Al setimu tè Al settimo tè
Rivatz al setimu tè E arrivati al settimo tè
‘i a’n decidut hanno deciso
che no steve scherzant che non stavo scherzando
e’i m’an portat a Udin e mi hanno portato a Udine
ta’l ospedal nell’ospedale
dei matz dei matti
Federico Tavan, Cràceles Cròceles
I
Era febbraio. La quotidianità macerante di un calzino, una saponetta, uno sguardo allo specchio.
Quando il peso diventa insopportabile ci si sente sporche e con i rami rotti.
( Avevo nascosto un abito da sposa sotto la neve, nessuno l’ ha notato)
I mesi perdono peso lontani dal muro e come il sacco della spazzatura si svuota ogni giorno, il mio amore ha gli occhi incollati alla cassetta delle lettere. Nessuno scrive.
A febbraio qualcosa tintinna per conto suo come il campanaccio di un animale, un orologio in un mausoleo, le chiavi in mano a un bambino.
Qualcuno bussa, ma non entra.
Allora inizio a sentire freddo, a notare le briciole di pane per terra, i calli delle mani, le screpolature delle labbra.
Chi mi abita?
E’ un impercettibile scortico nella porta di casa.
II
L’inverno è ingordo di grattacieli sempre-quasi-eterni anche fuori stagione.
Regaliamo mantelli primavera-estate e autunno-inverno per coprirsi bene in caso di evacuazione straordinaria dell’edificio. Regaliamo anche un biglietto per la stagione sciistica.
Non è una promozione, è un regalo.
La neve non c’è ma c’è tanto buon zucchero filato e meringhe a volontà: il paradiso dei bambini.
Niente porte d’ingresso, sì-panico, solo Nude distese a cielo aperto, semmai un rapido check-in, per chi ha voglia di mettersi in coda
III
Era febbraio, tradotto marzo, tradotto era il tempo del polline che fa capolino, inizia a solleticare l’aria come tanti piccoli pollici vorticosi.
La stanza un anfratto docile, reale, mite, quieto.
Era la sobria nudità del cielo, la dolcezza delle cose al loro sbocciare, la luminosità di un viso che non sa.
Prese una ad una delicatamente anche le cose più banali si mettono a parlare.
Per esempio queste tazzine da te se sollevate dai loro manici sprigionano semi di mille-mila fiori, un tappeto di profumi che sembra uscito da una fiaba.
Il dentro e il fuori sono due bocche che si baciano.
Ogni tanto qualcuno starnutisce.
(Una tazzina cade)
IV errata corrige
Le lettere in cassetta sono roba vecchia ora c’è il pane in cassetta.
Si conserva più a lungo, anche la muffa si conserva più a lungo. Meno briciole, meno da fare in casa.
La cassetta però bisogna cambiarla ogni giorno come quella del gatto. O come la spazzatura.
Altrimenti puzza.
La mia l’ho comprata 2 minuti fa’. Vuoi vederla?
V
Primavera…
E se tre petali affannati arrivassero dopo, scusandosi per il ritardo?
Vera è la mente in cui raggiungiamo tutti un piccolo spazio vitale, ci muoviamo e ci aggiustiamo il vestito, i capelli, il cappello, la cravatta prima della….Già fatta.
Il tempo è una scusa, la trovata magica della consequenzialità.
Ora, per esempio quel prurito, o quella macchia nella maglia di cui ti sei accorta, quei riccioli di quel tipo seduto davanti a te, la passione per la collega d’ufficio, l’allergia al polline, il mal di testa, sono elementi tangibili, vicini, radunati qui in un punto preciso della mente che, per l’occasione, è diventata un grande salone da ballo.
Tu sei seduta ad un tavolino un po’ appartato, ti guardi intorno con aria nervosa, roteando insistentemente la tazza da tè.
Quanto tempo è passato?
Un minuto, un anno, un secolo?
Qualcuno ha un orologio?
VI
Alla fine della serata, c’è sempre qualcuno che passa con una scopa.
Uomo, donna, transessuale, bambina o anziana, lei o lui ha atteso fino alla fine per prendere la scena. Tutto si è consumato davanti ai suoi occhi e costei non ha battuto ciglio. Forse non ha nemmeno guardato.
Forse era impegnata a rassettare un’altra sala come quella, in un’altra città o addirittura in un’altra provincia. Come abbia fatto ad arrivare in tempo, nessuno lo sa.
Una scopa, una paletta, un pattume: è tutto quello che serve per recuperare i cocci , i mozziconi di sigarette, i volantini pubblicitari, i fazzoletti, le ciocche di capelli, i centesimi e i chewingum.
Non c’è più nulla che valga la pena conservare.
Non so perché ma va’ sempre a finire così.
Il nero assorbe tutti i colori.
VII
Vale la pena dire degli esseri umani
l’inessenzialità?
Uno straccio stanco nella pianura verderame.
Di che parla la montagna dentro al viso rugoso di un vecchio?
– Non sento.
Cosa dice la rugiada nei suoi occhi liquidi?
– Non vedo.
Due cubetti di ghiaccio si disfano fra le dita,
perciò piangi piangi bambina
piangi prima che l’acqua sola sia
il tintinnio,
la rincorsa fra i ricordi nella pianura verderame.
VIII
Al settimo the
come al settimo piano ci si arriva
aspettando da un momento all’altro
col fiato corto
il gran finale
Se ti butti tu mi getterò anch’io
come se al settimo the fosse normale
la normalità lassù in cima alle scale
con il grembiule, il ragù sul fuoco e
su entra dài che è tardi
Se entri tu io resto fuori
a respirare da qua l’odore che fa
la normalità.
Brani dal work in progress, inedito di Elena Cesari, per gentile concessione dell’autrice.
Elena Cesari abita a Salvaro in un condominio solidale. Nel 2014 esce la sua prima raccolta poetica, Una viola, una pigna, un’ombra (Fondazione Luzi, Roma). A luglio 2015 esce “L’essenziale delle cose perse” (LietoColle) . Educatrice e insegnante di italiano L2 ha condotto e collaborato alla realizzazione di corsi di italiano e progetti sperimentali di teatro e lingua con donne migranti. Attualmente lavora con un gruppo di richiedenti asilo bengalesi. Da tre anni collabora con il gruppo di teatro integrato Magnifico Teatrino Errante, realizzando progetti di teatro integrato e interculturale.
Foto in evidenza di Melina Piccolo.
Foto dell’autrice a cura di Elena Cesari.