Sembra che il fascino esercitato dalle esternazioni rabbiose dei poeti statunitensi, che vanno dallo Yawp di Walt Whitman all’ Howl di Allen Ginsberg, non accenni a scemare a livello internazionale e l’ultima testimonianza è appunto la recente antologia di giovani poeti italiani legati al Giornale di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma intitolata “YAWP: L’urlo barbarico – Antologia poetica”, a cura di Antonio Merola, Michelangelo Franchini e Silvia Micheli, pubblicata nel 2016 dalla YAWP Edizioni. Si tratta di una raccolta antologica di 8 antologie poetiche di giovani poeti dagli pseudonimi facebookiani (e non a caso è da lì che sono arrivati a lamacchinasognante.com), dai titoli che vanno da un classico “Meditazioni”, all’inversione presente ne “Dalla tomba alla culla”, al vagamente surreale “Variazioni sui miei basilischi”, all’immagine da comic strip “La ragazzina dai capelli rossi”, al burocratico classicheggiante “Memorandum”,
Nell’interessante ed esauriente prefazione di Francesco Muzzioli si parte rispondendo in maniera paradossale alla domanda se esistono ancora i giovani:
- “Da un lato, si può rispondere di sì: nella società della “giovinezza obbligatoria”, esistono come modello (si potrebbe dire, come “astrazione determinata”) e quindi come fantasma, se non altro come oggetto di invidia degli anziani, verso chi può essere giovane senza ricorrere a diete, creme, chirurgie, e quant’altro serva a rattoppare le ingiurie del tempo. Ma da un altro lato si deve rispondere di no: i giovani di oggi non corrispondono all’idea di nuove generazioni che si affaccino al mondo in modo combattivo e contestino le generazioni precedenti e lo status quo con la prospettiva di reinventare tutto da capo. In un certo senso lo stesso sistema dell’omologazione che li erige a modello li costringe però, se vogliono entrare a farne parte, a invecchiare precocemente o a conformarsi a una versione preconfezionata e standard”. (p.5)
Questo naturalmente non toglie che alcuni di loro si avvicinino per vari motivi alla poesia, ma anche qui Muzzioli evidenzia una strana a analogia “ […]l’incontro tra i giovani e la poesia, a pensarci bene, è l’incontro tra due emarginazioni: allo stesso modo con cui essi sono confinati nell’“esercito di riserva” rispetto al mondo del lavoro, così la poesia si trova esclusa dal mercato e ridotta a pratica privata.” (p.6)
Per capire meglio di che cosa parliamo e a che cosa alludiamo quando parliamo di urlo barbarico riporto nella traduzione italiana la poesia di Walt Whitman nella quale figura l’espressione:
Il canto di me stesso
Mi contraddico?
Molto bene, allora, mi contraddico,
sono largo, contengo moltitudini.
Mi concentro su chi mi è vicino, aspetto sulla soglia della porta.
Chi ha compiuto la sua giornata di lavoro? Chi ancora prima avrà
finito la cena?
Chi vuole camminare con me?
Parlerai prima che me ne vada? O quando sarà troppo tardi?
Il falco picchiettato mi vola accanto e mi accusa – si lamenta delle
mie chiacchiere e del mio perdere tempo.
Neanch’io sono domato, neanche un po’ – anch’io sono intraducibile,
emetto il mio barbarico urlo sopra i tetti del mondo.
Walt Whitman, Foglie d’Erba, trad. Igina Tattoni, Newton Compton editori, Roma, 2007
da Ed. integrale 1856
Nonostante la presenza di numerose poesie dall’andamento giocoso, quello che accomuna la pratica privata della poesia dei vari autori sembra essere non solo il desiderio della decostruzione dell’io ma perfino del suo annichilimento, la volontà di cancellare il soggetto (che, come ricorda Muzzioli, avviene in un primo momento assumendo uno pseudonimo, a prescindere dal fatto che alcuni casi come Rocco Schmidt, o Lev Pyotr si tratti di divertenti allusioni letterarie)
Charles Dexter Ward, l’autore della raccolta 1 estratto, tratta il tema dell’annullamento senza mediazioni. Ad esempio nella poesia “Elogio dei suicidi” scrive, Guarda Jan/ e Jacopo/ e Yukio e / il monaco, loro hanno compreso / che non c’è salvezza / fuori dall’immolazione!, tema che poi riprende nella poesia successive “Una nuova torcia s’infiammerà “Guardatemi / e vi darò un bel rogo / meglio di Jan e Giovanna… Non ho altro calore / che questo calore / e la speranza / che bruci la storia / e voi tutti con me / e poi, in chiave più esistenziale, nella poesia “La decomposizione di Marx”.
Altri poeti anelano invece ad andare oltre la materialità della vita, osservata in maniera scettica. Per esempio Charles Folie che apre il volume con la raccolta “Adieu”, già nella prima lirica allude a “l’imperitura agonia del se fossi”, per approdare a immagini quasi sadiche “ Noi siamo….. mostri/ che irrorano petrolio / dal cuore. Cosa che si ripete nella raccolta di Lev Pyotr “Meditazioni”, nella poesia “Chimerica illusione“, …. Squartami l’anima perché ormai non ho niente per cui restare. / Squartami la gola perché sono stanco di respirare…. / e che qualcosa di positivo possa scaturire del lento abbandono della vita dai miei occhi.” conclusione che associa la morte alla ricerca della bellezza, unica cosa ancora possibile. Iuri Lombardi nella raccolta “Capodanno metropolitano” presenta la suggestiva figura dello ‘sposo d’inverno’ che rimescola gli ipocriti, candidi elementi delle festività invernali, abbinandole alla nebbia e alla ricerca di coca nei magazzini metropolitani, collegandoli alla ricerca dell’oblio .. “già smonti l’abete bianco / addobbato a festa… e conclude “…. domandi al primo arrivato: “Quanto?”, / ti consideri uno sposo d’inverno e per certi versi / ne sfumi la leggenda. / Su certi abeti nei paesi in lotta ci impiccano i dissidenti/.
Skara nella raccolta “Variazioni sui miei basilischi” si districa tra diversi registri poetici. Ad esempio nella poesia “Dopo” evoca in maniera asciutta l’insufficienza che la vita le ha assegnato, Sempreverde era vivere / poi divenne vuoto e stretto / condizione che la porta verso il desiderio di annichilimento già menzionato per gli altri “Oggi anelo i fuochi di me stessa / o i postulati di una leggerezza precisa”. O più tardi “crollo come / una città nemica ‘ per assumere poi tinte piuttosto fosche nella poesia “Referenze d’assunzione” (con la sua allusione al mondo del lavoro e del denaro in cui ritrova il mitologico Baal) che si conclude con la poeta che offre le sue scuse al dio del denaro per la propria viltà che le impedisce di scorticarsi (offrirsi in sacrificio) e fargli bere “Il rintocco disabitato / della paura/. Mentre in “Funzionamento“ si passa a un registro scientifico da resoconto burocratico: Erano le 13 e 08. /Un cielo-strato./ Analizzavo la mia identità di soggetto /per scoprirvi una grave forma di accanimento esistenziale. E più tardi “Studiavo l’algebra delle tue vene tu eri in un sogno persecutorio. Poi quasi per alleggerire il tono, arriva una poesia quasi palazzeschiana “Evviva” che con ironiche allitterazioni “Sono una sintesi senza scopo, / sangue, / silloge di simboli, /sigaretta e sigillo di sistemi silvani sita alla tua sinistra,/ con l’esortazione finale Sentiti volante, vela, vivo.
Nella raccolta Memorandum di Rocco Schmidt si passa a liriche molto più stringate e legate al corporeo: Avevamo l’abitudine di annusarci /come fanno gli animali /di capire l’identità, l’eventuale genealogia.. E’ interessante che la vicinanza al corpo quasi per metonimia lo induca a scrivere una poesia in cui vengono personalizzati gli abiti. Potrebbe sembrare anche questa un’intenzione giocosa, però vista nell’ottica della rinuncia all’io che si respira nell’antologia potrebbe far pensare, “Chiamare gli abiti per nome, sedare le sommosse / dei calzini spaiati / contare i fori / dell’ultima cintura…. Ecco qualcosa che rende il senso di amare /di stare indosso..
Carlo V autore de “La ragazzina dai capelli rossi”, il totem da comic strip degli amori non corrisposti, offre una struttura interessante tra vecchio disco di vinile Lato A e Lato B e la playlist con frammenti di canzoni numerate e ibridi letterari come “I dolori del giovane Carlo” che finisce con il frammento 10 Werther in e citazioni da Vecchioni.
Per un primo assaggio di lettura dal vivo delle poesie dell’antologia, la varietà di interpretazioni e di tentativi di approcciarsi al pubblico, ecco il video di una esibizione del gruppo di poeti:
L’urlo barbarico evocato dal titolo si manifesta in varie liriche e a prima vista si potrebbe leggere come elemento vitalistico, una sorta di ribellione all’annullamento dell’io adottato programmaticamente dagli stessi poeti, da rivendicare e urlare sopra i tetti del mondo per affermare il diritto all’esistenza. Ma come avverte Muzzioli nella Prefazione è un procedimento complesso. Per i giovani che non hanno altro che il sè ( l’egotariato) esiste anche un forte scetticismo verso l’atteggiamento di protesta e una sua possibile efficacia, cosa che spinge alcuni verso la contemplazione o la ricerca della meraviglia corporea.
Ad esempio “ Lo strazio urlante / non troverà che eco “ nella poesia di Joe More, nel contesto di una valutazione dell’esistenza in cui ”la vita è crudeltà / e la crudeltà è vita. ” che riecheggia nella struttura Keats ma in chiave pessimista e in Charles Dexter Ward nella poesia “La decomposizione di Marx” … gridavo e sbraitavo/ come certi pazzi in cella — perché non c’è vita su Marte o nei poeti / e allora cosa mi resta, / se non l’eco delle mie grida, / quando resto solo la notte? L’urlo sembra rimanere una solitaria protesta esistenziale mentre in “Digrignanti bastardi” lo stesso poeta sembra invece denunciare chi disturba la contemplazione de “la tremenda meraviglia/del dramma cosmico coloro che reagiscono esternando sdegno gridate il vostro odio / gridate per non sparire sembrano compromettere quest’ultima possibilità di bellezza che rimane.
Forse a causa di tutto il lavoro teso a decostruire l’io, quello che mi colpisce delle varie raccolte è la difficoltà ad intravedere il poeta o la poeta in una sua presenza “situata”, rimangono un po’ come figure allegoriche che riflettono sulla propria esistenza, ma in maniera sospesa, in cui è difficile intravederli nella loro particolarità di esseri umani. Potrebbe essere sintomo di un disagio più vasto, una difficoltà a trovare la propria voce in un periodo di gioventù che non è vera gioventù, una sorta di invecchiamento precoce come evidenziato da Muzzioli nella Prefazione. In un certo senso stentano ad affrontare quel processo che conduce all’elaborazione di un immaginario personale a tutto tondo e che ritengono legittimo o comunque legittimato. In questo riguardo potrebbe essere interessante rivedere uno spezzone del film “L’attimo fuggente” in cui il professore interpretato da Robin Williams cita appunto YAWP e si assiste al suo tentativo di aiutare uno studente riluttante a tirare fuori l’immaginario personale, base della poesia:
Nel recensire nello scorso numero la raccolta di Luca Ariano “ Ero altrove” interrogandomi sulla maestria con cui il giovane poeta si faceva interprete della lingua e del pensiero di due generazioni precedenti della Bassa e di una forma mentis legata alla Resistenza mi chiedevo quali ripercussioni potesse avere il vivere in una situazione demografica caratterizzata dal costante contatto con un gran numero di persone anziane, integrate per lo più nel tessuto sociale, specialmente quando per i giovani le prospettive di affermarsi autonomamente, fuori dalla cerchia familiare, all’interno di un modello familiare profondamente invischiato, sono quasi nulle. Che cosa accade quando alcuni di questi giovani per lavoro o per studio trascorrono lunghi anni all’estero a contatto con un gran numero di persone della propria generazione, in molti casi provenienti da tutto il mondo, in un contesto in cui i giovani non sono una presenza minoritaria ed hanno prospettive di vita autonoma? Cambia la loro voce? Si situano diversamente rispetto alla produzione letteraria? Si sentono legittimati a tirare fuori il proprio io? La loro presenza concreta, come voce, che non anela ad annichilirsi ma al contrario reclama il proprio diritto ad esistere in quella specifica forma individuale, nella poesia si sente? Potrebbe essere interessante iniziare a fare studi comparativi su questo argomento. E richiederebbe anche un certo coraggio, vista la cattiva abitudine dei critici italiani che in passato hanno sorriso con sufficienza e passato oltre quando si trattava di valutare la produzione artistica dei loro conterranei emigrati all’estero.
In questo numero de lamacchinasognante.com, nella prefazione scritta dal poeta Maged Zaher all’antologia di giovani poeti egiziani “The Tahrir of Poems” pubblicata negli Stati Uniti nel 2014, si riflette sul fatto che i 7 poeti dell’antologia, che all’epoca delle proteste del 2011 avevano tra i 25 e i 33 anni, appartenevano a una generazione che era cresciuta in una sorta di aridità culturale, erano una generazione che non rivestiva alcuna importanza né per Mubarak né per l’opposizione islamista. In questo vuoto, questa nuova generazione dotata di Internet e con accesso a testi aveva vissuto un periodo di gran fermento intellettuale e creatività, confrontandosi principalmente con coetanei. Mi chiedo se alcune delle condizioni di “aridità culturale” che caratterizzavano l’Egitto e in un certo senso il “disinteresse” verso questa generazione, possano avere riscontri positivi e portare in un futuro non troppo lontano a una fioritura anche in Italia, che forse adesso non riusciamo ancora ad intravedere.