Cap.I
Maya si tolse le mutande rabbrividendo. I piedi nudi e ossuti avanzarono di qualche passo verso la sedia. Terrorizzata, aprì le gambe, docile. L’uomo le si avvicinò senza guardarla più di tanto. “Ferma così”. Era inespressivo, anche lui, un freddo ingranaggio del nuovo sistema. Dopo qualche attimo, le ficcò nell’utero un grosso tubo ricoperto di materia gelatinosa.
“Bene bene, il collo è già dilatato. Di quanti mesi è? Non l’ho mai vista prima.”
Maya sollevò di poco la testa. Tra il suo corpo magro scorse la pancia gonfia e dura.
“Un mese, forse un mese e qualche settimana.”
Il medico, leggermente perplesso, si collegò alla macchina ecografica. Lei riusciva a malapena a scorgergli il sopracciglio. Ma d’un tratto sentì tutta la sua umanità. Fu un solo istante, lui trasalì, fissando lo schermo. Poi, riassunse la stessa fredda espressione di prima.
“Allora?” disse lei.
“Non sia impertinente. Sono un medico. Lei non è nulla. Non ha diritto a far domande, ma solo a ricevere diagnosi”
Lei ricadde con la testa all’indietro. Anni prima, per una frase del genere, avrebbe potuto denunciarlo. Si sarebbe messa a urlare.
Da un mese era talmente stanca che non aveva nemmeno la forza di pensare al passato. Il futuro la terrorizzava molto di più.
“Comunque, immagino voglia sapere di che si tratta.”
“Certo” disse lei poco convinta. Forse non avrebbe voluto saperlo, forse avrebbe preferito vivere qualche mese nell’incoscienza.
“Ebbene, il Ministero sarà molto contento. Dove è stata inseminata?”
“Al centro del diciannovesimo quartiere, dove abito.”
“Nel diciannovesimo sono sempre pressapochisti. Avrebbero dovuto tener conto del suo peso e della sua età. È solo alla sua seconda gravidanza, vedo. Il primo parto, cosa…?”
“Un coniglio.” Era una delle situazioni più comuni. Quasi tutte, partorivano almeno un coniglio nella vita. Trentun giorni di gestazione e parto in casa. Praticamente senza dolore.
“Ebbene signorina, questa volta la situazione è molto diversa. Lei aspetta un rinoceronte bianco. Un caso rarissimo.”
Maya divenne ancora più pallida. Prossima allo svenimento, tentò di evocare l’immagine di un rinoceronte. Bianco. Ce n’erano altri, di altri colori? Non sapeva quasi nulla degli animali africani, inoltre, perché proprio a lei? Un rinoceronte era grande, anzi, forse enorme. Il medico continuò.
“Il rinoceronte bianco arriva a pesare quattromila chili, maschio e in salute, si intende. Un vero miracolo che il suo minuscolo ventre sia riuscito a concepirlo. Pensi che si era praticamente estinto. Nell’anno del Giudizio, secondo l’archivio dei nostri attivisti, ne esistevano solamente nove esemplari. Oggi il governo è riuscito a riportarli ad una quarantina. Ma tra loro faticano a riprodursi. Si sentono ancora a disagio, poverini.”
Il medico assunse l’espressione tipica del regime: sguardo sognante, sorriso compiaciuto.
“Sa, il rinoceronte bianco, detto anche rinoceronte camuso, dopo l’elefante, è il più grosso animale terrestre. Il suo magnifico corno, causa della spietata caccia nel corso dei secoli bui, arriva a centosettanta centimetri. Prodigioso, non trova? Lei, ha dentro di se un unicorno, un animale sacro.”
Le stava annunciando la sua morte con allegria. Di lei, non gliene importava proprio nulla, era evidente. Del resto, era un medico del Ministero. Umani che detestavano gli umani.
“Immagino si stia domandando se riuscirà a portare a termine la gravidanza. Pensiero lecito. Un cucciolo di rinoceronte pesa circa una cinquantina di chili, ma la fortuna è dalla sua parte signorina. Il corno si sviluppa solamente dopo la nascita, quindi non rischia di sventrarla prematuramente. Non mi guardi così, sono dettagli medici. Riguardo al peso e alla capacità della sua pancia, non si preoccupi. La gonfieremo artificialmente. Il Ministero sarà pronto ad investire grosse somme su di lei. L’aspettano diciassette mesi di gestazione magnifici. Può rivestirsi.”
Uscì scortata dagli infermieri che le misero un bracciale rosso sul polso sinistro: significava, trattamento di riguardo. Anziché prendere un tram, le chiamarono addirittura un taxi, privilegio solitamente riservato ai ministeriali. Il popolo sopravvissuto alle epurazioni del Giudizio era obbligato a viaggiare sui tram blindati, seguendo precisi percorsi e scendendo solo alle fermate concesse. Parigi stava diventando un’enorme area selvaggia e naturale, in cui era pericoloso muoversi a piedi. Ovviamente per i ministeriali il pericolo consisteva negli umani, non certo negli animali che a seconda del loro habitat, si muovevano liberamente tra i loro simili. La capitale in ogni caso era ancora riservata agli animali di piccola taglia e di conformazione europea. Il resto della Francia era stato ricostruito secondo le esigenze di rigenerazione del pianeta. Enormi serre di vetro racchiudevano microclimi atti a far crescere piante ed animali che prima del Giudizio si trovavano prossimi all’estinzione. Oggi all’interno delle cupole protette, si rigeneravano e moltiplicavano. E lì, notte e giorno, nelle cosi dette colonie, lavoravano gli umani deportati. Maya apparteneva alla classe risparmiata. Aveva potuto restare a Parigi, continuare i suoi studi di letteratura antica, a patto che mettesse a disposizione, come tutte le risparmiate, il suo ventre ogni anno, per la ripopolazione dei mammiferi. E adesso si ritrovava con un rinoceronte nella pancia. Diciassette mesi. Un inferno senza fine. Interrompere la gravidanza significava andare incontro ad una punizione atroce; il Ministero prevedeva la morte per inedia, murata viva. Tanto valeva morire dissanguata al parto. Con dignità. In una clinica lussuosa, pulita. No, non le importava nulla né della clinica, né di se stessa. Si sarebbe suicidata volentieri, ma il suicidio veniva punito con la persecuzione dei parenti e amici. Il taxi arrivò davanti a casa. Ringraziò, scese ed aprì la porta. Come ogni giorno, sentì la mancanza dei suoi gatti. Due anni prima erano stati portati in una colonia felina in riva alla Senna, con boschi ricostruiti, prati e case private da condividere con altri animali “salvati” dagli orrori umani. Gli ispettori del Ministero avevano infatti considerato barbaro e brutale tenere cani e gatti negli appartamenti, senza un giardino, delle fontane e un ambiente naturale in cui cacciare e giocare. Pertanto quasi tutti gli animali domestici erano stati trasportati in apposite aree della città, lontani dai loro precedenti “aguzzini”. Avesse almeno avuto un gatto nel ventre, come sarebbe stata felice. Partorire un gatto inoltre era piuttosto apprezzato dal Ministero, particolarmente amante dei piccoli felini. Sua sorella Alicia, tre anni e mezzo fa, aveva dato alla luce una deliziosa gattina, subito portata via dagli ispettori in una colonia adeguata.
Le venne voglia di chiamarla, doveva essere il suo turno di riposo, avrebbe potuto venire a bere un tè; da quando i loro genitori erano stati deportati nei campi di lavoro, avevano cercato di restare unite, anche se a fatica si sopportavano. Alicia non era riuscita a rimanere nella casa natia dopo la deportazione dei parenti, ed era andata a lavorare nei grandi acquari di Parigi, che le fornivano vitto e alloggio in cambio di massacranti turni di lavoro.
“Un rinoceronte?” Alicia spalancò i suoi occhi verdi e affondò il corpo magro nel divano. “Certo che tu sei sempre stata strana sai…”
“Non dipende da me” Replicò Maya servendole una tazza di tè al gelsomino, fornito a tutti dal Ministero. “Mi hanno inseminato non so come… e dove diavolo hanno tirato fuori i geni combinati del rinoceronte bianco poi… non ho mai sentito una cosa del genere…”
“Beh, Cinzia è incinta di un cavallo. Dodici mesi di gestazione e dodici chili di feto da portarsi in giro. Consolati.”
“Ok, ma Cinzia è alta un metro e novanta e pesa cento chili. Forse non morirà. Ed è alla quarta gravidanza mi pare.”
“Quinta”
“Ecco appunto. E mi sembra abbia partorito già due cani di grossa taglia.”
“Due cani, un leopardo e un maiale.”
“Ti rendi conto? Un maiale ed è ancora viva.”
“Per quanto ne so, sta benissimo. Inoltre l’hanno spostata in una villa con piscina, mangia e beve ciò che vuole e non lavora da tre anni almeno. Anche se creperà di parto, se la sarà passata meglio di me di sicuro.”
Lo sguardo di Maya cadde inevitabilmente sulla pancia della sorella, seduta in modo isterico sul divano. Vide qualcosa agitarsi tra il ventre piatto.
“Piantala di guardarmi. Domani, dopodomani al massimo sarà finito anche questo odioso solletico, dato che i giorni di gestazione sono solo ventuno. È un criceto. Un inutile e disgustoso piccolo ratto per il quale non riceverò nemmeno un giorno di ferie. Tu invece…”
Perché aveva chiamato sua sorella poi? Le pessime idee arrivano sempre nei momenti sbagliati. Ci mancava solo qualcuno invidioso della sua situazione. Paradossale.
Non bastasse, un emissario del Ministero bussò alla porta. Tre colpi. Erano loro. Avevano segnali precisi, riconoscibili, per facilitare l’obbedienza.
Aprì. Era un omino basso, della Polizia Verde. Non fu per nulla stupita quando le annunciò che entro due giorni sarebbe stata trasferita in una clinica specializzata chiamata “Coronide”.
Quando l’omino se ne andò, Alicia era rossa d’invidia.
“Ecco, anche tu coccolata dal Regime. Più di un anno in una lussuosa clinica, con tutti i confort, ti rendi conto, avrai piscine per nuotare, passerai il tuo tempo in giardino a prendere il sole mentre io mi ammazzerò come al solito di lavoro in quei maledetti acquari puzzolenti per non parlare… ma perché quella faccia, non sei contenta, stai per andare a vivere in un posto magnifico!”
Inutile ribattere. Alicia era stupida ed egoriferita. Esistono. La maggior parte degli umani sono così. Per questo il Ministero li odiava. L’uomo si era spinto troppo in là col suo egoismo e lo stesso uomo gli si era rivoltato contro. Il Ministero era esattamente questo: una ristretta cerchia di eletti che tentava di eliminare il resto con metodi brutali e spietati. Avevano preso inaspettatamente il potere in Francia da più di dieci anni. Solo una ventina di anni prima non erano che un piccolo partito ecologista ignorato da tutti. La leggenda narra che un magnate, sul letto di morte, avesse donato al partito tutte le sue ricchezze. E quel piccolo, sparuto gruppo di vegani ecologisti con quei soldi comprò un esercito. Assoldarono in segreto diseredati, migranti senza speranza, ex combattenti dalle varie parti del Nord africa. E presero il potere come tutti i peggiori regimi. Con la violenza. Approfittarono del disastroso scioglimento del Permafrost che all’inizio degli anni venti aveva seminato il panico mondiale. Malattie sconosciute si erano abbattute su uomini e soprattutto animali, i più indifesi contro i virus congelati da migliaia di anni nel ghiaccio siberiano. Il riscaldamento globale aveva portato alla luce carcasse di uomini, bestie e con loro, i batteri del vaiolo, della peste e infinite pandemie che tutt’ora affliggevano il pianeta con una virulenza mai vista. L’Europa era in parte salva, grazie al sistema sanitario che da generazioni aveva somministrato i vaccini più comuni a uomini e animali. Tuttavia l’episodio aveva fortemente risvegliato il dissenso verso il genere umano e la sua sete di dominio incontrollabile. Quando in Francia si instaurò la dittatura militare di questo sconosciuto partito ambientalista, il mondo approvò o quanto meno, se ne disinteressò, preso da altri problemi più gravi.
Così, la Grande Operazione ebbe inizio. Chi non era vegetariano da almeno due anni, veniva immediatamente spedito nei campi di lavoro. Il principale programma del Ministero consisteva nel liberare velocemente la Francia dall’ingombrante presenza della civiltà umana. Distrutte tutte le città eccetto Parigi, la nazione diventava giorno per giorno sempre più simile ad un surreale mondo fantascientifico dove diversi microclimi sotto enormi bolle di vetro, ospitavano migliaia di animali e piante delle specie più disparate. Il tutto costruito dalle mani di schiavi umani. I consumatori di carne, chi non aveva mai acquistato un detersivo ecologico né si era posto il problema se il collo della sua giacca fosse di pelo vero o falso, erano finiti a lavare gli escrementi di animali notte e giorno. A tirar su muri e costruire capanne confortevoli per ogni specie di mammifero, mentre a loro, umani, erano destinate luride baracche dove dormire qualche ora in pessime condizioni. Chi invece aveva contribuito prima del Regime alla sofferenza di animali era stato sterminato. Macellai, cacciatori, tenutari di allevamenti intensivi, pellicciai, et similia erano stati freddati senza pietà nelle piazze ai tempi della presa del potere. Altri torturati pubblicamente in modo esemplare davanti agli occhi dei “risparmiati”.
All’epoca Maya era vegetariana da più di cinque anni, Alicia anche, più per dieta che per rispetto degli animali. Ma non i loro genitori, che infatti erano stati deportati chissà dove.
“La clinica Coronide…” seguitò Maya guardando dritta negli occhi Alicia “è un posto dal quale probabilmente non uscirò più… ti dice niente il nome?”
La sorella la guardò col suo fare distratto, toccandosi nervosamente la pancia. Maya raccolse la poca pazienza che le restava prima di cacciarla di casa e cominciare a fare i bagagli.
“Coronide era una ragazza dell’antica Grecia talmente bella da fare innamorare Apollo. Un giorno però un corvo dalle penne bianche riferì al dio che lei l’aveva tradito. Non era vero ma Apollo, cieco di rabbia, la trafisse con le sue frecce. Coronide morente, gli rivelò di aspettare un bambino da lui. Prima di seppellirla, il dio, disperato, le strappò dal ventre il bambino che fece magicamente rivivere, dandolo poi in custodia a Chirone, il centauro…”
Ma Alicia stava già armeggiando con la sua borsa, alla ricerca frenetica di chissà cosa. Del significato occulto di Coronide, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, se ne infischiava bellamente. Nella sua testa aveva soltanto la puzza degli acquari e la sua personale sciagura. Maya decise di non volerla vedere mai più. Del resto, non sarebbe di certo sopravvissuta al parto. Alicia la salutò come sempre, in modo frettoloso, e prese la porta, lasciando Maya sola nel più totale sconforto.
Cap. II
Clemente aprì gli occhi con lentezza. L’odore di tofu grigliato arrivava come al solito fino alla camera da letto. Miguel non tardò a presentarsi con la colazione. Erano sposati da tre anni e ancora ogni mattina Clemente veniva svegliato così, con dolcezza, riso bianco e appunto, tofu grigliato. Il tipo variava dall’umore di Miguel.
Tofu alle alghe giapponesi. Il più comune. Umore standard, probabilmente stamane andava di fretta. Clemente lo ringraziò con un bacio pieno di sonno. Entrambi vegani dalla nascita, uno medico, l’altro direttore d’orchestra, appartenevano, pur senza volerlo consciamente, alla classe dominante. Non appena il Ministero aveva preso il potere, gente come loro aveva cominciato a venir portata su un palmo di mano. Tanto per cominciare erano omosessuali e questo, al Regime andava benissimo dato che escludeva il rischio di riproduzione. Generare un neonato umano era oramai concesso a pochi, generalmente solo ai membri del Ministero. In secondo luogo Miguel era in effetti un ottimo direttore d’orchestra e la cultura, per la classe dominante, rappresentava un fulcro importantissimo. Artisti e impiegati dell’arte, contrariamente al passato, godevano di posti di lavoro sicuri e ben retribuiti e venivano tenuti in grandissima stima dal Regime. Clemente, figlio di un veterinario e di un’insegnante di yoga attivista del Regime, prima del Giudizio lavorava negli ospedali in reparto maternità come ostetrico. Non era mai stato un granché come medico ma aveva un’alta sensibilità che gli aveva permesso di specializzarsi nel pre-parto, affiancando per anni donne in preda a dolorose contrazioni e spasmi. Quando il Ministero prese il potere, venne subito spostato in una delle migliori cliniche: Coronide. Nonostante intimamente non fosse affatto convinto dell’operazione, giudicandola una follia vicina alle teorie naziste, non aveva avuto possibilità altra che accettare. E lì lavorava da oramai quattro anni, addetto ai parti più difficili. A Coronide venivano ricoverate donne gravide di animali preziosi, pressoché estinti, che andavano trattate con la massima cura fino al parto. Molte di loro morivano, ma questo al Ministero non interessava affatto. Anzi, il decesso di un essere umano veniva considerato un sollievo. Tutte le sofisticate macchine e ricerche scientifiche della clinica erano volte alla salvaguardia del feto, che quasi nel novanta per cento dei casi vedeva la luce e veniva poi trionfalmente mandato nelle riserve. Quanto alle madri, se sopravvivevano, dopo un tempo minimo di degenza venivano rispedite alla vita di prima, fino al prossimo concepimento. Naturalmente a loro era assolutamente vietato generare altri umani. Clemente addentò il tofu pensando al pomeriggio che lo attendeva: due parti piuttosto semplici anche se delicati, un topo del deserto e una volpe artica. Le gravidanze “particolari” stavano aumentando a dismisura e di recente aveva notato con orrore che sempre più frequenti erano i casi di animali impossibili, troppo grandi per un ventre di donna. La scorsa settimana una disgraziata di origine nigeriana gli era morta tra le braccia, dando alla luce un cucciolo di alce, il più grande cervide esistente. Il “neonato” pesava 15 chili e la donna non aveva retto. L’aveva sventrata. Invano per mesi il suo utero era stato allargato artificialmente insieme alla cassa toracica, tutto era andato in frantumi, sotto le sue mani. Il piccolo di alce in compenso stava a meraviglia e proprio ieri aveva ricevuto via email le foto della sua crescita in una riserva nel sud della Francia. Il Ministero era fiero di lui, Clemente, responsabile della morte atroce di una giovane donna nigeriana, fatto che non interessava a nessuno. Persino Miguel se ne era infischiato quella sera quando lui, in lacrime a cena gli aveva descritto le sedici ore di lancinante travaglio della povera ragazza. Si era limitato a versargli del vino dicendo che erano i rischi del mestiere. Ma che mestiere faceva, infatti? L’assassino per conto del Ministero? Sarebbe stato ricordato come l’erede di Mengele, forse ancora più crudele, più spietato? Peggio, sarebbe passato agli annali quale successore di Carl Clauberg, il ginecologo folle di Auschwitz. Proprio lui, che prima dell’avvento del Regime era sempre stato vittima di scherzi atroci da parte di tutti, poiché incapace di qualsiasi reazione forte. Timido, introverso, rispettoso degli uomini e degli animali in egual misura, sottomesso alla madre fin da piccolo, ora, si ritrovava vittima di se stesso carnefice. Ptolomeo, il loro Labrador di quasi due anni, entrò nella camera saltando come al solito sul letto. In pochi potevano permettersi di avere un cane. Ma Miguel aveva comprato una casa enorme con un grande giardino terrazzato e dopo vari esami del Ministero, era stato loro consentito di tenere animali. Un lusso inaudito, di cui suo marito andava fiero, sfoggiando ogni tardo pomeriggio Ptolomeo a passeggio per le vie consentite agli umani di Parigi. Lui, invece, se ne vergognava. Sentiva gli occhi di tutti puntati addosso, sapeva che la gente non poteva che chiedersi il perché di un simile privilegio. Chi erano? Due favoriti del Regime? Quel Regime che stava velocemente assassinando l’umanità di Francia? Come ogni dittatura che si rispetti, il Ministero aveva chiuso le proprie frontiere, eliminato la libertà di espressione e comunicava quel che gli pareva al resto del mondo. Mondo ipocrita, che sembrava addirittura amare ed approvare le audaci scelte ecologiste del regime. Diplomatici e rappresentanti delle varie nazioni di ogni continente venivano sovente in visita alle riserve e, anziché inorridire, inneggiavano alla lungimiranza francese verso la salvaguardia del pianeta. Naturalmente le vere condizioni umane venivano occultate. Lo sterminio dei carnivori era segreto di stato e tale doveva rimanere. Quanto al pauroso calo di nascite umano, veniva spiegato come una scelta consapevole per contrastare la sovrappopolazione mondiale. Insomma, il mondo li aveva abbandonati nelle mani di un regime fanatico. Ptolomeo non smetteva di agitarsi tra le lenzuola. Clemente di mala voglia si alzò e gli aprì la porta del terrazzo. Il cane corse gioiosamente nell’immenso giardino pensile esageratamente curato fino a tuffarsi letteralmente nella piscina. Tutto gli era concesso. Simile ad un Dio, Ptolomeo dettava legge in casa. Con fare bonario e tontolone li costringeva a ritmi improbabili notte e giorno, dentro e fuori. Miguel aveva voluto dargli un’educazione libera. Altresì detto avevano un cane fuori controllo che si divertiva a sbranare qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro. E che abbaiava senza sosta. Tuttavia, gli voleva bene. Raccolse il resto della colazione e si spostò al bordo della piscina, guardando il loro aguzzino peloso sguazzare felice. A nessun umano normale era più concesso andare in piscina. Troppo spreco d’acqua. Per contro, ogni casa ministeriale era dotata di grandi fontane e pozze, nonché le cliniche, in particolar modo Coronide, avevano piscine immense. Le future madri venivano obbligate quotidianamente al nuoto, considerato di eccellente aiuto per la crescita dei cuccioli nel ventre. Per non parlare dei laghi artificiali costruiti nelle riserve, e delle cascate, o dei ghiacci e finta neve sotto le cupole climatizzate. All’umano medio invece restava una doccia al giorno, a temperatura ambiente. Meglio se d’acqua piovana. Lasciò Ptolomeo in piscina e andò appunto a farsi una doccia. Coronide l’attendeva. Quelle donne dai grandi occhi pieni di paura anche oggi l’avrebbero guardato mansuete, senza fare domande. Il Regime era riuscito anche in questo: sedare ogni sorta di ribellione interiore, di speranza nel singolo individuo. Tutti sottostavano all’unico ideale possibile, ripopolare la terra di mammiferi eliminando l’unico tra loro dannoso: l’uomo
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Francesca Sarah Toich è un’artista che vive a Parigi e lavora principalmente in Francia, Italia e America. Specializzata in Commedia dell’Arte e letteratura italiana è stata premiata come migliore giovane interprete della Divina Commedia, vincendo per due volte il Lauro Dantesco a Ravenna. Insegna e recita in italiano, inglese e francese in numerose compagnie di teatro e ricerca, ed ha portato le sue performance a New York, Mosca e Tokyo. Da sempre collima la scrittura con le sue performance e messe in scena teatrali; ha vinto il primo premio nel concorso internazionale di scrittura per lo spettacolo “Premio Goldoni Opera Prima” con la tragedia intitolata “Diotallevi” e ha pubblicato due romanzi fantasy per ragazzi. Alle Bestie! e’ il suo primo romanzo di Climate Fiction.
Foto in evidenza: Millo, Beyond the Sea (Monopoli, foto di Lucia Cupertino)
Foto di Francesca Sarah Toich, a cura dell’autrice