CLÉMENT MERIC
RÉMI FRAISSE
ADAMA TRAORÉ
ZYED & BOUNA
JAOUAD & YASSINE
PIERRE OVERNEY
MARIA MARGOTTI
I MORTI DI MODENA, FONDERIE RIUNITE
I MORTI DI REGGIO EMILIA
I MORTI DI VIA FRACCHIA
CARLO GIULIANI
FEDERICO ALDROVANDI
STEFANO CUCCHI
……….
I.
Non bisogna mai cedere alla retorica delle lapidi. Bisogna, al contrario, verificare i nomi, metterli sempre in dubbio. Lungo il quadrato del cortile, sopravvivono busti simmetrici. Sorreggono visi anonimi. Nessuno desidera sapere a chi siano appartenuti.
Lungo il corridoio, si accampano altri nomi. Sono conosciuti, celebrati. Lettere d’oro, tutte uguali. Ma qui, qui non c’è spazio per il maquis, la fabbrica, le colonie, la poesia. Un resistente, Simone Weil, Aimé Césaire, Paul Celan: altri busti e noi tutti quieti, perché questi nomi ci lasciano spazi bianchi, un tempo sempre più lungo per pensare, per pensarli.
Durante l’occupazione, a primavera, qualcuno ha aggiunto una specie di lapide. Dipinta di rosso, con nomi vicinissimi: quelli di chi è morto sotto i colpi visibili del potere. Tornando a casa, la sera; durante una manifestazione per difendere cose banali: gli alberi, la terra, il cielo. A una stazione della metropolitana, davanti a una fabbrica, magari in una città di periferia, a questa o ad altre latitudini. Ci sono sempre gli stessi viali nei sobborghi, le case tutte uguali, la pace quaresimale, nomi azzurri : Belmonte, sotto il Bosco, Castello…
Morti davvero « nostri », a cui fare un monumento essenziale, pochi colori, eppure una gioia grande. Quella di chi azzera la retorica, di chi non fa lapidi, ma sceglie piuttosto di coltivare un giardino, di scrivere sul bianco del muro un’altra storia, pulita e sempre sovversiva.
II.
In oc il frassino è fraise:
lo spacco alla radice, il taglio netto
nel chiaro del bosco
ora però
solo bisogno di cambiare paesaggio,
salvare la lauzeta
che ancora senza tregua tende
le ali verso il rai.
Frassino è anche il nome di Rémi
caduto in uno dei tanti
« territori perduti della Repubblica »
nascosti abilmente
dietro a sigle nomi leggi
ma questa volta l’acronimo
è preciso scabro essenziale.
Spiega, dispiega
le ragioni, tutte, della lotta:
la Z per centuriare il paesaggio
A . D per delimitare le azioni da compiere
le geometria esatta
del nostro resistere.
III.
Il Larzac la Rouergue
la diga di Sivens
la valle di Susa . Melendugno
Nostra Signora delle Lande
ecco i nostri campi di battaglia,
ma oggi rilucono nomi più vicini
quelli che si sono dati alla terra
le sillabe di un dialetto dolce
archivi orali per salvare
la memoria: L’Olmo, Il Forno, La Chiesina
e altri nomi da cercare
nel sempreverde dell’atlante.
Guido verso nord e alla radio si ricorda
l’anniversario della lotta nella valle:
dice qualcuno
che sono vent’anni,
vent’anni che
« tutto è bloccato,
colpa degli anarchici
dei centri sociali, dei violenti ».
Altre voci fossili, verso sinistra
luce di taglio, pochi alberi
solo argini fragili, fieno raccolto
e ancora il potatore che resiste
come in altre mattine verso l’infanzia
odore di letame, erba tagliata,
dell’asfalto
lungo la strada provinciale numero tre.
Anche il campo a destra è stato un tempo
zona da difendere
e ora è salvo:
non abbiamo improvvisato accampamenti
niente capanne, giungle,
solo volantini, piccoli, carta rosa o azzurra,
e l’assedio è finito in pochi mesi,
senza arresti o morti.
Oggi rileggo la rassegna,
metto tutto in un catalogo,
articoli, dichiarazioni, denunce
archivio, sì, ancora e penso in grande
immagino quel campo centuriato dai Romani
abbandonarsi davvero alla rovina
e tornare finalmente ad essere acquitrino.
Inediti, per gentile concessione dell’autore
Jessy Simonini (1994) è ricercatore in Letteratura francese presso l’Università di Nantes e militante anticapitalista. Vive fra Italia e Francia.