Afro Women Poetry si ferma in Uganda! a cura di Antonella Sinopoli

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Carolyne Afroetry

Ipersessualizzazione della donna africana

Feticizzata; quanto valgo è
misurato in taglie del reggiseno e del culo .
L’integrità è compromessa e accantonata.
Parti del corpo identificate, controllate e sessualizzate.
Dicono “è l’ondeggiare del mio bel didietro africano,
la goffaggine del mio seno, lo spessore delle mie labbra e l’arco della mia schiena”.

Oggettivata dai media,
la mia nudità è
spiattellata sui cartelloni pubblicitari,
sui social media, e venduta in video musicali sensuali e in riviste pornografiche.
Barattato in valuta estera
per un assaggio di esperienza esotica.
Visto come promiscuo, venduto per il consumo.
Il mio corpo è solo un passatempo e una peculiare rivelazione scientifica.

Sono un prodotto dell’irriverenza.
Le strade deridono il mio orgoglio.
La società patriarcale infanga il mio nome
con una percezione distorta
del mio corpo.
Lasciva, incapace di amare.
Una donna bellicosa con un insaziabile appetito sessuale.
La mia carnagione è volgarmente apprezzata con commenti sessisti,
ma non rincorsa.
Vado bene giusto per una prova.
Palpeggiami in pubblico, mettimi in
ginocchio perché in qualche modo
la mia storia mi ha reso
una schiava sessuale e la cultura dello stupro non è altro che una leggenda.
Il suo ego deve essere massaggiato.

Stereotipata; sono la proverbiale donna nera incazzata
che sventola il cartello sporco di sangue e che maledice tutti
come se il mondo mi dovesse qualcosa.
Il mondo non mi deve niente!
Promiscua e ipersessuale, con lo sperma battezzata “Gezabele”.
Gli archetipi della mia storia
imbrattano le pareti dei gabinetti
pubblici quale eredità del colonialismo
e sono impressi nella mia coscienza.
I voyeur dei miei antenati in fila
per esser battuti all’asta ritornano
da me in color seppia ogni volta che
la mia femminilità nera va
in scena con una lap dance.

Sono un simbolo di trauma e degrado.
Indosso il velo della vergogna che
Sarah Baartman indossava quando
l’hanno esibita nei Freak show
di Londra e Parigi.

“Troppo”, dicono!
Il mio corpo è troppo!
“Carolyne, quel vestito è indecente.
Non rende giustizia alle abbondanti forme del tuo corpo”.
“I tuoi capelli sono crespi, hai bisogno di
usare un po’ di cera”.
Ecco, non posso controllare come
le mie curve ribelli insorgono nel mio vestito.
Non posso proprio impedire al mio bel didietro di rimbalzare quando cammino.
Aneddoti della mia femminilità ora catalizzata dagli stereotipi lasciano
sgocciolare schegge della mia identità
sulle mie cosce.
Influenzano come vedo
me stessa in presenza degli egemonici ritratti del mio afrocentrismo.
Non sono un oggetto da feticizzare o un corpo che questa società deviata può denigrare
attraverso l’ipersessualizzazione della donna africana.
Indosso questo splendido corpo con orgoglio.

Traduzione di Giovanna Molinelli

 


 

Roshan Karmali

Io sono

Io sono di razza mista, di mezza casta, di mezza specie  e  di colore.
In qualsiasi modo tu la veda,
Il sangue di lui si è mescolato con il sangue di lei,
Si è mescolato con il loro sangue,
Per fare il nostro sangue.
E ora tutto quel sangue scorre
Attraverso le sottili meravigliose vene
Dei miei figli.

Noi siamo il Nuovo sangue.
Sangue africano.
Fummo colonizzati e riorganizzati
Tuttavia camminiamo ancora a piedi nudi
Attraverso un terreno denso e rosso.

Ho capelli birazziali
Occhi di razza mista
Fianchi, labbra, cosce
Vuoi saltarmi addosso, ma non riesci ad ammetterlo?

Sto per rovesciare questa situazione.

Tu vuoi categorizzarmi.
Farmi sentire più “a mio agio” con il mio ‘tipo’.
Ma dimmi.
Dove pensi di trovare
Una un po’ Ugandese, un po’ Inglese, un po’ Indiana
Per non parlare del pizzico di te, tanto per nominarne un po’.

Non abbastanza nera per essere moglie.
Non abbastanza bianca per essere una ‘sugar mummy’.
Non abbastanza asiatica per essere nelle tue cerchie.

Ma questa poesia non è un modo per essere accettata da te.
Questa poesia non è un tentativo di radunare quelle “come” me
Sotto l’ombrello vittimistico delle conseguenze dei nostri genitori.

Questa poesia è semplicemente una testimonianza della mia verità
La mia realtà.
Tutte queste lacrime per tutti questi anni sulla mia identità individuale?
Eppure non ancora capace di vedere la bellezza, nella mia unicità.

Ma non voglio la tua compassione.

Voglio soltanto che tu chiudi nel tuo fascicolo alla nascita
questi preconcetti con cui i tuoi avi ti hanno nutrito
Perché il colore della mia pelle non è una rappresentazione
Dei miei Scopi, dei miei obiettivi.
Il colore della mia pelle non è una rappresentazione della mia anima.

Tutto ciò che i miei genitori hanno fatto.
Era provare. Qualcosa. Di nuovo.
Fare l’amore l’uno con l’altra
Cadere l’uno nelle braccia dell’altra
e celebrare il prodotto della loro bella unione attraverso me.

Sapendo che un giorno
Qualcuno si sentirà orgoglioso mentre
Camminerà col mio spirito.
Così, che io sia un’eccentrica, una sfigata, una barbara o una battona
Sono libera

Quindi dimmi
Vuoi provare a stare con me?

Traduzione di Maria Pia Arpioni



 

Rashida Namulondo

Silenzio

 

Il silenzio non
Calmerà le acque e non ci libererà.
Il silenzio non
Li incriminerà e non li fermerà.
Il silenzio ci imprigionerà
Soggiogherà le nostre anime.
Il silenzio ci legherà le mani
Mentre ci strappano i vestiti
E infilano le mani dentro di noi.
E nemmeno allora
Il silenzio ci farà
Gemere di piacere.

Traduzione di Giulia Cerino

 

 


 

Lillian Akampurira Aujo

Regine ribelli 

 

Un liquido lattescente scivola tra le mie dita
Mentre esploro strato dopo strato
Carne,
Turgore,
Calore,
Bellezza.
Il mio giardino si bagna mentre guardo
Stupita le sue pieghe delicatamente scolpite.
Il suo frutto esplode di succo e sapore.
Scivolo più in basso, affascinata dal suo profumo di femmina
Labbra stampano baci su petali;
Petali stupendi, neri fuori e rosa dentro.
Socchiudo le labbra ohhh
Inspiro uhhhh
Caldo e freddo si alternano sul suo clitoride
Il suo corpo sussulta e trema.

Le pareti si contraggono,
Il succo scorre
La mia lingua assapora.

Succhio e accarezzo,
Mi fermo e lei si contorce,
Ansima dolcemente,
Si arrende al mio tocco delicato,
Si dimena seguendo la mia lingua esploratrice
Geme a ogni sua carezza.
Percorro l’inizio e la fine della sua fessura
E proprio alla fine trovo una via di fuga,

La regina è una ribelle,
Una mocciosa sicura di sé,
che puzza di arroganza,
Senza paura di essere se stessa.

La libertà di scelta –
Indifferenza totale
A decoro e apparenze
Libertà completa
E testardaggine;
Rifiuto della “correttezza”

Lei è una rivoluzione
Che travolge i muri delle convenzioni
Il fragore dello sgretolarsi delle barriere
romba nel mio petto
…e mi chiama…
…mi chiama…

La rivoluzione chiama
Ma io non posso ribellarmi
Non posso abbandonare ogni ragione
Sono bloccata dal buon senso convenzionale.

La guardo conquistare il mondo
Ma io posso solo guardare

La volontà
Il desiderio
Di essere selvaggia
Io non li ho
Sono inerme
Sono
Una stupratrice impotente.

Allora guardo la selvaggia,
La Regina Ribelle
E mi riconosco in lei
Vorrei essere come lei

Ma quando mi sveglio
In un mondo senza muri
L’IO trema impaurito.

Perché abbiamo paura di loro?
Delle selvagge
Delle Ribelli
Delle anti conformiste?

È una paura stupida
Basata su un malinteso
Ovvero che integrarsi
vuol dire essere buone
Essere istruite
Essere tranquille

E quindi creiamo la pace per chi ci sta attorno
E ci facciamo travolgere da una travolgente rabbia interiore
Una rabbia che sistematicamente limita l’IO
ammanettandolo, mani e piedi,
Impedendogli di volare via

Allora la guardo,
La Regina Ribelle,
E mi riconosco in lei.
Nelle Regine Ribelli
L’IO trova una via di fuga.


Traduzione di Stefania Gliedman


 Susan Kiguli

Tre fotografie di mia madre

Il suo viso osserva
perfetto
la sua sensualità elettrica
in un abito corto e calze velate satinate
le ragazze degli anni Sessanta
belle da non crederci.
Guarda attraverso l’obiettivo
come se il suo posto fosse qui e altrove
incantevole e incantata
dai tempi in cui i sogni di libertà erano freschi
le ricchezze dell’Uganda
calde e frizzanti.

Mia madre negli anni Settanta
più cupa, ma dalla pelle
ancora senza un difetto
gli anni graffianti, delicati sulla sua giovinezza.
Il corpo avvolto in un lungo vestito di nylon
che si ferma alle caviglie e
dalle maniche lunghe che accarezzano i suoi polsi
un celato dolore nella sua postura
il vestito largo
non perché
è vedova (come stabilito dal Governo)
sebbene sia un decreto di Governo.
Il suo splendore e la sua eleganza
sembrano far fede al nome del vestito
Amin nvaako*.

Mia madre negli anni Novanta
capelli corti, taglio netto
che intrappola i suoi ricci intricati.
Indossa un busuuti**
indice dei tempi
un ritorno alle origini, una scoperta di
una pace incerta
la maturazione di una donna e di una nazione
un avallo del riconoscimento dei tumulti
è segnata dal tempo
una pausa per contare le sue perdite e le sue fortune
e una mano sul timone del futuro.

* Amin Nvaako significa Amin lasciami essere o Amin lasciami in pace

**Busuuti, lungo abito tradizionale colorato

Traduzione di Giovanna Molinelli

Per gentile concessione di Afro Women Poetry. Per consultare il sito e scoprire le varie tappe del progetto, seguitelo nel portale aggiornato costantemente anche con news che riguardano poete africane contemporanee che non rientrano nelle specifiche tappe.

Riguardo il macchinista

Pina Piccolo

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturale che per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com

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