“Algeria tra autunni e primavere”, Sana Darghmouni intervista Karim Metref

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Karim Metref a Bologna

Giovedì 28 novembre 2019 è stato presentato il libro del giornalista e scrittore algerino Karim Metref al Centro Studi Amilcare Cabral a Bologna, in un dialogo con Sana Darghmouni e grazie alla moderazione di Francesca Biancani.

 

“Algeria tra autunni e primavere” è un libro che l’autore stesso definisce un instant book, perché l’idea di pubblicarlo è nata dopo le rivolte di febbraio 2019. Ma la cosa che in esso colpisce è che il contenuto non sia stato redatto o scritto in fretta, giusto per scrivere, ma è stato raccolto in anni di ricerca, scrittura, racconti e testimonianze. Sono infatti anni che Karim Metref racconta l’Algeria.

Il libro è composto da una serie di articoli pubblicati negli anni, con un filo conduttore forte e presente, sono articoli autonomi e indipendenti ma con un’unità sia storica che cronologica che culturale. L’autore ha scelto alcuni eventi da ricordare e alcuni personaggi da commemorare: fatti che partono dal 1954. Dieci eventi a cominciare dal più recente, dal 2019 poi un flashback nel passato, usando questa bella tecnica bella. Come se stesse affermando che per capire cosa sta accadendo oggi, bisogna tornare indietro. Il presente si capisce e si legge alla luce del passato.

L’incontro, organizzato dalla rivista digitale La Macchina Sognante, ospite per l’occasione al Centro Studi Amilcare Cabral dell’Università di Bologna, si è svolto in forma di dialogo e di domande e risposte e si è concluso con un interessante dibattito con il pubblico presente.

 

Sana Darghmouni: È  facile scrivere del proprio paese, esiste un vero distacco? Vivendo gli eventi e raccontandoli mentre si vive all’estero, si cade nel sentimentalismo? È facile raccontarsi, raccontare il proprio paese?

Karim Metref: Il distacco non esiste. Scrivere del proprio paese è quanto più si avvicina allo scrivere di se stesso. Scrivere del proprio paese stando all’estero, per avere un minimo di distacco, occorre liberarsi da due tentazioni opposte: essere estremamente critico o estremamente compiacente. Il migrante molto spesso soffre di una nostalgia, per lo più indotta da fattori socio-culturali, che lo porta molto spesso a idealizzare quelle stesse terre nelle quali non era né felice, né in grado di avere una vita decente e che ha preferito lasciare. Oppure, se soffre molto delle ragioni che l’hanno portato alla partenza, odia la terra di origine, e allora è estremamente critico, certe volte fino a negare tutto quello che di buono c’è.
Tenere l’equilibrio tra le due tendenze, è un esercizio molto delicato e complesso.
Noi siamo umani, la perfezione non è del nostro proprio essere, l’oggettività ancora meno.
Io credo che bisogna scrivere essendo coscienti delle proprie soggettività e riconoscendole apertamente.

 S.D.: Perché per spiegare ogni cosa si avverte l’esigenza di risalire alla lotta per l’indipendenza e contro il colonialismo?

K.M.:La guerra di liberazione è l’atto fondante della nazione algerina moderna. Un atto collettivo di lotta per l’indipendenza che fu interrotto sul finale non dalla forza coloniale stessa, ma da un colpo di stato militare portato avanti da un esercito formato nei paesi limitrofi (Marocco e Tunisia) nei campi profughi, e guidato da ufficiali che loro la guerra contro il colonialismo non l’avevano fatta. Un colpo di stato che ha sequestrato il giovane stato sotto il dominio di una classe militare e politica, che lo tiene sotto la sua morsa da allora. 
Ogni volta che gli algerini si ribellano contro quella casta al potere, si ricordano che il loro percorso verso la libertà fu interrotto il 5 luglio 1962. E’ per questo che tutto riporta alla guerra di liberazione. Ancora oggi, con la rivolta del 22 febbraio 2019, la gente continua a portare in piazza i ritratti dei partigiani (quelli veri) traditi dai militari «imbucati» all’estero.
Dobbiamo ricominciare dal 1962. Questa è l’impressione degli algerini. Ridistribuire le carte. Ecco perché chi vuole raccontare l’Algeria di oggi, non può fare a meno di capire quello che successe durante i 7 anni di guerra di liberazione, subito dopo nel 1962 e poi durante i 57 anni primi anni della giovane Repubblica Algerina che si vuole ufficialmente Democratica e Popolare.

 

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S.D.: Da cosa è stata dettata la scelta dei 10 eventi e dei 10 personaggi?  

K.M.: Il libro è figlio anche della fretta di raccontare cosa stesse succedendo in Algeria. Gli eventi si stavano svolgendo molto velocemente e la stampa italiana quando si degnava di dire qualcosina, era del tuo fuori gioco. Ho voluto mettere insieme velocemente abbastanza materiale per raccontare quello che succede e il retroterra storico, ma senza dover lavorare per mesi. Allora mi è venuta l’idea di mettere insieme pezzi scritti nei più di quindici anni che scrivo su varie testate italiane su quello che succede nel mio paese d’origine. Quindi la prima necessità era che fosse materiale già pronto. Per questo libro ho scritto solo 4 o 5 articoli originali. Poi siccome i pezzi scritti in questi anni erano tanti ho dovuto scegliere. La seconda necessità era quella dell’adesione a una linea cronologica e allo sviluppo della situazione attraverso gli anni che vanno dalla fine della guerra fino ad oggi. 
Ovviamente la scelta non è esaustiva. Rimangono fuori molti eventi e molti personaggi importanti.
Ma la narrazione non è mai tutto quello che è successo, ma quello che il narratore ha scelto di raccontare. Questo libro non è un lavoro storico rigoroso. E non è un libro di un giornalista che racconta da fuori. E’ il libro che rende il mio punto di vista, la mia lettura di quello che ha vissuto e continua a vivere il mio paese. Il punto di vista di una persona con tanti anni di militanza politica, di lotte, con opinioni espresse chiaramente nei miei racconti.

S.D.: Perché è importante oggi capire cosa succede in Algeria? E cosa si può fare per diffondere le informazioni e le notizie su questo paese? il ruolo del giornalismo?

K.M.: La ragione per la quale bisogna raccontare quello che succede in Algeria è la stessa ragione per la quale la stampa internazionale fa finta di guardare altrove e non lo racconta. L’Algeria è un paese estremamente importante per gli equilibri di tutta la zona: Africa, Nord Africa, Mediterraneo… L’Algeria è un paese enorme. Occupa uno spazio centrale nel continente africano facendo da congiunzione tra il Mar Mediterraneo e l’Africa Subsahariana. Occupa il centro del Nord Africa. Ha enorme risorse naturali e umane. Fornisce una parte non indifferente dell’energia europea. Ed è stato usato a lungo come alternativa alla totale dipendenza dal Gas Russo. Ha uno degli eserciti più potenti e meglio attrezzati del continente.
E’ un paese che fa paura e nel frattempo fa gola a molti. Finora il regime ha giocato bene sulla scena internazionale distribuendo in modo molto equilibrato gli affari con le potenze internazionali. Europei, Usa, Russi, Cinesi, Indiani, Turchi, petromonarchie del Golfo… Tutti fanno ottimi affari in Algeria. Chi con il petrolio e il gas, chi con gli appalti per le numerose infrastrutture costruite e in costruzione, chi con le forniture di armi e tecnologia militare, chi con la fornitura di beni alimentari e non alimentari per il consumo enorme di un paese in piena espansione e con una popolazione molto giovane… Tutti hanno grandi interessi in Algeria e tutti hanno paura di prendere la posizione sbagliata che metterebbe in pericolo questi interessi. MA il popolo algerino vive male ed è deciso a cambiare le cose. E se le cose non cambiano a favore di un sistema più aperto e più democratico ci sarà un crollo totale. E se crolla l’Algeria è un disastro per tutti. Basta guardare gli effetti del crollo della Libia e moltiplicare per almeno cento volte.

 

Immagine in evidenza: Foto di Veronica Vannini.

Riguardo il macchinista

Sana Darghmouni

Sana Darghmouni, Dottore di ricerca in Letterature Comparate presso l'Università di Bologna, dove ha conseguito anche una laurea in lingue e letterature straniere. E' stata docente di lingua araba presso l'Università per Stranieri di Perugia ed è attualmente tutor didattico presso la scuola di Lingue e letterature, Traduzione e Interpretazione all'Università di Bologna.

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