residui, desiderio e rigenerazione
di Andrea Ottolia
I residui, le accumulazioni e gli accostamenti improbabili sono strumenti di cui da tempo si serve la contemporaneità. Essi si trovano di frequente anche nel lavoro di Arianna Carossa ed anzi ne costituiscono elemento qualificante e identitario. Questa presa d’atto, per così dire “iconografica”, attiene però alle mere considerazioni di superficie.
Al centro di questi lavori compaiono sempre residui (elementi figurativi marginali, dettagli, cocci di porcellana o corazze d’aragosta) che si scoprono straordinariamente preziosi: nei colori, nella materia o nella derivazione talvolta indecifrabile ma sempre connotata da un’elegante improbabilità.
Questi residui non sono ciò che rimane del godimento: non veicolano la testimonianza melanconica del banchetto che si è compiuto, non rappresentano l’eco (estetica o concettuale) della vitalità. Non sono neppure accumulati o giustapposti per creare l’ennesimo decontesto in grado di far emergere il sommerso dell’artista o di chi ne osserva l’opera.
Si tratta di interventi che vivificano la materia inerme e la rigenerano attraverso l’espressione del desiderio. Questa rigenerazione non si compie sul piano del simbolo o dell’immaginario ma prima di tutto su quello del reale. Non sono ready made concettuali ma vera materia rigenerata (e per questo ogni volta irripetibile) attraverso il lavoro di un’artista che non “indica” ma “fa” il mondo, che ricerca (e ci fa ricercare) il senso della vita non in una mera decifrazione ma nella sua reale rigenerazione.
il filo di Arianna
Spento poi filo
riacceso e lucerna
nel cuore della notte
rossa fra fumo di zoccoli
e cenere nel cammino
che s’ascolta soffiare
col volto nella fiamma
l’arnia nel petto del carbone
passo dopo passo
trick poi trick e poi track
nella fonderia del tempo
dove sfora il nitrire d’Anghiari
scalpiccio d’acqua lava
sasso e germoglio immune
rosa nelle orme dell’orecchio
d’una scimmia golosa, ala
che freme nel miele strepitio
millenario dell’apicultrice
che scompare adagio
senza fondo fra nudi
cerchi e canti del dolore.
Walter Valeri
Inedito,Imola 3 agosto, 2019, per gentile concessione dell’autore.
decidere di non farne parte
“Sono interessata al sistema dell’arte nella misura in cui posso decidere di non farne parte.
Per anni ho tenuto lo sguardo fisso su tre centimetri di esistenza. Poi ho spostato la testa e mi sono accorta che intorno c’era un mondo in cui potevo correre nella direzione che sentivo più congeniale. E la mia direzione è quella della ricerca e dell’esplorazione, non solo per ciò che concerne la mia pratica artistica, ma anche nello studio del mercato e della sua struttura.” (Arianna Carossa)
Arianna Carossa Nata a Genova vive e lavora a New York. Inizia la sua carriera come pittrice esponendo nel 1999 all’Arc Gallery di Chicago alla Biennale d’arte contemporanea a San Pietruburgo presso il Manage del Museo Ermitage , alla Biennale degli artisti del Mediterraneo in Tunisia; nel 2005 sposta il focus della sua ricerca sulla scultura trasferendosi poi nel 2010 attraverso il premio dell’ISCP a New York dove attualmente vive. Nel suo lavoro fa uso di una gamma di tecniche diverse, come la pittura, la scultura la performance. Nel 2014 esce il libro “The aesthetic of my disappearance “ lanciato dal Moma/PS1. Ha partecipato al sessantesimo premio Faenza per la ceramica. Espone a Documenta 11 kunstbalkon a Kassel, al MACRO di Roma, Lower Manhattan council di New York, Fondazione Antinori, Firenze, Vittoriano a Roma, Museo di Villa Croce a Genova, Museo dellla Miniera di Citta’ del Messico, Istituto Italiano di cultura di Citta del Messico, Mic Faenza, Ps1 New York.Museo Carlo Zauli Faenza, in collaborazione con Comune di Faenza, Associazione Italiana Città della Ceramica,Tiziano Rondinini.