A sud delle cose (II parte) (Pasqualino Bongiovanni)

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CLANDESTINO
Si smagliano

i lacci

che stringono

le scarpe,

e cede

insieme a loro

quella volontà ostinata

che da sempre,

come roccia profonda,

mi incatena al suolo.

 

Si allentano i passi

e non trovo lavoro

né indirizzo

né casa.

 

Vivo,

clandestino

ma vivo,

e senza numero

né nome,

fuggo gli elenchi,

le voci e gli sguardi

curiosi di sapere

o catalogare.

 

Si smagliano

i lacci

delle mie scarpe

e poco importa

(tornerò a camminare

a piedi nudi

come da fanciullo

per le strade

del mio paese);

ma cedono

quelle stringhe

che tengono in piedi

la vita intera,

e muoio,

mille volte al giorno

ad ogni passo

da clandestino

muoio.

 

LE GEMME DA INNESTO
Quella che da fuori si vede

è soltanto una

delle nostre innumerevoli vite,

soltanto uno

dei nostri maledetti mestieri.

 

Come per delle lettere

iniziate con molti errori,

di tutte le vite precedenti

ne abbiamo strappato le pagine

buttandole chissà dove.

 

Abbiamo migliaia di vite

che nessuno vede

nascoste nelle ossa,

nelle mani callose di zappa

e di piccone,

nelle schiene curve sopra i tetti

di migliaia di case

che mai saranno

nostre.

 

Abbiamo vite silenti

cariche di dignità

che nessuno ha mai ascoltato.

 

Siamo stati commercianti,

chimici e ingegneri,

contadini, fabbri,

falegnami e infermieri.

 

E qualcuno di noi

era perfino un maestro

che insegnava ai bambini

a leggere fiabe

e a scrivere il proprio nome,

quello che molti ora

non sanno più pronunciare.

 

La nostra

è vita riciclata,

come la carta, il vetro,

il ferro da buttare.

 

I nostri indumenti

sanno di tabacco amaro,

di calce e di cemento,

di sudore sanno.

 

Siamo l’odore guasto

sugli autobus,

siamo i denti mancanti

di un sorriso,

le camicie sbagliate

su pantaloni di lana.

 

Siamo carne da bastimento,

viscere di stiva.

Siamo il nero

di una notte senza stelle,

pecore da recinto,

sorvegliati spesso

al limite con la galera.

Siamo vagoni abbandonati

adibiti a case.

 

Siamo la cronaca nera

il capro espiatorio:

per qualcuno che sbaglia

migliaia ci accusano,

per tanti sfruttati

che lavorano

nessuno ci assolve.

 

Così,

della vita più recente

ne abbiamo nuovamente

strappato la pagina

buttandola chissà dove,

ma per tutte le nostre

vite future

avremo ancora speranza,

e voglia di ridere

e ballare

e bere.

Avremo ancora

voglia di scrivere

e magari un giorno,

forse sull’ultima pagina,

riusciremo

a farlo anche bene.

***

E voi,

come è scritto,

non lasciatevi turbare,

dal solo albero

che il fulmine abbatte e sradica

con grande frastuono,

ma compiacetevi,

invece,

per tutti quegli altri alberi

che nel bosco,

silenziosamente,

continuano a crescere

e a fare una, cento,

e mille altre vite.

Perché noi oggi

siamo gemme da innesto

capaci di dare buoni frutti

anche con altre radici

e su altri rami.

 

FRATERNITÀ
È assai triste

vivere

seduti

sulla pagina

sgualcita

della propria

solitudine.

Più saggio

sarebbe

forse

tendersi la mano

e

in un abbraccio

adagiarsi

l’uno

sul cuore

dell’altro,

come fanno

al vento

le spighe

del grano.

 

MANI DI DONNE
Erano livide e fredde

le mani delle donne

curvate a lavare lungo il fiume

o alle vasche di cemento

al Muraglione.

Unghie consumate

a raccogliere olive

tra foglie secche

e pietre d’arenai,

a raschiare la terra

(come galline e cani)

per scovare patate

o in cerca di cicoria e talli

lungo i sentieri.

Erano mani di donne

a infuocare i forni,

a impastare

la farina con l’acqua

e la fatica col sale.

Mani a sfogliare vigne

come pagine di calendario

e di un anno intero

da strappare amaro.

Mani pazienti

a rammendare la vita,

mani a tessere

dentro al telaio.

Mani forti

ad ammaccare il pane,

il pane duro e nero

dentro al mortaio.

Mani azzurre

a sciogliere al pozzo

la pietra del verderame,

mani d’inchiostro

immerse nel mosto

in cerca di raspi

da ripulire.

Mani bambine

che portano il sonno

tenere e dolci

mani a cullare,

giunte e silenti

nelle notti fredde

sotto le coperte

mani a pregare.

 

Erano queste

(e lo sono ancora)

le mani di molte donne:

mani amorevoli e calme

che pure non vennero

sfiorate mai

da due labbra d’amante,

da un bacio galante

o una carezza appena.

 

IL TRENINO SFERRAGLIA
Dal cuore di Roma

Porta Maggiore,

bussola di acqua e di marmo,

guarda al sud delle cose

e indica il cammino.

 

Il trenino sferraglia

sulla Casilina

col suo carico di digiuno

e di spezie orientali.

Tor Pignattara,

ferro e catrame,

è incrocio del mondo,

non più stiva

né onde,

né carretta del mare,

ma strada dritta

che stride e trema

sotto le rotaie;

e a Grotte Celoni,

capolinea dei poveri,

ad attendere immobile

c’è altro cammino

e tutta la pazienza

necessaria a percorrerlo

senza inveire.

 

Da qualche parte

si ha almeno qualcosa

che somiglia ad una casa.

 

La preghiera

stasera

è per altri fratelli,

per quelle speranze

impresse negli occhi

che a largo di Lampedusa

sono state invece

inghiottite dal mare.

 

Bastasse amare

per far nascere amore!

 

Poesie tratte da “A sud delle cose” di Pasqualino Bongiovanni, Edizioni Lepisma, Roma, 2006, per gentile concessione dell’autore.

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Pasqualino Bongiovanni è nato nel 1971. Ha pubblicato la sua opera prima dal titolo “A sud delle cose” (Roma, 2006), una raccolta che vanta la presentazione di Mario Rigoni Stern, uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento (scomparso nel 2008).  L’opera è stata poi tradotta prima in spagnolo da José M. Carcione e pubblicata in Argentina in edizione bilingue con il titolo “Al sur de las cosas” (Buenos Aires, 2012), e successivamente in inglese da Giuseppe Villella e pubblicata in Canada in edizione bilingue con il titolo “To The South of Things” (Thunder Bay – Ontario, 2013). Attualmente Marie Marazita, giovane intellettuale francese di origini italiane, si sta occupando della traduzione in francese della stessa raccolta, mentre è in corso di pubblicazione una nuova edizione in italiano dell’opera insieme ad un audiolibro interpretato dall’attrice Aurora Cancian.

 

Foto in evidenza di melina Piccolo.

Foto dell’autore a cura di Pasqualino Bongiovanni.

Riguardo il macchinista

Maria Rossi

Sono dottore di ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche e Iberoamericane, ho conseguito il titolo nel 2009 presso L’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Le migrazioni internazionali latinoamericane sono state, per lungo tempo, l’asse centrale della mia ricerca. Sul tema ho scritto vari articoli comparsi in riviste nazionali e internazionali e il libro Napoli barrio latino del 2011. Al taglio sociologico della ricerca ho affiancato quello culturale e letterario, approfondendo gli studi sulla produzione di autori latinoamericani che vivono “altrove”, ovvero gli Sconfinanti, come noi macchinisti li definiamo. Studio l’America latina, le sue culture, le sue identità e i suoi scrittori, con particolare interesse per l’Ecuador, il paese della metà del mondo.

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