Antirrazismo italiano, se ci sei batti un colpo! (Meticciamente)

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Dopo un’estate caldissima, in cui il termometro del razzismo e dell’intolleranza ha raggiunto temperature infuocate, a dimostrazione di come alcune ideologie non solo non siano state sradicate, ma anzi riemergano con una violenza inaudita sotto gli ombrelloni, nei resort, ai centri estivi e per le strade, ho deciso di fare un po’ il punto della situazione. Non credo sia utile concentrarci troppo sui vari episodi che si sono susseguiti negli ultimi mesi, anche perché ho l’impressione che pur volendo nessuno di noi abbia potuto sfuggire al bombardamento mediatico che ne è scaturito.

Quello che mi piacerebbe fare con voi è soprattutto analizzare le nostre responsabilità, ossia soffermarmi sugli errori che credo siano stati commessi, non tanto da chi ha pepetrato tali discriminazioni, quanto piuttosto da chi avrebbe dovuto fare in modo di contenerle e combatterle. Perché se da un lato è vero che la scena politica e i media si stanno impegnando con tutte le loro forze ad alimentare un clima generale di odio e frustrazione nei confronti della diverità, dall’altro lo è ancora di più il fatto che noi antirazzisti, individualmente o riuniti in associazioni, non siamo stati in grado di arginare questa deriva.

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Il panorama antirazzista italiano, come in molti altri paesi, è composto sostanzialmente da persone bianche che, nonostante siano o si dimostrino socialmente e politicamente impegnate, hanno spesso una visione distorta del problema e assumono atteggiamenti che possono risultare altrettanto pregiudizievoli alla causa che l’immobilismo, derivanti principalmente dalle difficoltà di immedesimarsi completamente nei panni di chi il razzismo lo subisce sulla propria pelle.

Questo perché il loro punto di osservazione parte da presupposti sbagliati e propone soluzioni pertanto inadeguate. Non è raro per una nera come me trovarsi a dover discutere con persone bianche che vorrebbero insegnarle cosa sia il razzismo; quali siano le situazioni, le frasi o i comportamenti che dovrebbe considerare accettabili oppure no; sentirsi accusare di vittimismo o di razzismo al contrario. Oltre ad essere un paradosso tragicomico, questa tendenza determina l’inconsistenza di un movimento che, seppur mosso da buone intenzioni, non è in grado di cogliere la sostanza del problema e costituire una barriera contro l’avanzare di odio e violenza, principalmente verbale, ma anche fattiva.

Com’è possibile che donne e uomini bianchi spinti da un interesse velleitario e spesso passeggero nei confronti della difesa dei neri, magari perché genitori di figli misti o adottivi, oppure in coppia con un/a nero/a, possano dettare le regole e porre le basi di una battaglia che non li implica in prima persona? I figli crescono e prendono la loro strada, le coppie si sfasciano e creano fratture, il coinvolgimento viene meno e il loro impegno è rivolto ad altre e più avvincenti iniziative. Non che ci sia niente di male a cambiare idea, solo gli stolti non lo fanno, ma quando si tratta di argomenti come questo è un po’ come giocare con la pelle e la vita degli altri, quindi scorretto e irrispettoso. Noi restiamo lì, sempre con il nostro colore appiccicato addosso, ma con un alleato in meno, riconfortati solo dal fatto che in fondo non sarà nemmeno una grande perdita.

trust meNon fraintendetemi, lungi da me sostenere che i bianchi non possano essere dei validi alleati, tuttavia, ritengo che il loro intervento dovrebbe essere ausiliario e non trainante. Dovrebbero essere loro ad adeguarsi alle nostre posizioni, a fare lo sforzo di comprendere le nostre ragioni ed emozioni, non imporre una visione delle cose che si dimostra anni luce lontana dal nostro vivere e sentire quotidiano.

Allora poi mi chiedo: “E i neri dove sono nel frattempo?”. Eh, bella domanda! Una buona parte di loro è troppo impegnata a farsi accettare e riconoscere come vero italiano da non sentirsi neanche troppo toccata da quel che succede intorno. Nel senso che il desiderio di mimetizzarsi con la massa e passare il più possibile inosservati distoglie anche in questo caso l’attenzione da un problema reale che dovrebbe essere condiviso, spingendo molte persone a focalizzarsi sull’individualità, ossia sulla propria capacità di riuscire a trovare il proprio spazio vitale in una società alquanto ostile.

Esiste un timore frequente e spesso inconsapevole di risultare troppo provocatori, di essere considerati come dei disturbatori sociali perché l’idea generale è che l’Italia ci faccia quasi un favore ad accoglierci (poi accettarci è un’altra cosa), quindi figuriamoci se possiamo permetterci di levare la voce e gridare al mondo che l’Italia è un paese profondamente razzista che discrimina i suoi figli indesiderati! Quindi accettiamo che siano gli altri a dirci fino a che punto sia legittimo spingerci per rivendicare i nostri diritti, lasciamo che siano i bianchi antirazzisti a dirci cosa sia giusto o sbagliato, fino al punto di fare nostre le loro posizioni.

Con l’amo del ti concedo-non ti concedo la cittadinanza, ad esempio, si è creata una situazione quasi di ricatto morale che impone un silenzio su tutto quello che appare secondario alle questioni di diritto, come le discriminazioni in base al colore della pelle o alla religione. In molte occasioni ho sottolineato la necessità di far coincidere gli sforzi per un riconoscimento legale delle seconde generazioni con altrettanti sforzi di tipo sociale, nonché culturale, perché la garanzia di essere ufficialmente cittadini italiani non implica di per sé un cambiamento automatico di quella mentalità che ci vorrebbe tutti stranieri e indegni di essere italiani, senza tuttavia alcuna reazione positiva, anzi. Di contro, la realtà ha dimostrato che gli accaniti oppositori dello ius soli hanno giocato sporco proprio sull’immaginario collettivo che non vuole italiani neri, né mussulmani, solleticando quindi il risentimento razzista e islamofobo dell’opinione pubblica, trascurando inoltre il fatto che la norma riguarderebbe in realtà tanti giovani di origini, carnagioni e culture molto più diversificate. In un certo senso è come se ci fossimo fatti un autogol pazzesco, fallendo proprio su uno degli aspetti che dovrebbe essere tra i nostri punti di forza: la diversità.

È innegabile che negli ultimi anni ci sia stata un’esplosione di progetti e gruppi nei settori e dagli obiettivi più disparati che hanno come protagonisti giovani afroitaliani e africani di prima generazione e credo sia un segnale molto importante ed estremamente positivo che dimostri la voglia e la necessità di esprimersi e autodefinirsi. Tuttavia, sebbene molti di essi non intendano assumere una connotazione politica o una missione dichiaratamente antirazzista, credo che siamo giunti a un punto in cui dovremmo tutti impegnarci a fare fronte comune contro la tendenza razzista e xenofoba che si sta delineando nel nostro paese.

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Probabilmente noi della vecchia guardia, quarantenni e ultra trentenni di seconda generazione molti dei quali emigrati altrove, dovremmo assumerci la responsabilità di aver lasciato soli a combattere sul campo i più giovani, evidentemente non ancora maturi per sobbarcarsi il peso di questa battaglia. In nostra difesa posso solo dire che, in quanto apri piste e dopo aver combattuto per decenni in condizioni d’isolamento sociale e anche personale su tutti gli aspetti che toccavano le questioni identitarie e razziali, abbiamo sventolato bandiera bianca di fronte ai mulini a vento di questo paese. Non per rassegnazione, perché alla fine siamo ancor qui a parlarne, ma per sfinimento, perché ci siamo resi conto che lottare in solitario come siamo stati costretti a fare per decenni non porterà mai a un vero cambiamento. Non siamo stati abituati a strutturarci in gruppi e organizzazioni, sempre troppo pochi e sparpagliati per riuscire a creare un qualcosa che somigliasse anche lontanamente a un movimento, soprattuto perché cresciuti lontani da strumenti come internet e i social network, in grado di facilitare legami e incontri d’idee anche a distanza.

Dal canto loro, i più giovani sono cresciuti in un mondo già globalizzato, lontani dall’isolamento che noi altri abbiamo vissuto, riuscendo a sentirsi senza troppe difficoltà parte integrante di un’Italia esteticamente multicolore. Il fatto di conquistare pian piano il loro spazio nella società e non sentirsi più “unici nella diversità” fa si che i casi di discriminazione siano percepiti non solo dagli altri, ma anche da loro stessi, come eccezioni insignificanti alle quali non bisogna dar peso. È il caso ad esempio di diversi giovani che durante l’estate sono stati offesi o rifiutati sul luogo di lavoro a causa del loro colore, ma si sono poi limitati a esternare la loro delusione sui media senza intraprendere agguerrite, sebbene impopolari, azioni legali per discriminazione razziale.

Come mai nessun movimento, associazione o gruppo di afrodiscendenti o antirazzisti è intervenuto pubblicamente in loro difesa o a loro sostegno facendo rumore e scalpore? Cosa aspettiamo che accada per uscire allo scoperto e far sentire la nostra voce?

Sarebbe il caso di unire tutte le nostre forze e saper conciliare la consapevolezza che l’età e le esperienze hanno dato a noi vecchie generazioni con l’entusiasmo di cui danno quotidianamente prova le nuove, accorciando quell’abisso comunicativo e concettuale che sembra allontanarci e nel quale la riflessione resta troppo spesso in bilico tra la leggerezza dei più giovani (che non ha nulla a che vedere con la superficialità) e la rigidità di noi adulti.

Probabilmente, solo quando riusciremo a trovare una mediazione tra questi due approcci e a ridefinire argomentazioni e strategie a noi proprie saremo in grado di ritrovarci insieme per poter dar vita a quello che potremmo definire un vero antirazzismo italiano, pragmatico e consapevole, che sappia dar voce alle nostre instane senza suggeritori, né intermediari, l’unico realmente in grado di dare la scossa necessaria a questo paese!

 

Per gentile concessione dell’autrice, ripubblicato dal blog meticciamente, https://meticciamente.wordpress.com/2017/09/09/antirazzismo-italiano-se-ci-sei-batti-un-colpo/

 

 

 

 

MeticciaMente è una blogger afroitaliana, figlia di coppia mista, nata e cresciuta a Roma. Vive attualmente nel suo secondo paese di origine, la Costa d’Avorio. Scrive da diversi anni di questioni identitarie che riguardano gli afrodiscendenti in Italia trattando tematiche come il razzismo percepito, i conflitti interiori, i legami con le origini, il senso di appartenenza o l’invisibilità sociale. Ha scelto l’anonimato per evitare qualsiasi forma di protagonismo, affinché la curiosità dei lettori possa concentrarsi su ciò che lei ritiene realmente importante: i contenuti e le riflessioni.

 

La foto in evidenza è della nostra webmaster, Micaela Contoli, di OpenMultimedia

 

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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