Andrea Camilleri, il Tiresia del nostro tempo- di Grazia Fresu, ripreso da Cinquecolonne

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Da Cinquecolonne, per gentile concessione di Grazia Fresu | 25/06/2019
In questi giorni, Andrea Camilleri è al centro dell’opinione pubblica. Il suo corpo giace in ospedale soggetto alle cure dei medici mentre la sua mente acuta, la sua parola critica e pungente tacciono.

Nella sua ultima apparizione pubblica, quella trasmissione televisiva dove evocava la figura di Tiresia, ci ha lasciato testimonianza del suo percorso umano, artistico, insieme alla necessità di essere sempre e comunque testimone del proprio tempo, esortandoci a non essere ignavi, a prendere posizione di fronte alla realtà, con quel misto di serietà e ironia che gli è proprio. Così ci presenta la sua scelta del personaggio da interpretare e da interrogare per comprendere la sua posizione e la sua visione del mondo.

“Chiamatemi Tiresia, sono qui per raccontarvi una storia più che secolare che ha avuto una tale quantità di trasformazioni da indurmi a voler mettere un punto fermo a questa interminabile deriva. A Siracusa vi dirò la mia versione dei fatti, e la metterò a confronto con quello che di me hanno scritto poeti, filosofi e letterati. Voglio sgombrare una volta per tutte il campo da menzogne, illazioni, fantasie e congetture, ristabilendo i termini esatti della verità.”

Tiresia parla attraverso Camilleri che in lui si rivela. Lo scrittore ormai cieco, come lo fu Tiresia, indaga il mito stratificato dell’indovino su cui la letteratura, la poesia, la filosofia hanno esercitato le loro abilità. Operazione simile a quella di un altro grande cieco della letteratura che è Borges. Tiresia diventa lo specchio su cui riflettersi e l’occasione di un’indagine nel cuore stesso dell’invenzione letteraria che ne ha costruito nei secoli il mito.

L’indovino che compare nell’Odissea, il profeta reso cieco come punizione perché rivelava i segreti degli dei, è il protagonista di una conversazione solitaria nel corso della quale Camilleri, meditando ad alta voce sulla cecità e sul tempo, sulla memoria e sulla profezia, parla di sé e del suo viaggio nella vita e nella Storia.

“Ho trascorso questa mia vita ad inventarmi storie e personaggi. L’invenzione più felice è stata quella di un commissario conosciuto ormai nel mondo intero. Da quando Zeus, o chi ne fa le veci, ha deciso di togliermi di nuovo la vista, questa volta a novant’anni, ho sentito l’urgenza di riuscire a capire cosa sia l’eternità e solo venendo qui posso intuirla, solo su queste pietre eterne.”

Si riferisce alle pietre del Teatro greco di Siracusa dove l’11 giugno del 2018 ha presentato per la prima volta il suo Conversazione su Tiresia, nell’ambito delle rappresentazioni classiche realizzate dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico.

Perchè Camilleri abbia scelto come suo testamento spirituale la scrittura e la rappresentazione di questo suo Tiresia davanti a una platea è possibile comprenderlo dalla sua storia personale.

Camilleri è, oltre che scrittore, un uomo di teatro, che conosce il valore della parola detta ad alta voce, sa che significa portare quella parola fuori di una stanza nell’agorà dove tutti possano sentirla. Ci passa la staffetta. Assume sulla sua persona il significato essenziale della figura di Tiresia che risiede nel suo ruolo di mediatore, per le sue doti specifiche di indovino, tra il mondo degli dei e quello degli uomini, per la sua figura androgina tra le donne e gli uomini e per la durata eccezionale della sua vita tra i vivi e i morti. Il personaggio riappare in tutta la cultura europea nel suo doppio carattere di profeta e di androgino a cominciare dall’Edipo re di Sofocle fino ai nostri giorni.

Camilleri, il grande vecchio della nostra letteratura è divenuto con gli anni, le esperienze, la sua forte fibra di lottatore, il Tiresia mediatore che ci aiuta a comprendere oltre le barriere il senso della vita e della morte.

Siamo noi, il suo pubblico, a stimare lo scrittore e l’uomo che in una rara simbiosi sono stati capaci di mostrarci il mondo così com’è, con le sue contraddizioni, le sue ingiustizie e le sue umane passioni.

Camilleri non è solo l’inventore della saga di Montalbano, è un uomo di profonda cultura, attento conoscitore della sua gente, che attraverso la sua isola, la Sicilia, ha indagato nei meccanismi del potere, come aveva fatto Sciascia ma attraverso una connotazione originale e tutta sua. Sciascia ci ha mostrato soprattutto i danni che la mafia faceva alla sua Sicilia e le sue connessioni col potere, Camilleri, pur rivelandoci a tratti le trame mafiose, ci mostra per lo più i delitti che anche un uomo comune può commettere quando l’ostracismo sociale e l’oscurità si impadroniscono di lui. Sa raccontare drammi, crimini efferati e insieme farci sorridere sulle debolezze umane, risvegliare la nostra capacità di comprensione e di accoglienza così come formulare il tagliente giudizio sui mali che affliggono il nostro tempo.

I libri scritti fuori della saga di Montalbano, come Il birraio di Preston, La concessione del telefono, La mossa del cavallo, il Re di Girgenti, per citarne solo alcuni, sono indagini accurate di realtà precise, frutto di una ricerca rigorosa, che gli servono a mostrare gli infiniti, sotterranei intrecci che regolano la nostra vita, mostrandoci chi muove i fili della storia, spesso ridotta a una tragicommedia dove solo siamo i burattini.

Ci ha proposto con le avventure di Montalbano una formula nuova del romanzo giallo, che già negli anni ’60 con Scerbanenco aveva assunto caratteri specifici di denuncia sociale radicata nella realtà italiana. Nella sua narrativa che si muove tutta intorno alla sua isola, un linguaggio particolare dove impasta l’italiano con il dialetto, non solo nei dialoghi ma anche nella narrazione in terza persona, racconta i fatti, i personaggi, le emozioni, calandoci immediatamente nel clima della sua Sicilia fatto di paesaggi, odori, abitudini alimentari, comportamenti, bellezza del suo mare e delle sue coste ma anche scenario di crudeltà, di violenza, di omertà.

Lui stesso considera Montalbano la sua invenzione più felice , ma non certo per il risultato economico di milioni di libri venduti in tutto il mondo, quanto per quello che la creazione di Montalbano gli ha regalato: la possibilità di far conoscere la sua terra e la sua gente a un pubblico vastissimo.

In una sua intervista gli chiesero quale era l’origine del nome del suo commissario.

“Avevo scelto il nome del commissario per gratitudine nei confronti di Manuel VasquezMontalbán, (lo scrittore spagnolo che ha messo come protagonista dei suoi romanzi gialli il detective Pepe Carvalho) Leggendo un suo libro, Il pianista, ebbi un’illuminazione: capii come dovevo disporre i capitoli de Il Birraio di Preston e perciò per gratitudine chiamai il mio personaggio Montalbano, che del resto è un cognome diffusissimo in Sicilia”.

Nel romanzo Il cane di Terracotta, Camilleri ci dice che anche il suo commissario legge Montalbán. Perché leggere significa uscire dalla propria storia personale per allargare l’orizzonte alla ricchezza infinita di altre vite. Così la letteratura si fa anche meta-letteratura raccontando se stessa.

“Il commissario stava leggendo un romanzo giallo di uno scrittore barcellonese che l’intricava assai e che portava lo stesso cognome suo, ma spagnolizzato Montalbán”

Ma Montalbano si distingue dal suo omonimo spagnolo. Lui è un pubblico ufficiale di polizia, Carvalho è un detective privato. Entrambi amano la cucina, ma Moltalbano preferisce piatti semplici e genuini della tradizione siciliana, mentre Carvalho cucina piatti elaborati e raffinati. Per entrambi i libri sono importanti ma lo spagnolo li brucia dopo averli letti, Montalbano li conserva gelosamente nella sua libreria.

Creare un personaggio come il commissario Moltalbano, come i suoi collaboratori, le varie persone che incontra durante le sue indagini, capaci di entrare nell’immaginario e nel cuore dei lettori, storie che non perdono fascino nel passaggio alla serie televisiva che ne ha esaltato le caratteristche, non è cosa facile. Solo un grande narratore è capace di produrre una tale magia.

Camilleri sa che il commissario Montalbano morirà con lui. Nel suo rigore non poteva lasciare che la sua più amata creatura semplicemente scomparisse con la sua scomparsa. Per questo già da tempo ha scritto l’epilogo della sua storia, custodito gelosamente nella sede della Sellerio, l’ultimo libro che per sua volontà sarà pubblicato solo dopo la sua morte. Lo scrittore e il commissario se ne andranno insieme dalle nostre vite ma mai dalla nostra memoria.

In ogni suo scritto, Camilleri ci ha interessato, divertito, istruito e ci ha mostrato i meccanismi del potere, con le sue parole di scrittore e di uomo fino all’ultimo ha coraggiosamente segnalato ogni attentato alla democrazia e alla giustizia, in cui ha sempre creduto, additandoci l’impegno sociale e politico come l’autentico valore di una vita. Forse per questo gli ignoranti, i meschini, i succubi, mai cittadini e sempre sudditi, si sono scagliati sui social contro un uomo di grande spessore culturale e morale, in questo momento impossibilitato a difendersi. La storia giudicherà queste viltà e innalzerà il nostro Tiresia all’Olimpo che gli appartiene.

Per gentile concessione dell’autrice e del blog Cinquecolonne

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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