Antropocene: la firma dell’uomo sul pianeta di Sergio Sichenze

pellicano plastica

pellicano plastica(Foto: Bartolomeo Bellanova)

Nel 2005 un sasso, di un certo peso e volume, infranse lo specchio dell’illusione del progresso illimitato, della crescita esponenziale dei profitti e della loro capitalizzazione, a vantaggio di alcuni, giammai collettivamente distribuiti. Tale corpo grave fu un libro, e qui la mirabilia accresce considerando lo scarso valore commerciale che si attribuisce a questo tipo di oggetti, a cura del Premio Nobel per la chimica (1995) Paul Crutzen per «gli studi sulla chimica dell’atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell’ozono». Il volume in questione s’intitola “Benvenuti nell’Antropocene!”, con il sottotitolo “l’uomo ha cambiato il clima. La Terra entra in una nuova era”. Lo scienziato olandese, che ha dedicato la sua vita alle complesse dinamiche climatiche, afferma che la quantità di gas serra emessi dall’uomo «ha superato i livelli dell’intero Quaternario e nessuno sa quali potranno essere le conseguenze. Il cambiamento, inoltre, è stato decine di volte più rapido dei cambiamenti più bruschi avvenuti negli ultimi 740 mila anni. […] I livelli di anidride carbonica e metano sono i più alti mai registrati negli ultimi 15 milioni di anni». Dopo quindici anni dalle autorevoli affermazioni di Crutzen, gli scenari planetari non sono mutati, piuttosto ulteriormente abbrunati, come confermato dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC), ovvero il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), allo scopo di studiare il riscaldamento planetario. Nel mondo iconograficamente rappresentato come globale, si sono andate sviluppando formazioni che ingaggiano una lotta di contrapposizione aspra e al tempo stesso paradossale. Aspra in quanto l’IPPC, che raccoglie l’eccellenza della ricerca scientifica che studia i complessi fenomeni dei cambiamenti climatici, sta definendo con buona precisone gli scenari futuri, in un range affidabile di qualche decennio, che mostrano radicali mutazioni delle condizioni bioecologiche del nostro Pianeta se la tendenza attuale non verrà radicalmente mutata. Ciò a dispetto di scelte politiche ed economiche che, considerate le prospettive tracciate, scarsamente incidono e potranno incidere sul trend planetario. Paradossale, a ben pensarci, poiché l’IPCC opera sotto l’egida dell’ONU di cui fanno parte 193 Paesi, gli stessi, o meglio una parte di loro, che, seppur con accenti differenti, disattendono in larga parte le indicazioni del network internazionale degli scienziati. La stessa Greta Thunberg riflette: «come posso sentirmi al sicuro quando so che siamo nel pieno di una delle più grandi emergenze della storia dell’umanità?”, e ancora «non ascoltate me, ascoltate la scienza! ». Scenario nello scenario: scienziati vs governi, che a loro volta sostengono economicamente gli scienziati, che a loro volta chiedono ai governi un radicale mutamento di rotta. Si rimarca così la vexata quaestio del rapporto tra scienza e politica.

I segni del passaggio dall’Olocene all’Antropocene sono così evidenti che anche il più sbadato degli investigatori, a spasso sulla scena del crimine, raccoglierebbe prove inconfutabili sugli autori materiali del delitto e sui loro mandanti. Non è dunque in discussione se la Terra sia cambiata e che l’uomo sia la “tecnospecie”  che ha modificato i sistemi ambientali in modo così radicale, e che lo abbia fatto negli ultimi secoli a folle velocità, piuttosto, la domanda è: questo tempo, il nostro tempo, caratterizzato da un impatto umano così massiccio merita di essere riconosciuto e definito come una nuova era geologica? Insomma la trasformazione da noi operata è tale da giustificare l’uscita definitiva dall’Olocene, iniziata poco meno di 12 mila anni fa e l’entrata ufficiale e formale del Pianeta in un nuovo periodo geologico chiamato Antropocene?

Se dovessimo considerare la sola variabile tempo, certamente la risposta sarebbe negativa, in quanto la Storia della Terra è segnata da mutamenti di gran lunga più lenti. Ma tale analisi non terrebbe in conto che stiamo assistendo a qualcosa di decisamente difforme da qualsiasi altra memoria storica del Pianeta. In definitiva, si registra che la specie umana, largamente diffusa in ogni dove, ha sviluppato capacità e abilità di tale portata da alterarne i processi evolutivi, che non soggiacciono più alle dinamiche finora note, ma hanno intrapreso strade che, anche nei modelli più accurati, offrono margini d’imprevedibilità elevati.

“La sesta estinzione – una storia innaturale”, è un libro del 2015 con il quale la scrittrice e giornalista americana Elizabeth Kolbert ha vinto il premio Pulitzer. In esso si argomenta sulla rapidità con cui le specie scompaiono in modo superiore a quella con cui venivano eliminate durante le estinzioni di massa del passato. Nel testo viene dichiarato esplicitamente: «un terzo di tutti i pesci che vivono nella barriera corallina, un terzo di tutti i molluschi di acqua dolce, un terzo degli squali e delle razze, un quarto di tutti i mammiferi, un quinto di tutti i rettili e un sesto di tutti gli uccelli si stanno dirigendo verso la fine». L’autrice delinea sì un’analisi inquietante, ma anche rigorosa e ben documentata, della situazione ambientale in cui versa il Pianeta, e pone infine una domanda cruciale: se non verrà evitata la distruzione ecologica, cosa accadrà alla nostra società? Saremo in grado di affrontare le forze che abbiamo scatenato? La risposta è evidentemente incerta, anche se un pragmatico principio di precauzione punta decisamente a invertire l’attuale modello di sviluppo economico lineare.

Ma i segni dell’Antropocene li ritroviamo ovunque, anche nel passato: «alle 12:37 del 10 luglio 1976, qualcosa di strano accadde nel cielo della Brianza: una vasta nube tossica si sollevò sulle case di Meda e di altri paesi vicini. Si trattava di una fuoriuscita di veleni proveniente dalla fabbrica ICMESA, di proprietà della svizzera Hoffmann LaRoche, che ufficialmente produceva profumi e deodoranti. In quella nube c’era in realtà diossina, un pericoloso agente chimico di cui gli italiani ebbero notizia allora per la prima volta. Nella circostanza, soprattutto a Seveso, morirono centinaia di animali domestici, così che – dopo giorni di inerzia e incertezza – l’intera popolazione venne evacuata. Molte persone, soprattutto bambini, risultarono colpite da un’insolita malattia della pelle, la cloracne, mentre si verificò un aumento di aborti spontanei tra le donne incinte. L’episodio rivelò tuttavia non solo una nuova dimensione del rischio industriale nel nostro paese, ma anche l’inganno e l’intrigo che talora presiedono ad alcune attività produttive, coperte da segreti che tengono all’oscuro le popolazioni e calpestano l’autonomia della nazione. Che ci faceva la diossina in una fabbrica di profumi?», questo l’interrogativo dello storico Piero Bevilacqua (La terra è finita. Breve storia dell’ambiente, 2006). Segni che dimostrano come la specie umana è stata in grado di trasformare i sistemi naturali introducendo nel loro corpo millenario elementi artificiali che ne hanno mutato la struttura, fino a rendere sterile la loro prodigiosa magnificenza.

Mostra Antropocene2(Foto: Bartolomeo Bellanova)

All’Antropocene, però, sono ascrivibili anche gli effetti collaterali della bulimia del consumo, della patinata e colorata pagina del progresso, del benessere regalato dal feticcio di una felicità posticcia.

Nell’Atlante dei Conflitti e delle Guerre nel Mondo (edizione 2019), giunto al suo decennale di vita, Raffaele Crocco scrive nell’incipit al rapporto «Segnamoci questa data: 10 maggio 2019 (Overshoot Day). Da quel giorno l’Unione Europea è ufficialmente in debito nei confronti del Pianeta. Significa che dal 10 maggio ha iniziato a consumare le risorse del 2020. Per il resto del Mondo la data fatale, quella del debito, è arrivata alla fine di luglio. Nel 2018 era stato il 1° agosto. Noi europei, che siamo solo il 7% della popolazione globale, siamo dei veri signori e spendiamo le risorse altrui a mani basse. Per mantenere il nostro attuale stile di vita, servono 2,8 Terre ogni anno. Pensate: gli indiani, che sono più del doppio rispetto a noi, ne usano appena lo 0,70%». Ma questo debito è solo un aspetto del problema, infatti, prosegue Crocco, occorre «leggere il Pianeta attraverso due indicatori, due segnali spia: le migrazioni e le guerre. Si muovono sempre paralleli, cioè per le medesime cause. Mancanza di diritti, ingiusta distribuzione della ricchezza, spreco di risorse, devastazioni ambientali sono gli elementi che portano, inesorabilmente, a guerre – 30 quelle che contiamo quest’anno, con 18 situazioni di crisi – o alla fuga degli esseri umani.[…] Quelli in fuga o in cerca di una sorte migliore, sono circa 258milioni, a dirlo è una ricerca delle Nazioni Unite, che spiega anche che le persone che hanno lasciato i loro Paesi di nascita e ora vivono altrove sono aumentate del 49% rispetto al 2000 ».

Se avessimo ancora dei dubbi sulla transizione dall’Olocene all’Antropocene, gioverebbe rileggere Italo Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».(Le città invisibili, Einaudi 1972).

Seppur l’Antropocene è qui, e ci mostra il suo volto deturpato dall’arroganza dell’homo sapiens, l’elevata speciazione a cui noi umani siamo giunti può fornirci le capacità reattive e di determinazione del nostro futuro, e di quello del Pianeta, senza lasciarci supinamente annichilire dalla vastità e profondità del problema, ma soprattutto acquisire la consapevolezza che siamo in grado di riscrivere la comune Storia planetaria.

Sergio Sichenze

Sergio_sichenze_2018

Biografia:

Sergio Sichenze è nato a Napoli nel 1959. Vive e lavora a Udine. È biologo e naturalista, si occupa di processi educativi per la sostenibilità. Ha pubblicato racconti e raccolte poetiche. Sue poesie compaiono in alcune antologie di poesia. Nel 2018 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Dal 2019 è membro della giuria Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Fa parte del comitato di redazione della rivista letteraria “Menabò” (Terra d’Ulivi Edizioni) per la quale cura la rubrica “Pi greco”.

 

Immagine di copertina: Foto di Bartolomeo Bellanova.

Riguardo il macchinista

Bartolomeo Bellanova

Bartolomeo Bellanova pubblica il primo romanzo La fuga e il risveglio (Albatros Il Filo) nel dicembre 2009 ed il secondo Ogni lacrima è degna (In.Edit) in aprile 2012. Nell’ambito della poesia ha pubblicato in diverse antologie tra cui Sotto il cielo di Lampedusa - Annegati da respingimento (Rayuela Ed. 2014) e nella successiva antologia Sotto il cielo di Lampedusa – Nessun uomo è un’isola (Rayuela Ed. 2015). Fa parte dei fondatori e dell’attuale redazione del contenitore online di scritture dal mondo www.lamacchinasognante.com. Nel settembre’2015 è stata pubblicata la raccolta poetica A perdicuore – Versi Scomposti e liberati (David and Matthaus). Ė uno dei quattro curatori dell’antologia Muovimenti – Segnali da un mondo viandante (Terre d’Ulivi Edizione – ottobre 2016), antologia di testi poetici incentrati sulle migrazioni. Nell’ottobre 2017 è stata pubblicata la silloge poetica Gocce insorgenti (Terre d’Ulivi Edizione), edizione contenente un progetto fotografico di Aldo Tomaino. Co-autore dell’antologia pubblicata a luglio 2018 dall’Associazione Versante Ripido di Bologna La pacchia è strafinita. A novembre 2018 ha pubblicato il romanzo breve La storia scartata (Terre d'Ulivi Edizione). È uno dei promotori del neonato Manifesto “Cantieri del pensiero libero” gruppo creato con l'obiettivo di contrastare l'impoverimento culturale e le diverse forme di discriminazione e violenza razziale che si stanno diffondendo nel Paese.

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