politico…

Bisogna inventare il loro antidoto: l’Etica della Solidarietà, la cui costruzione dovrà essere opera della lotta incessante degli stessi oppressi, e non dono celeste: dal cielo cade la pioggia, la neve, il ghiaccio, eventualmente bombe e razzi, ma non soluzioni magiche.

Nel mondo reale in cui viviamo, attraverso l’arte, la cultura e tutti mezzi di comunicazione le classi dominanti… conquistano il cervello dei cittadini per sterilizzarlo e programmarlo all’obbedienza…

Parola, immagine, suono, che oggi sono canali di oppressione, devono essere usati dagli oppressi come forme di ribellione e azione, non di passiva, assorta contemplazione. Non basta consumare cultura: è necessario produrla.

Non basta godere dell’arte: è necessario essere artista! Non basta produrre idee:

è necessario trasformarle in azioni sociali, concrete e continue.

Arte e Estetica sono strumenti di liberazione.

(A Estética do Oprimido, 2008)

Secondo Boal il Pensiero Sensibile, che produce arte e cultura, è essenziale alla liberazione degli oppressi, poiché accresce e approfondisce le capacità cognitive. Soltanto da cittadini che, con tutti i mezzi simbolici (parola)  e sensibili (suoni e immagini), si rendono coscienti della realtà in cui vivono e delle sue possibili trasformazioni, potrà  sorgere, un giorno, una democrazia reale.

Come conclude lo stesso Boal: 

“In passato ho scritto che essere umano è essere teatro. Vorrei ora ampliare il concetto: essere umano è essere artista! Arte ed Estetica sono strumenti di libertà”.

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Anna Fresu_fotoANNA FRESU

Nata a la Maddalena, in Sardegna, si è laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università La Sapienza a Roma. Ha seguito numerosi corsi di teatro, tra cui il Teatro Studio, partecipando alla creazione del teatro Spaziozero. È regista, autrice, attrice di teatro, traduttrice e studiosa di letterature africane. Ha condotto numerosi laboratori teatrali nelle scuole di ogni ordine e grado. È presidente delle associazioni culturali “Il Cerchio dell’Incontro” e, fino al 2016, di “Scritti d’Africa”. Nel 1975 ha lavorato in Portogallo come mediatrice culturale nella cooperativa agricola Torrebela. Dal 1977 al 1988 ha vissuto in Mozambico dove ha insegnato e diretto la Scuola Nazionale di Teatro e creato e diretto, col regista e giornalista Mendes de Oliveira, il “Dipartimento di Cinema per l’infanzia e la gioventù” realizzando diversi film che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Il suo lavoro in Mozambico è stato premiato al Festival del Cinema per lo Sviluppo a Genazzano nel 1991. Sempre nel 1991 ha curato e tradotto dal portoghese con Joyce Lussu le poesie del poeta mozambicano José Craveirinha (Voglio essere tamburo, Centro Internazionale della Grafica, Venezia). Nel 1996 è tornata in Mozambico come collaboratrice RAI per una serie di servizi televisivi e ha realizzato un laboratorio teatrale con i “meninos da rua”, bambini-soldato e vittime della guerra. Nel 2013, ha pubblicato il suo libro di racconti “Sguardi altrove”, Vertigo Edizioni. Sue poesie e racconti sono presenti in diverse antologie. Collabora con alcune riviste on line e blog. In Argentina è stata docente di Lingua e Cultura Italiana presso la Società Dante Alighieri e l’Università di Mendoza e ha partecipato a congressi sulla letteratura italiana e  realizzato diversi spettacoli teatrali. Nel 2018 pubblica il suo più recente libro di poesie “Ponti di corda“, Temperino rosso Edizioni e ha curato l’antologia poetica “Molti nomi ha l’esilio“, Kanaga Edizioni.

Riguardo il macchinista

Lucia Cupertino

LUCIA CUPERTINO (1986, Polignano a Mare). Scrittrice, antropologa culturale e traduttrice. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia (Università di Bologna), ha conseguito un Master in Antropologia delle Americhe (Università Complutense di Madrid) con tesi sulla traduzione di fonti letterarie nahuatl. Vive da tempo tra America latina e Italia, con soggiorni più brevi in Australia, Germania e Spagna, legati a progetti di ricerca, educativi e di agroecologia. Scrive in italiano e spagnolo e ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, Bologna, 2014); Non ha tetto la mia casa - No tiene techo mi casa (Casa de poesía, San José, 2016, in italiano e spagnolo, Premio comunitarismo di Versante Ripido); il libro-origami Cinco poemas de Lucia Cupertino (Los ablucionistas, Città del Messico, 2017). Suoi lavori poetici e di narrativa sono apparsi in riviste e antologie italiane e internazionali. Parte della sua opera è stata tradotta in inglese, cinese, spagnolo, bengali e albanese. È curatrice di 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos (Arcoiris, Salerno, 2016, menzione critica nel Premio di traduzione letteraria Lilec – Università di Bologna); Muovimenti. Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi, Lecce, 2016) e Canodromo di Bárbara Belloc (Fili d’Aquilone, Roma, 2018). Membro della giuria del Premio Trilce 2018, Sydney, in collaborazione con l’Instituto Cervantes. Cofondatrice della web di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com, con la quale promuove iniziative letterarie e culturali in Italia e all’estero.

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