Ancora primavera
Vista una seconda volta
la schiusa non perde d’innocenza:
il fiore che esce dalla terra
velenoso dispiega il suo mistero.
Così il prato, già nuovo, più verde
nella svolta collinare di una via.
Così il sole, tornato in pieno volto
quando la lingua bianca di un sentiero
porta fuori dal bosco.
Tutto è vero
come la prima volta:
la tua ombra appena più alta
la tua fame meno ingorda,
quello che prima hai sperato
e poi disperso,
quello che in bilico scivola
tra cuore e sguardo
e retrocede nuovamente
all’inverno.
***
All’origine, di fronte a un fosso, resti a guardare.
Piano te lo bevi il microcosmo
lasci all’aria i suoi castelli e stai lì
carponi, per il gusto di sporcare i ginocchi.
Poi, sembra qualcosa mutare
il cielo s’adombra di nubi e leggeri
appaiono gli approcci di ieri.
Cerchi di più e lo trovi, lo apparecchi
per grandi sentieri. Orbite di cannocchiali
e microscopi, lenti deformanti e sieri.
Resta, riso a singhiozzo, deposta verità
ciò che ancora si mostra:
atto inerme, senza volontà.
***
Un tempo, e non era tale. Il Tempo
che tutto orizzontale
resta uguale. Le parole giocano,
ti tentano a sorte e un gran ballo
si dà con le cose dattorno:
l’ironia è vestirsi da signori
per uno specchio senza fondo.
***
Prima di Pasqua
C’è silenzio. Regna nell’orto
l’angoscia del possibile. Tutto,
istante propizio, in questa resa ha inizio.
Ti stringi nella tunica, fa freddo
umida l’aria ti trafigge, rovi ti segnano
i ginocchi, crepe sulla terra si aprono.
E lì, in pace notturna tra amici
sedotti, ora lasciati a dormire
nella resa, sospesa al tuo gesto d’aiuto
incautamente evitato, lì
nel vivo, rigoglioso deserto
si stendono impassibili, alte
– e nell’attesa si fanno presagio –
le braccia della croce. E tu ritorni
al suo incrocio fatale, il Senso.
Risalgono dal monte, in fila, lanterne
strepitano da ombre in ascesa
ironiche ingiurie. E ancora
ti raccogli, solitario, in preghiera.
Poi discendi – ultima discesa –
e sei tra loro, in fede, già compiuto.
Si arma la mano del compagno
scocca sordo il bacio dell’inizio.
***
A me stesso, pensando a mia figlia
Il bene non c’entra e non prova
nulla, se non l’atto di pensare
per poi riferire o tacere quanto appreso.
Cedere a una domanda, urgente
misurare la convenienza di paradisi o morti
viste in anticipo, calibrare intuizioni.
Educare e poi vedere,
malvagia resistenza,
la pianta fiorire e cercare
altre autorità. Sapere che i frutti
sono vivi nel mondo.
Che la tua mano – dimenticando– li sostiene.
di Alex Caselli, per gentile concessione dell’autore, poesie tratte dalla raccolta in preparazione dal titolo “Le parti illese”.
Alex Caselli è nato a Castelfranco Emilia nel 1983 e vive ad Anzola dell’Emilia. Come poeta ha pubblicato la raccolta Giardino (2010), già segnalata al concorso Iceberg 2008 di Bologna. Cura una collana di poesia per l’editore Con-fine. Ha pubblicato libri di storia locale e scritto di critica letteraria su periodici e riviste.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.
Foto dell’autore a cura di Alex Caselli.